1.

   «Laudato  si',  mi'  Signore»,  cantava  san
   Francesco d'Assisi. In questo bel cantico ci
   ricordava che la nostra  casa comune è anche
   come una sorella,  con la quale condividiamo
   l'esistenza, e  come una madre bella  che ci
   accoglie tra  le sue braccia:  «Laudato si',
   mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la
   quale  ne sustenta  et  governa, et  produce
   diversi fructi con coloriti flori et herba».

2.

   Questa sorella  protesta per il male  che le
   provochiamo, a causa dell'uso irresponsabile
   e dell'abuso  dei beni  che Dio ha  posto in
   lei.  Siamo cresciuti  pensando che  eravamo
   suoi  proprietari e  dominatori, autorizzati
   a  saccheggiarla. La  violenza  che c'è  nel
   cuore umano ferito  dal peccato si manifesta
   anche nei sintomi di malattia che avvertiamo
   nel  suolo,  nell'acqua, nell'aria  e  negli
   esseri viventi. Per questo, fra i poveri più
   abbandonati  e  maltrattati, c'è  la  nostra
   oppressa  e  devastata  terra, che  «geme  e
   soffre  le  doglie  del  parto»  (Rm  8,22).
   Dimentichiamo  che  noi stessi  siamo  terra
   (cfr  Gen 2,7).  Il  nostro  stesso corpo  è
   costituito  dagli elementi  del pianeta,  la
   sua aria è quella che  ci dà il respiro e la
   sua acqua ci vivifica e ristora.

   Niente   di   questo    mondo   ci   risulta
   indifferente

3.

   Più  di cinquant'anni  fa,  mentre il  mondo
   vacillava sull'orlo  di una  crisi nucleare,
   il   santo  Papa   Giovanni  XXIII   scrisse
   un'Enciclica  con  la  quale non  si  limitò
   solamente  a  respingere  la  guerra,  bensì
   volle  trasmettere  una  proposta  di  pace.
   Diresse il  suo messaggio Pacem in  terris a
   tutto  il "mondo  cattolico", ma  aggiungeva
   "e  a tutti  gli uomini  di buona  volontà".
   Adesso, di fronte  al deterioramento globale
   dell'ambiente,  voglio   rivolgermi  a  ogni
   persona che abita  questo pianeta. Nella mia
   Esortazione  Evangelii  gaudium, ho  scritto
   ai  membri della  Chiesa  per mobilitare  un
   processo  di riforma  missionaria ancora  da
   compiere. In  questa Enciclica,  mi propongo
   specialmente di entrare in dialogo con tutti
   riguardo alla nostra casa comune.

4.

   Otto anni dopo la Pacem in terris, nel 1971,
   il  beato  Papa  Paolo  VI  si  riferì  alla
   problematica  ecologica, presentandola  come
   una crisi che è «una conseguenza drammatica»
   dell'attività    incontrollata   dell'essere
   umano:    «Attraverso    uno    sfruttamento
   sconsiderato  della   natura,  egli  rischia
   di  distruggerla e  di  essere  a sua  volta
   vittima  di  siffatta  degradazione».  Parlò
   anche  alla  FAO della  possibilità,  «sotto
   l'effetto  di   contraccolpi  della  civiltà
   industriale,  di [...]  una vera  catastrofe
   ecologica»,  sottolineando  «l'urgenza e  la
   necessità  di  un mutamento  radicale  nella
   condotta dell'umanità»,  perché «i progressi
   scientifici  più  straordinari, le  prodezze
   tecniche   più  strabilianti,   la  crescita
   economica  più   prodigiosa,  se   non  sono
   congiunte ad un  autentico progresso sociale
   e  morale,  si   rivolgono,  in  definitiva,
   contro l'uomo».

5.

   San  Giovanni  Paolo  II si  è  occupato  di
   questo  tema  con  un  interesse  crescente.
   Nella  sua  prima   Enciclica,  osservò  che
   l'essere umano  sembra «non  percepire altri
   significati  del suo  ambiente naturale,  ma
   solamente quelli  che servono ai fini  di un
   immediato  uso  e consumo».  Successivamente
   invitò ad una conversione ecologica globale.
   Ma  nello stesso  tempo fece  notare che  si
   mette  poco  impegno per  «salvaguardare  le
   condizioni  morali di  un'autentica ecologia
   umana». La distruzione dell'ambiente umano è
   qualcosa di molto serio, non solo perché Dio
   ha affidato il mondo all'essere umano, bensì
   perché  la  vita  umana  stessa  è  un  dono
   che  deve essere  protetto da  diverse forme
   di  degrado.  Ogni  aspirazione a  curare  e
   migliorare  il  mondo richiede  di  cambiare
   profondamente gli «stili  di vita, i modelli
   di  produzione e  di  consumo, le  strutture
   consolidate  di  potere   che  oggi  reggono
   le  società».   L'autentico  sviluppo  umano
   possiede un carattere morale e presuppone il
   pieno rispetto della  persona umana, ma deve
   prestare attenzione anche  al mondo naturale
   e  «tener  conto  della  natura  di  ciascun
   essere e  della sua mutua connessione  in un
   sistema  ordinato».  Pertanto,  la  capacità
   dell'essere umano  di trasformare  la realtà
   deve  svilupparsi  sulla  base  della  prima
   originaria donazione delle  cose da parte di
   Dio.

6.

   Il   mio  predecessore   Benedetto  XVI   ha
   rinnovato  l'invito  a «eliminare  le  cause
   strutturali delle  disfunzioni dell'economia
   mondiale  e  di   correggere  i  modelli  di
   crescita che sembrano  incapaci di garantire
   il rispetto dell'ambiente». Ha ricordato che
   il  mondo  non  può essere  analizzato  solo
   isolando  uno dei  suoi aspetti,  perché «il
   libro della  natura è uno e  indivisibile» e
   include l'ambiente, la  vita, la sessualità,
   la famiglia,  le relazioni sociali,  e altri
   aspetti. Di  conseguenza, «il  degrado della
   natura è strettamente  connesso alla cultura
   che  modella  la   convivenza  umana».  Papa
   Benedetto  ci  ha  proposto  di  riconoscere
   che   l'ambiente   naturale   è   pieno   di
   ferite  prodotte  dal  nostro  comportamento
   irresponsabile. Anche  l'ambiente sociale ha
   le  sue ferite.  Ma  tutte  sono causate  in
   fondo  dal  medesimo  male,  cioè  dall'idea
   che  non esistano  verità indiscutibili  che
   guidino la  nostra vita, per cui  la libertà
   umana  non  ha   limiti.  Si  dimentica  che
   «l'uomo non  è soltanto  una libertà  che si
   crea da sé. L'uomo  non crea se stesso. Egli
   è  spirito e  volontà, ma  è anche  natura».
   Con  paterna preoccupazione  ci ha  invitato
   a  riconoscere  che   la  creazione  risulta
   compromessa «dove noi stessi siamo le ultime
   istanze,  dove   l'insieme  è  semplicemente
   proprietà  nostra e  lo consumiamo  solo per
   noi  stessi.  E  lo spreco  della  creazione
   inizia  dove  non  riconosciamo  più  alcuna
   istanza  sopra di  noi, ma  vediamo soltanto
   noi stessi».

   Uniti da una stessa preoccupazione

7.

   Questi  contributi  dei Papi  raccolgono  la
   riflessione   di  innumerevoli   scienziati,
   filosofi,  teologi e  organizzazioni sociali
   che  hanno  arricchito   il  pensiero  della
   Chiesa su tali  questioni. Non possiamo però
   ignorare che anche al  di fuori della Chiesa
   Cattolica, altre Chiese e Comunità cristiane
   --  come  pure   altre  religioni  --  hanno
   sviluppato una profonda preoccupazione e una
   preziosa  riflessione  su  questi  temi  che
   stanno a cuore a  tutti noi. Per citare solo
   un  esempio  particolarmente  significativo,
   voglio   riprendere  brevemente   parte  del
   contributo  del   caro  Patriarca  Ecumenico
   Bartolomeo,  con  il quale  condividiamo  la
   speranza della piena comunione ecclesiale.

8.

   Il  Patriarca   Bartolomeo  si   è  riferito
   particolarmente alla necessità che ognuno si
   penta  del proprio  modo  di maltrattare  il
   pianeta, perché  «nella misura in  cui tutti
   noi causiamo piccoli danni ecologici», siamo
   chiamati a  riconoscere «il  nostro apporto,
   piccolo  o  grande,  allo  stravolgimento  e
   alla  distruzione dell'ambiente».  Su questo
   punto, egli  si è espresso  ripetutamente in
   maniera  ferma e  stimolante, invitandoci  a
   riconoscere i  peccati contro  la creazione:
   «Che   gli  esseri   umani  distruggano   la
   diversità   biologica  nella   creazione  di
   Dio;  che  gli  esseri  umani  compromettano
   l'integrità della terra  e contribuiscano al
   cambiamento  climatico, spogliando  la terra
   delle  sue foreste  naturali o  distruggendo
   le  sue zone  umide;  che  gli esseri  umani
   inquinino le acque,  il suolo, l'aria: tutti
   questi  sono  peccati». Perché  «un  crimine
   contro  la natura  è un  crimine contro  noi
   stessi e un peccato contro Dio».

9.

   Allo stesso  tempo Bartolomeo  ha richiamato
   l'attenzione    sulle   radici    etiche   e
   spirituali  dei   problemi  ambientali,  che
   ci  invitano a  cercare  soluzioni non  solo
   nella  tecnica, ma  anche in  un cambiamento
   dell'essere    umano,   perché    altrimenti
   affronteremmo  soltanto  i  sintomi.  Ci  ha
   proposto   di   passare   dal   consumo   al
   sacrificio,  dall'avidità  alla  generosità,
   dallo spreco  alla capacità  di condividere,
   in un'ascesi che «significa imparare a dare,
   e non semplicemente a rinunciare. E' un modo
   di  amare, di  passare  gradualmente da  ciò
   che  io  voglio  a  ciò di  cui  ha  bisogno
   il  mondo  di   Dio.  E'  liberazione  dalla
   paura,  dall'avidità  e  dalla  dipendenza».
   Noi  cristiani, inoltre,  siamo chiamati  ad
   «accettare  il  mondo   come  sacramento  di
   comunione, come modo  di condividere con Dio
   e  con il  prossimo  in  una scala  globale.
   E'  nostra umile  convinzione che  il divino
   e  l'umano  si  incontrino nel  più  piccolo
   dettaglio della  veste senza  cuciture della
   creazione   di   Dio,  persino   nell'ultimo
   granello di polvere del nostro pianeta».

   San Francesco d'Assisi

10.

   Non  voglio  procedere in  questa  Enciclica
   senza  ricorrere   a  un  esempio   bello  e
   motivante. Ho  preso il suo nome  come guida
   e  come ispirazione  nel  momento della  mia
   elezione  a  Vescovo   di  Roma.  Credo  che
   Francesco sia l'esempio per eccellenza della
   cura per ciò che è  debole e di una ecologia
   integrale, vissuta con  gioia e autenticità.
   E'  il santo  patrono  di  tutti quelli  che
   studiano e lavorano nel campo dell'ecologia,
   amato anche da molti che non sono cristiani.
   Egli  manifestò   un'attenzione  particolare
   verso  la creazione  di  Dio e  verso i  più
   poveri e abbandonati. Amava ed era amato per
   la sua gioia, la  sua dedizione generosa, il
   suo  cuore  universale.  Era  un  mistico  e
   un  pellegrino  che  viveva  con  semplicità
   e  in  una  meravigliosa  armonia  con  Dio,
   con  gli  altri,  con  la natura  e  con  se
   stesso.  In  lui  si riscontra  fino  a  che
   punto  sono  inseparabili la  preoccupazione
   per la natura, la  giustizia verso i poveri,
   l'impegno nella società e la pace interiore.

11.

   La  sua testimonianza  ci  mostra anche  che
   l'ecologia integrale richiede apertura verso
   categorie  che   trascendono  il  linguaggio
   delle  scienze  esatte  o della  biologia  e
   ci   collegano  con   l'essenza  dell'umano.
   Così  come  succede  quando  ci  innamoriamo
   di  una persona,  ogni  volta che  Francesco
   guardava  il  sole,  la  luna,  gli  animali
   più  piccoli, la  sua reazione  era cantare,
   coinvolgendo nella  sua lode tutte  le altre
   creature. Egli entrava  in comunicazione con
   tutto  il  creato,  e predicava  persino  ai
   fiori  e  «li  invitava  a  lodare  e  amare
   Iddio,  come  esseri   dotati  di  ragione».
   La  sua  reazione  era   molto  più  che  un
   apprezzamento  intellettuale  o  un  calcolo
   economico, perché per lui qualsiasi creatura
   era una sorella, unita  a lui con vincoli di
   affetto.  Per questo  si sentiva  chiamato a
   prendersi  cura  di  tutto ciò  che  esiste.
   Il  suo  discepolo san  Bonaventura  narrava
   che  lui, «considerando  che  tutte le  cose
   hanno un'origine comune,  si sentiva ricolmo
   di  pietà  ancora  maggiore  e  chiamava  le
   creature, per quanto piccole, con il nome di
   fratello o sorella».  Questa convinzione non
   può essere disprezzata  come un romanticismo
   irrazionale,  perché influisce  sulle scelte
   che determinano il  nostro comportamento. Se
   noi ci accostiamo alla natura e all'ambiente
   senza   questa  apertura   allo  stupore   e
   alla  meraviglia,  se  non parliamo  più  il
   linguaggio della fraternità e della bellezza
   nella  nostra  relazione  con  il  mondo,  i
   nostri  atteggiamenti   saranno  quelli  del
   dominatore,  del  consumatore   o  del  mero
   sfruttatore delle risorse naturali, incapace
   di  porre   un  limite  ai   suoi  interessi
   immediati.  Viceversa,  se noi  ci  sentiamo
   intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la
   sobrietà e  la cura scaturiranno  in maniera
   spontanea. La  povertà e l'austerità  di san
   Francesco non  erano un  ascetismo solamente
   esteriore, ma qualcosa  di più radicale: una
   rinuncia a fare della realtà un mero oggetto
   di uso e di dominio.

12.

   D'altra  parte, san  Francesco, fedele  alla
   Scrittura,  ci  propone  di  riconoscere  la
   natura  come uno  splendido libro  nel quale
   Dio ci  parla e ci trasmette  qualcosa della
   sua  bellezza e  della  sua bontà:  «Difatti
   dalla  grandezza e  bellezza delle  creature
   per  analogia si  contempla il  loro autore»
   (Sap  13,5)  e  «la  sua  eterna  potenza  e
   divinità  vengono   contemplate  e  comprese
   dalla  creazione  del  mondo  attraverso  le
   opere da lui compiute» (Rm 1,20). Per questo
   chiedeva  che  nel   convento  si  lasciasse
   sempre  una parte  dell'orto non  coltivata,
   perché  vi crescessero  le erbe  selvatiche,
   in  modo che  quanti  le avrebbero  ammirate
   potessero elevare il  pensiero a Dio, autore
   di  tanta  bellezza.  Il  mondo  è  qualcosa
   di  più  che  un problema  da  risolvere,  è
   un mistero  gaudioso che  contempliamo nella
   letizia e nella lode.

   Il mio appello

13.

   La  sfida urgente  di  proteggere la  nostra
   casa  comune   comprende  la  preoccupazione
   di  unire  tutta  la  famiglia  umana  nella
   ricerca  di   uno  sviluppo   sostenibile  e
   integrale,  poiché  sappiamo   che  le  cose
   possono   cambiare.  Il   Creatore  non   ci
   abbandona,  non fa  mai marcia  indietro nel
   suo  progetto  di  amore, non  si  pente  di
   averci  creato.   L'umanità  ha   ancora  la
   capacità  di  collaborare per  costruire  la
   nostra   casa  comune.   Desidero  esprimere
   riconoscenza,  incoraggiare   e  ringraziare
   tutti coloro  che, nei più  svariati settori
   dell'attività  umana,  stanno lavorando  per
   garantire  la  protezione   della  casa  che
   condividiamo.   Meritano   una   gratitudine
   speciale  quanti  lottano   con  vigore  per
   risolvere  le  drammatiche  conseguenze  del
   degrado  ambientale   nella  vita   dei  più
   poveri del  mondo. I giovani esigono  da noi
   un  cambiamento.  Essi  si  domandano  com'è
   possibile  che si  pretenda di  costruire un
   futuro  migliore  senza pensare  alla  crisi
   ambientale e alle sofferenze degli esclusi.

14.

   Rivolgo  un invito  urgente  a rinnovare  il
   dialogo  sul modo  in cui  stiamo costruendo
   il  futuro  del   pianeta.  Abbiamo  bisogno
   di  un   confronto  che  ci   unisca  tutti,
   perché  la  sfida  ambientale  che  viviamo,
   e  le  sue  radici umane,  ci  riguardano  e
   ci  toccano  tutti. Il  movimento  ecologico
   mondiale   ha  già   percorso  un   lungo  e
   ricco  cammino, e  ha dato  vita a  numerose
   aggregazioni di cittadini che hanno favorito
   una  presa  di coscienza.  Purtroppo,  molti
   sforzi per  cercare soluzioni  concrete alla
   crisi   ambientale  sono   spesso  frustrati
   non  solo   dal  rifiuto  dei   potenti,  ma
   anche  dal  disinteresse  degli  altri.  Gli
   atteggiamenti  che  ostacolano   le  vie  di
   soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla
   negazione  del   problema  all'indifferenza,
   alla  rassegnazione comoda,  o alla  fiducia
   cieca  nelle   soluzioni  tecniche.  Abbiamo
   bisogno  di  nuova  solidarietà  universale.
   Come hanno detto i Vescovi del Sudafrica, «i
   talenti  e il  coinvolgimento di  tutti sono
   necessari  per  riparare  il  danno  causato
   dagli umani  sulla creazione di  Dio». Tutti
   possiamo collaborare  come strumenti  di Dio
   per la  cura della creazione, ognuno  con la
   propria  cultura ed  esperienza, le  proprie
   iniziative e capacità.

15.

   Spero  che  questa  Lettera  enciclica,  che
   si  aggiunge  al   Magistero  sociale  della
   Chiesa,   ci   aiuti    a   riconoscere   la
   grandezza,  l'urgenza  e la  bellezza  della
   sfida   che  ci   si   presenta.  In   primo
   luogo,  farò  un breve  percorso  attraverso
   vari  aspetti  dell'attuale crisi  ecologica
   allo  scopo di  assumere  i migliori  frutti
   della ricerca  scientifica oggi disponibile,
   lasciarcene  toccare  in profondità  e  dare
   una   base   di  concretezza   al   percorso
   etico  e  spirituale  che segue.  A  partire
   da  questa   panoramica,  riprenderò  alcune
   argomentazioni   che    scaturiscono   dalla
   tradizione  giudeo-cristiana,   al  fine  di
   dare  maggiore  coerenza al  nostro  impegno
   per  l'ambiente.  Poi  proverò  ad  arrivare
   alle  radici  della situazione  attuale,  in
   modo  da coglierne  non  solo  i sintomi  ma
   anche  le cause  più profonde.  Così potremo
   proporre un'ecologia che,  nelle sue diverse
   dimensioni, integri  il posto  specifico che
   l'essere  umano  occupa  in questo  mondo  e
   le  sue  relazioni  con  la  realtà  che  lo
   circonda.  Alla  luce  di  tale  riflessione
   vorrei  fare  un   passo  avanti  in  alcune
   ampie  linee  di  dialogo e  di  azione  che
   coinvolgano  sia  ognuno   di  noi,  sia  la
   politica internazionale. Infine, poiché sono
   convinto  che  ogni cambiamento  ha  bisogno
   di  motivazioni e  di un  cammino educativo,
   proporrò   alcune   linee   di   maturazione
   umana  ispirate  al  tesoro  dell'esperienza
   spirituale cristiana.

16.

   Ogni   capitolo,  sebbene   abbia  una   sua
   tematica    propria   e    una   metodologia
   specifica,  riprende  a  sua volta,  da  una
   nuova   prospettiva,  questioni   importanti
   affrontate  nei capitoli  precedenti. Questo
   riguarda  specialmente alcuni  assi portanti
   che  attraversano   tutta  l'Enciclica.  Per
   esempio: l'intima  relazione tra i  poveri e
   la fragilità del pianeta; la convinzione che
   tutto nel  mondo è intimamente  connesso; la
   critica  al  nuovo  paradigma e  alle  forme
   di  potere  che derivano  dalla  tecnologia;
   l'invito a  cercare altri modi  di intendere
   l'economia   e  il   progresso;  il   valore
   proprio  di ogni  creatura;  il senso  umano
   dell'ecologia;  la  necessità  di  dibattiti
   sinceri  e onesti;  la grave  responsabilità
   della politica  internazionale e  locale; la
   cultura  dello  scarto   e  la  proposta  di
   un  nuovo stile  di  vita.  Questi temi  non
   vengono  mai chiusi  o abbandonati,  ma anzi
   costantemente ripresi e arricchiti.

                  CAPITOLO PRIMO

    QUELLO CHE STA ACCADENDO ALLA NOSTRA CASA

17.

   Le  riflessioni   teologiche  o  filosofiche
   sulla  situazione dell'umanità  e del  mondo
   possono suonare come un messaggio ripetitivo
   e vuoto,  se non si presentano  nuovamente a
   partire  da  un  confronto con  il  contesto
   attuale,  in  ciò  che  ha  di  inedito  per
   la  storia dell'umanità.  Per questo,  prima
   di  riconoscere come  la fede  apporta nuove
   motivazioni ed  esigenze di fronte  al mondo
   del  quale   facciamo  parte,   propongo  di
   soffermarci brevemente  a considerare quello
   che sta accadendo alla nostra casa comune.

18.

   La  continua  accelerazione dei  cambiamenti
   dell'umanità   e  del   pianeta  si   unisce
   oggi   all'intensificazione  dei   ritmi  di
   vita  e   di  lavoro,   in  quella   che  in
   spagnolo   alcuni    chiamano   "rapidación"
   (rapidizzazione).   Benché  il   cambiamento
   faccia  parte  della  dinamica  dei  sistemi
   complessi, la  velocità che le  azioni umane
   gli impongono oggi contrasta con la naturale
   lentezza  dell'evoluzione  biologica. A  ciò
   si  aggiunge il  problema che  gli obiettivi
   di  questo  cambiamento  veloce  e  costante
   non necessariamente  sono orientati  al bene
   comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e
   integrale.  Il  cambiamento  è  qualcosa  di
   auspicabile, ma  diventa preoccupante quando
   si  muta  in   deterioramento  del  mondo  e
   della  qualità  della  vita  di  gran  parte
   dell'umanità.

19.

   Dopo  un tempo  di  fiducia irrazionale  nel
   progresso e nelle  capacità umane, una parte
   della  società  sta  entrando  in  una  fase
   di maggiore  consapevolezza. Si  avverte una
   crescente sensibilità  riguardo all'ambiente
   e  alla  cura  della natura,  e  matura  una
   sincera  e dolorosa  preoccupazione per  ciò
   che   sta  accadendo   al  nostro   pianeta.
   Facciamo  un percorso,  che sarà  certamente
   incompleto,   attraverso  quelle   questioni
   che  oggi ci  provocano  inquietudine e  che
   ormai non  possiamo più nascondere  sotto il
   tappeto.  L'obiettivo non  è di  raccogliere
   informazioni o saziare  la nostra curiosità,
   ma  di  prendere dolorosa  coscienza,  osare
   trasformare  in sofferenza  personale quello
   che accade al mondo, e così riconoscere qual
   è il contributo che ciascuno può portare.

   I. INQUINAMENTO E CAMBIAMENTI CLIMATICI

   Inquinamento, rifiuti e cultura dello scarto

20.

   Esistono    forme   di    inquinamento   che
   colpiscono   quotidianamente   le   persone.
   L'esposizione  agli  inquinanti  atmosferici
   produce  un ampio  spettro di  effetti sulla
   salute,  in particolare  dei  più poveri,  e
   provocano milioni di  morti premature. Ci si
   ammala, per  esempio, a causa  di inalazioni
   di   elevate  quantità   di  fumo   prodotto
   dai  combustibili  utilizzati  per  cucinare
   o  per  riscaldarsi.  A questo  si  aggiunge
   l'inquinamento  che colpisce  tutti, causato
   dal  trasporto,   dai  fumi  dell'industria,
   dalle    discariche    di    sostanze    che
   contribuiscono all'acidificazione  del suolo
   e dell'acqua, da fertilizzanti, insetticidi,
   fungicidi,  diserbanti  e pesticidi  tossici
   in  generale.  La   tecnologia  che,  legata
   alla  finanza,  pretende di  essere  l'unica
   soluzione dei  problemi, di  fatto non  è in
   grado di vedere  il mistero delle molteplici
   relazioni che  esistono tra  le cose,  e per
   questo a volte risolve un problema creandone
   altri.

21.

   C'è  da   considerare  anche  l'inquinamento
   prodotto   dai   rifiuti,  compresi   quelli
   pericolosi  presenti  in  diversi  ambienti.
   Si   producono  centinaia   di  milioni   di
   tonnellate  di  rifiuti  l'anno,  molti  dei
   quali non  biodegradabili: rifiuti domestici
   e   commerciali,  detriti   di  demolizioni,
   rifiuti clinici,  elettronici o industriali,
   rifiuti  altamente  tossici  e  radioattivi.
   La terra,  nostra casa,  sembra trasformarsi
   sempre  più   in  un  immenso   deposito  di
   immondizia. In molti luoghi del pianeta, gli
   anziani ricordano  con nostalgia  i paesaggi
   d'altri  tempi,  che ora  appaiono  sommersi
   da spazzatura.  Tanto i  rifiuti industriali
   quanto i  prodotti chimici  utilizzati nelle
   città  e  nei  campi,  possono  produrre  un
   effetto di bio-accumulazione negli organismi
   degli abitanti delle  zone limitrofe, che si
   verifica anche quando il livello di presenza
   di un elemento tossico  in un luogo è basso.
   Molte volte  si prendono misure  solo quando
   si sono  prodotti effetti  irreversibili per
   la salute delle persone.

22.

   Questi  problemi   sono  intimamente  legati
   alla  cultura  dello  scarto,  che  colpisce
   tanto  gli esseri  umani  esclusi quanto  le
   cose  che  si   trasformano  velocemente  in
   spazzatura.  Rendiamoci conto,  per esempio,
   che  la maggior  parte  della  carta che  si
   produce  viene  gettata   e  non  riciclata.
   Stentiamo a riconoscere che il funzionamento
   degli   ecosistemi  naturali   è  esemplare:
   le  piante  sintetizzano sostanze  nutritive
   che  alimentano   gli  erbivori;   questi  a
   loro  volta  alimentano   i  carnivori,  che
   forniscono  importanti  quantità di  rifiuti
   organici, i  quali danno  luogo a  una nuova
   generazione   di  vegetali.   Al  contrario,
   il  sistema   industriale,  alla   fine  del
   ciclo  di  produzione   e  di  consumo,  non
   ha  sviluppato la  capacità  di assorbire  e
   riutilizzare  rifiuti  e  scorie. Non  si  è
   ancora  riusciti  ad   adottare  un  modello
   circolare di produzione che assicuri risorse
   per  tutti e  per le  generazioni future,  e
   che  richiede di  limitare al  massimo l'uso
   delle risorse  non rinnovabili,  moderare il
   consumo,  massimizzare   l'efficienza  dello
   sfruttamento,   riutilizzare  e   riciclare.
   Affrontare tale questione sarebbe un modo di
   contrastare  la  cultura  dello  scarto  che
   finisce per  danneggiare il  pianeta intero,
   ma  osserviamo  che  i progressi  in  questa
   direzione sono ancora molto scarsi.

   Il clima come bene comune

23.

   Il  clima  è  un  bene comune,  di  tutti  e
   per  tutti.  Esso,   a  livello  globale,  è
   un  sistema   complesso  in   relazione  con
   molte  condizioni  essenziali  per  la  vita
   umana.   Esiste   un  consenso   scientifico
   molto  consistente che  indica che  siamo in
   presenza  di  un preoccupante  riscaldamento
   del sistema climatico. Negli ultimi decenni,
   tale  riscaldamento   è  stato  accompagnato
   dal  costante innalzamento  del livello  del
   mare,  e inoltre  è  difficile non  metterlo
   in  relazione  con  l'aumento  degli  eventi
   meteorologici  estremi,  a  prescindere  dal
   fatto  che  non   si  possa  attribuire  una
   causa scientificamente determinabile ad ogni
   fenomeno  particolare. L'umanità  è chiamata
   a  prendere  coscienza  della  necessità  di
   cambiamenti di  stili di  vita,di produzione
   e   di   consumo,  per   combattere   questo
   riscaldamento  o,  almeno,  le  cause  umane
   che  lo   producono  o  lo   accentuano.  E'
   vero  che  ci   sono  altri  fattori  (quali
   il  vulcanismo,  le  variazioni  dell'orbita
   e  dell'asse  terrestre, il  ciclo  solare),
   ma numerosi  studi scientifici  indicano che
   la maggior  parte del  riscaldamento globale
   degli  ultimi decenni  è dovuta  alla grande
   concentrazione   di   gas  serra   (anidride
   carbonica, metano, ossido di azoto ed altri)
   emessi  soprattutto  a  causa  dell'attività
   umana. La loro concentrazione nell'atmosfera
   impedisce  che il  calore  dei raggi  solari
   riflessi  dalla  terra   si  disperda  nello
   spazio.  Ciò  viene potenziato  specialmente
   dal  modello  di  sviluppo  basato  sull'uso
   intensivo di  combustibili fossili,  che sta
   al centro  del sistema  energetico mondiale.
   Ha inciso anche  l'aumento della pratica del
   cambiamento d'uso  del suolo, principalmente
   la deforestazione per finalità agricola.

24.

   A sua volta, il riscaldamento ha effetti sul
   ciclo del carbonio.  Crea un circolo vizioso
   che  aggrava  ancora  di più  la  situazione
   e  che   inciderà  sulla   disponibilità  di
   risorse  essenziali  come l'acqua  potabile,
   l'energia  e  la produzione  agricola  delle
   zone più calde, e provocherà l'estinzione di
   parte  della  biodiversità del  pianeta.  Lo
   scioglimento dei ghiacci  polari e di quelli
   d'alta quota minaccia la fuoriuscita ad alto
   rischio di  gas metano, e  la decomposizione
   della  materia  organica congelata  potrebbe
   accentuare  ancora  di  più  l'emissione  di
   anidride   carbonica.   A  sua   volta,   la
   perdita  di  foreste tropicali  peggiora  le
   cose,  giacché   esse  aiutano   a  mitigare
   il  cambiamento   climatico.  L'inquinamento
   prodotto  dall'anidride   carbonica  aumenta
   l'acidità  degli  oceani  e  compromette  la
   catena  alimentare  marina. Se  la  tendenza
   attuale  continua,  questo  secolo  potrebbe
   essere  testimone  di cambiamenti  climatici
   inauditi   e   di  una   distruzione   senza
   precedenti   degli  ecosistemi,   con  gravi
   conseguenze  per  tutti noi.  L'innalzamento
   del  livello  del   mare,  ad  esempio,  può
   creare situazioni  di estrema gravità  se si
   tiene conto che  un quarto della popolazione
   mondiale vive in riva al mare o molto vicino
   ad esso, e la maggior parte delle megalopoli
   sono situate in zone costiere.

25.

   I  cambiamenti  climatici sono  un  problema
   globale  con gravi  implicazioni ambientali,
   sociali,    economiche,    distributive    e
   politiche,   e   costituiscono   una   delle
   principali sfide attuali  per l'umanità. Gli
   impatti più pesanti probabilmente ricadranno
   nei  prossimi decenni  sui Paesi  in via  di
   sviluppo.  Molti  poveri  vivono  in  luoghi
   particolarmente colpiti da fenomeni connessi
   al   riscaldamento,  e   i  loro   mezzi  di
   sostentamento  dipendono   fortemente  dalle
   riserve  naturali e  dai cosiddetti  servizi
   dell'ecosistema,come l'agricoltura, la pesca
   e  le  risorse  forestali. Non  hanno  altre
   disponibilità economiche e altre risorse che
   permettano  loro di  adattarsi agli  impatti
   climatici  o  di  far  fronte  a  situazioni
   catastrofiche,  e   hanno  poco   accesso  a
   servizi  sociali e  di tutela.  Per esempio,
   i  cambiamenti  climatici  danno  origine  a
   migrazioni  di animali  e  vegetali che  non
   sempre  possono adattarsi,  e  questo a  sua
   volta intacca le  risorse produttive dei più
   poveri, i  quali pure si vedono  obbligati a
   migrare  con  grande incertezza  sul  futuro
   della  loro  vita  e   dei  loro  figli.  E'
   tragico l'aumento  dei migranti  che fuggono
   la miseria aggravata dal degrado ambientale,
   i quali non sono riconosciuti come rifugiati
   nelle  convenzioni internazionali  e portano
   il peso della propria vita abbandonata senza
   alcuna tutela  normativa. Purtroppo  c'è una
   generale  indifferenza  di fronte  a  queste
   tragedie,  che accadono  tuttora in  diverse
   parti del mondo. La  mancanza di reazioni di
   fronte a questi drammi dei nostri fratelli e
   sorelle  è un  segno della  perdita di  quel
   senso di responsabilità  per i nostri simili
   su cui si fonda ogni società civile.

26.

   Molti  di coloro  che detengono  più risorse
   e  potere  economico   o  politico  sembrano
   concentrarsi  soprattutto  nel mascherare  i
   problemi o  nasconderne i  sintomi, cercando
   solo  di  ridurre  alcuni  impatti  negativi
   di cambiamenti  climatici. Ma  molti sintomi
   indicano che questi  effetti potranno essere
   sempre  peggiori  se   continuiamo  con  gli
   attuali modelli di  produzione e di consumo.
   Perciò è  diventato urgente e  impellente lo
   sviluppo di politiche  affinché nei prossimi
   anni l'emissione di  anidride carbonica e di
   altri  gas  altamente inquinanti  si  riduca
   drasticamente,  ad  esempio,  sostituendo  i
   combustibili  fossili  e  sviluppando  fonti
   di  energia rinnovabile.  Nel  mondo c'è  un
   livello  esiguo  di   accesso  alle  energie
   pulite  e  rinnovabili. C'è  ancora  bisogno
   di   sviluppare   tecnologie   adeguate   di
   accumulazione.  Tuttavia,  in  alcuni  Paesi
   ci  sono stati  progressi che  cominciano ad
   essere  significativi, benché  siano lontani
   dal raggiungere  una proporzione importante.
   Ci sono  stati anche alcuni  investimenti in
   modalità  di produzione  e di  trasporto che
   consumano meno  energia e  richiedono minore
   quantità  di  materie  prime, come  pure  in
   modalità  di costruzione  o ristrutturazione
   di  edifici che  ne migliorino  l'efficienza
   energetica.  Ma queste  buone pratiche  sono
   lontane dal diventare generali.

   II. LA QUESTIONE DELL'ACQUA

27.

   Altri  indicatori  della situazione  attuale
   sono  legati  all'esaurimento delle  risorse
   naturali. Conosciamo bene l'impossibilità di
   sostenere l'attuale  livello di  consumo dei
   Paesi  più  sviluppati  e  dei  settori  più
   ricchi  delle società,  dove l'abitudine  di
   sprecare  e  buttare via  raggiunge  livelli
   inauditi. Già si  sono superati certi limiti
   massimi di  sfruttamento del  pianeta, senza
   che  sia  stato  risolto il  problema  della
   povertà.

28.

   L'acqua   potabile   e  pulita   rappresenta
   una   questione   di  primaria   importanza,
   perché   è   indispensabile  per   la   vita
   umana   e  per   sostenere  gli   ecosistemi
   terrestri   e   acquatici.   Le   fonti   di
   acqua    dolce   riforniscono    i   settori
   sanitari,   agropastorali   e   industriali.
   La   disponibilità   di  acqua   è   rimasta
   relativamente  costante   per  lungo  tempo,
   ma   ora   in   molti  luoghi   la   domanda
   supera  l'offerta   sostenibile,  con  gravi
   conseguenze a breve  e lungo termine. Grandi
   città,  dipendenti   da  importanti  riserve
   idriche, soffrono  periodi di  carenza della
   risorsa,   che  nei   momenti  critici   non
   viene amministrata  sempre con  una adeguata
   gestione e  con imparzialità. La  povertà di
   acqua pubblica si ha specialmente in Africa,
   dove  grandi settori  della popolazione  non
   accedono   all'acqua   potabile  sicura,   o
   subiscono siccità  che rendono  difficile la
   produzione di cibo. In  alcuni Paesi ci sono
   regioni  con  abbondanza  di  acqua,  mentre
   altre patiscono una grave carenza.

29.

   Un problema  particolarmente serio  è quello
   della  qualità  dell'acqua  disponibile  per
   i  poveri,  che  provoca  molte  morti  ogni
   giorno.  Fra  i  poveri  sono  frequenti  le
   malattie  legate  all'acqua, incluse  quelle
   causate  da  microorganismi  e  da  sostanze
   chimiche. La dissenteria e il colera, dovuti
   a  servizi  igienici   e  riserve  di  acqua
   inadeguati,  sono  un fattore  significativo
   di  sofferenza  e  di  mortalità  infantile.
   Le  falde  acquifere  in molti  luoghi  sono
   minacciate  dall'inquinamento che  producono
   alcune   attività  estrattive,   agricole  e
   industriali,   soprattutto  in   Paesi  dove
   mancano una regolamentazione e dei controlli
   sufficienti.   Non  pensiamo   solamente  ai
   rifiuti  delle fabbriche.  I detergenti  e i
   prodotti chimici che la popolazione utilizza
   in  molti  luoghi  del  mondo  continuano  a
   riversarsi in fiumi, laghi e mari.

30.

   Mentre  la  qualità  dell'acqua  disponibile
   peggiore  costantemente,  in  alcuni  luoghi
   avanza  la  tendenza a  privatizzare  questa
   risorsa   scarsa,   trasformata   in   merce
   soggetta   alle   leggi  del   mercato.   In
   realtà,   l'accesso  all'acqua   potabile  e
   sicura  è   un  diritto   umano  essenziale,
   fondamentale e  universale, perché determina
   la sopravvivenza delle persone, e per questo
   è  condizione  per l'esercizio  degli  altri
   diritti  umani.  Questo  mondo ha  un  grave
   debito  sociale  verso   i  poveri  che  non
   hanno  accesso  all'acqua  potabile,  perché
   ciò  significa  negare  ad essi  il  diritto
   alla vita  radicato nella  loro inalienabile
   dignità. Questo debito si salda in parte con
   maggiori  contributi  economici per  fornire
   acqua pulita e servizi di depurazione tra le
   popolazioni  più povere.  Però si  riscontra
   uno  spreco  di  acqua non  solo  nei  Paesi
   sviluppati,  ma anche  in quelli  in via  di
   sviluppo che possiedono  grandi riserve. Ciò
   evidenzia  che il  problema dell'acqua  è in
   parte una  questione educativa  e culturale,
   perché non vi è consapevolezza della gravità
   di  tali  comportamenti  in un  contesto  di
   grande inequità.

31.

   Una  maggiore scarsità  di acqua  provocherà
   l'aumento  del  costo  degli alimenti  e  di
   vari  prodotti che  dipendono  dal suo  uso.
   Alcuni studi  hanno segnalato il  rischio di
   subire  un'acuta  scarsità  di  acqua  entro
   pochi decenni se non  si agisce con urgenza.
   Gli  impatti  ambientali potrebbero  colpire
   miliardi  di  persone,  e  d'altra  parte  è
   prevedibile  che   il  controllo  dell'acqua
   da  parte  di  grandi  imprese  mondiali  si
   trasformi in  una delle principali  fonti di
   conflitto di questo secolo.

   III. PERDITA DI BIODIVERSITÀ

32.

   Anche   le  risorse   della  terra   vengono
   depredate  a  causa  di  modi  di  intendere
   l'economia   e   l'attività  commerciale   e
   produttiva   troppo   legati  al   risultato
   immediato.  La perdita  di foreste  e boschi
   implica  allo  stesso  tempo la  perdita  di
   specie che potrebbero  costituire nel futuro
   risorse  estremamente  importanti, non  solo
   per  l'alimentazione, ma  anche per  la cura
   di  malattie e  per  molteplici servizi.  Le
   diverse specie  contengono geni  che possono
   essere  risorse-chiave   per  rispondere  in
   futuro  a  qualche  necessità  umana  o  per
   risolvere qualche problema ambientale.

33.

   Ma  non basta  pensare  alle diverse  specie
   solo  come eventuali  "risorse" sfruttabili,
   dimenticando  che  hanno  un  valore  in  sé
   stesse.  Ogni  anno scompaiono  migliaia  di
   specie  vegetali e  animali che  non potremo
   più  conoscere,  che   i  nostri  figli  non
   potranno  vedere,   perse  per   sempre.  La
   stragrande   maggioranza  si   estingue  per
   ragioni  che hanno  a che  fare con  qualche
   attività umana.  Per causa  nostra, migliaia
   di  specie  non  daranno gloria  a  Dio  con
   la  loro esistenza  né potranno  comunicarci
   il  proprio  messaggio.  Non ne  abbiamo  il
   diritto.

34.

   Probabilmente ci  turba venire  a conoscenza
   dell'estinzione  di  un  mammifero o  di  un
   volatile, per  la loro  maggiore visibilità.
   Ma   per   il   buon   funzionamento   degli
   ecosistemi sono necessari anche i funghi, le
   alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili
   e l'innumerevole  varietà di microorganismi.
   Alcune   specie   poco  numerose,   che   di
   solito   passano  inosservate,   giocano  un
   ruolo critico  fondamentale per stabilizzare
   l'equilibrio  di  un   luogo.  E'  vero  che
   l'essere  umano deve  intervenire quando  un
   geosistema entra  in uno stadio  critico, ma
   oggi il  livello di intervento umano  in una
   realtà così complessa come la natura è tale,
   che i costanti  disastri causati dall'essere
   umano  provocano  un suo  nuovo  intervento,
   in   modo  che   l'attività  umana   diventa
   onnipresente, con tutti  i rischi che questo
   comporta.  Si  viene  a  creare  un  circolo
   vizioso  in   cui  l'intervento  dell'essere
   umano  per  risolvere una  difficoltà  molte
   volte  aggrava ulteriormente  la situazione.
   Per  esempio, molti  uccelli  e insetti  che
   si   estinguono  a   motivo  dei   pesticidi
   tossici   creati   dalla  tecnologia,   sono
   utili   alla   stessa  agricoltura,   e   la
   loro   scomparsa  dovrà   essere  compensata
   con  un  altro  intervento  tecnologico  che
   probabilmente porterà  nuovi effetti nocivi.
   Sono  lodevoli  e  a  volte  ammirevoli  gli
   sforzi di  scienziati e tecnici  che cercano
   di risolvere  i problemi  creati dall'essere
   umano.  Ma osservando  il mondo  notiamo che
   questo livello  di intervento  umano, spesso
   al servizio della  finanza e del consumismo,
   in realtà fa sì che  la terra in cui viviamo
   diventi  meno  ricca  e  bella,  sempre  più
   limitata e grigia, mentre contemporaneamente
   lo sviluppo della tecnologia e delle offerte
   di  consumo   continua  ad   avanzare  senza
   limiti.  In  questo   modo,  sembra  che  ci
   illudiamo di  poter sostituire  una bellezza
   irripetibile e non recuperabile con un'altra
   creata da noi.

35.

   Quando  si   analizza  l'impatto  ambientale
   di  qualche   iniziativa  economica,   si  è
   soliti  considerare gli  effetti sul  suolo,
   sull'acqua  e sull'aria,  ma  non sempre  si
   include  uno   studio  attento  dell'impatto
   sulla  biodiversità, come  se la  perdita di
   alcune specie o di gruppi animali o vegetali
   fosse qualcosa di poco rilevante. Le strade,
   le  nuove colture,  le recinzioni,  i bacini
   idrici e altre  costruzioni, vanno prendendo
   possesso   degli  habitat   e  a   volte  li
   frammentano in modo  tale che le popolazioni
   animali non possono più migrare né spostarsi
   liberamente, cosicché alcune  specie vanno a
   rischio di  estinzione. Esistono alternative
   che  almeno  mitigano  l'impatto  di  queste
   opere,   come  la   creazione  di   corridoi
   biologici,  ma in  pochi Paesi  si riscontra
   tale  cura  e  tale  attenzione.  Quando  si
   sfruttano  commercialmente   alcune  specie,
   non  sempre si  studia la  loro modalità  di
   crescita,  per  evitare  la  loro  eccessiva
   diminuzione  con  il conseguente  squilibrio
   dell'ecosistema.

36.

   La  cura   degli  ecosistemi   richiede  uno
   sguardo  che   vada  aldilà  dell'immediato,
   perché  quando  si  cerca solo  un  profitto
   economico   rapido  e   facile,  a   nessuno
   interessa  veramente la  loro preservazione.
   Ma il costo dei danni provocati dall'incuria
   egoistica è  di gran  lunga più  elevato del
   beneficio  economico  che si  può  ottenere.
   Nel   caso  della   perdita   o  del   serio
   danneggiamento  di   alcune  specie,  stiamo
   parlando  di valori  che eccedono  qualunque
   calcolo.   Per   questo,   possiamo   essere
   testimoni muti di gravissime inequità quando
   si pretende di  ottenere importanti benefici
   facendo   pagare   al  resto   dell'umanità,
   presente e  futura, gli altissimi  costi del
   degrado ambientale.

37.

   Alcuni  Paesi  hanno fatto  progressi  nella
   conservazione efficace di determinati luoghi
   e  zone --  sulla  terra e  negli oceani  --
   dove  si  proibisce  ogni  intervento  umano
   che  possa   modificarne  la   fisionomia  o
   alterarne  la costituzione  originale. Nella
   cura  della  biodiversità,  gli  specialisti
   insistono  sulla  necessità   di  porre  una
   speciale attenzione alle  zone più ricche di
   varietà di specie, di specie endemiche, poco
   frequenti  o con  minor grado  di protezione
   efficace. Ci sono  luoghi che richiedono una
   cura particolare a  motivo della loro enorme
   importanza per l'ecosistema  mondiale, o che
   costituiscono significative riserve di acqua
   e così assicurano altre forme di vita.

38.

   Ricordiamo,  per esempio,  quei polmoni  del
   pianeta  colmi  di   biodiversità  che  sono
   l'Amazzonia e il  bacino fluviale del Congo,
   o le  grandi falde acquifere e  i ghiacciai.
   E'  ben nota  l'importanza di  questi luoghi
   per   l'insieme  del   pianeta   e  per   il
   futuro  dell'umanità.  Gli ecosistemi  delle
   foreste tropicali hanno  una biodiversità di
   grande  complessità,  quasi  impossibile  da
   conoscere  completamente,  ma quando  queste
   foreste  vengono bruciate  o  rase al  suolo
   per  accrescere  le coltivazioni,  in  pochi
   anni  si  perdono   innumerevoli  specie,  o
   tali aree  si trasformano in  aridi deserti.
   Tuttavia, un  delicato equilibrio  si impone
   quando  si parla  di  questi luoghi,  perché
   non   si   possono  nemmeno   ignorare   gli
   enormi  interessi  economici  internazionali
   che,  con il  pretesto di  prendersene cura,
   possono  mettere  in pericolo  le  sovranità
   nazionali.  Di fatto  esistono «proposte  di
   internazionalizzazione  dell'Amazzonia,  che
   servono solo agli  interessi economici delle
   multinazionali».  E'  lodevole l'impegno  di
   organismi internazionali e di organizzazioni
   della società  civile che  sensibilizzano le
   popolazioni  e  cooperano in  modo  critico,
   anche  utilizzando  legittimi meccanismi  di
   pressione,  affinché  ogni  governo  adempia
   il  proprio  e   non  delegabile  dovere  di
   preservare l'ambiente e  le risorse naturali
   del proprio Paese,  senza vendersi a ambigui
   interessi locali o internazionali.

39.

   Neppure   la    sostituzione   della   flora
   selvatica   con  aree   piantate  a   bosco,
   che   generalmente   sono   monocolture,   è
   solitamente oggetto  di un'adeguata analisi.
   In  realtà essa  può colpire  gravemente una
   biodiversità che non è albergata dalle nuove
   specie  che  si   piantano.  Anche  le  zone
   umide,  che vengono  trasformate in  terreno
   agricolo, perdono  l'enorme biodiversità che
   ospitavano.  In   alcune  zone   costiere  è
   preoccupante  la scomparsa  degli ecosistemi
   costituiti da mangrovie.

40.

   Gli  oceani non  solo contengono  la maggior
   parte  dell'acqua del  pianeta, ma  anche la
   maggior parte della  vasta varietà di esseri
   viventi,  molti  dei   quali  ancora  a  noi
   sconosciuti e  minacciati da  diverse cause.
   D'altra parte, la vita nei fiumi, nei laghi,
   nei  mari e  negli  oceani,  che nutre  gran
   parte  della popolazione  mondiale, si  vede
   colpita  dal  prelievo  incontrollato  delle
   risorse  ittiche,  che  provoca  diminuzioni
   drastiche  di   alcune  specie.   Ancora  si
   continua a sviluppare  modalità selettive di
   pesca che  scartano gran parte  delle specie
   raccolte.  Sono  particolarmente  minacciati
   organismi   marini   che  non   teniamo   in
   considerazione, come certe forme di plancton
   che   costituiscono  una   componente  molto
   importante nella catena alimentare marina, e
   dalle quali dipendono, in definitiva, specie
   che si utilizzano per l'alimentazione umana.

41.

   Addentrandoci    nei   mari    tropicali   e
   subtropicali,   incontriamo    le   barriere
   coralline,  che  corrispondono  alle  grandi
   foreste  della  terraferma, perché  ospitano
   approssimativamente  un  milione di  specie,
   compresi pesci,  granchi, molluschi, spugne,
   alghe.  Molte delle  barriere coralline  del
   mondo oggi  sono sterili o sono  in continuo
   declino: «Chi ha trasformato il meraviglioso
   mondo marino in cimiteri subacquei spogliati
   di  vita  e  di  colore?».  Questo  fenomeno
   è  dovuto  in  gran  parte  all'inquinamento
   che  giunge  al  mare come  risultato  della
   deforestazione, delle  monoculture agricole,
   dei   rifiuti   industriali  e   di   metodi
   distruttivi  di  pesca, specialmente  quelli
   che  utilizzano il  cianuro  e la  dinamite.
   E' aggravato  dall'aumento della temperatura
   degli oceani. Tutto questo ci aiuta a capire
   come qualunque azione sulla natura può avere
   conseguenze  che  non   avvertiamo  a  prima
   vista,  e che  certe  forme di  sfruttamento
   delle  risorse si  ottengono a  costo di  un
   degrado che  alla fine giunge fino  in fondo
   agli oceani.

42.

   E'   necessario  investire   molto  di   più
   nella  ricerca,  per comprendere  meglio  il
   comportamento degli  ecosistemi e analizzare
   adeguatamente   le   diverse  variabili   di
   impatto  di  qualsiasi  modifica  importante
   dell'ambiente. Poiché tutte le creature sono
   connesse  tra  loro,  di  ognuna  dev'essere
   riconosciuto   il  valore   con  affetto   e
   ammirazione,  e  tutti   noi  esseri  creati
   abbiamo  bisogno gli  uni degli  altri. Ogni
   territorio ha una  responsabilità nella cura
   di questa famiglia, per cui dovrebbe fare un
   accurato inventario delle specie che ospita,
   in vista di sviluppare programmi e strategie
   di   protezione,  curando   con  particolare
   attenzione le specie in via di estinzione.

   IV. DETERIORAMENTO DELLA  QUALITÀ DELLA VITA
   UMANA E DEGRADAZIONE SOCIALE

43.

   Se  teniamo   conto  del  fatto   che  anche
   l'essere  umano  è  una creatura  di  questo
   mondo, che  ha diritto a vivere  e ad essere
   felice, e  inoltre ha una  speciale dignità,
   non possiamo tralasciare  di considerare gli
   effetti del degrado ambientale, dell'attuale
   modello  di sviluppo  e della  cultura dello
   scarto sulla vita delle persone.

44.

   Oggi riscontriamo, per esempio, la smisurata
   e  disordinata crescita  di molte  città che
   sono diventate invivibili dal punto di vista
   della  salute, non  solo per  l'inquinamento
   originato dalle emissioni tossiche, ma anche
   per il caos urbano,  i problemi di trasporto
   e  l'inquinamento visivo  e acustico.  Molte
   città sono grandi strutture inefficienti che
   consumano  in eccesso  acqua ed  energia. Ci
   sono  quartieri  che,  sebbene  siano  stati
   costruiti di  recente, sono  congestionati e
   disordinati, senza  spazi verdi sufficienti.
   Non si addice ad  abitanti di questo pianeta
   vivere  sempre  più   sommersi  da  cemento,
   asfalto,  vetro   e  metalli,   privati  del
   contatto fisico con la natura.

45.

   In   alcuni   luoghi,   rurali   e   urbani,
   la  privatizzazione  degli   spazi  ha  reso
   difficile l'accesso dei  cittadini a zone di
   particolare bellezza; altrove si sono creati
   quartieri  residenziali  "ecologici" solo  a
   disposizione di pochi, dove si fa in modo di
   evitare che  altri entrino a  disturbare una
   tranquillità  artificiale.  Spesso si  trova
   una città  bella e piena di  spazi verdi ben
   curati  in  alcune  aree  "sicure",  ma  non
   altrettanto  in  zone  meno  visibili,  dove
   vivono gli scartati della società.

46.

   Tra  le componenti  sociali del  cambiamento
   globale    si    includono    gli    effetti
   occupazionali    di    alcune    innovazioni
   tecnologiche,   l'esclusione   sociale,   la
   disuguaglianza  nella  disponibilità  e  nel
   consumo  dell'energia  e di  altri  servizi,
   la  frammentazione sociale,  l'aumento della
   violenza  e il  sorgere  di  nuove forme  di
   aggressività  sociale,  il  narcotraffico  e
   il  consumo crescente  di droghe  fra i  più
   giovani, la perdita di identità. Sono segni,
   tra gli altri, che mostrano come la crescita
   degli ultimi  due secoli non  ha significato
   in tutti  i suoi  aspetti un  vero progresso
   integrale e  un miglioramento  della qualità
   della  vita.  Alcuni  di questi  segni  sono
   allo  stesso   tempo  sintomi  di   un  vero
   degrado sociale,  di una  silenziosa rottura
   dei  legami di  integrazione e  di comunione
   sociale.

47.

   A  questo  si  aggiungono le  dinamiche  dei
   media  e  del  mondo digitale,  che,  quando
   diventano  onnipresenti, non  favoriscono lo
   sviluppo  di  una  capacità  di  vivere  con
   sapienza,  di  pensare   in  profondità,  di
   amare con generosità.  I grandi sapienti del
   passato,  in  questo contesto,  correrebbero
   il  rischio   divedere  soffocata   la  loro
   sapienza  in  mezzo   al  rumore  dispersivo
   dell'informazione.  Questo  ci richiede  uno
   sforzo affinché  tali mezzi si  traducano in
   un nuovo  sviluppo culturale  dell'umanità e
   non in un deterioramento della sua ricchezza
   più profonda. La vera sapienza, frutto della
   riflessione,  del  dialogo  e  dell'incontro
   generoso fra  le persone, non  si acquisisce
   con  una  mera  accumulazione  di  dati  che
   finisce  per   saturare  e   confondere,  in
   una  specie di  inquinamento mentale.  Nello
   stesso  tempo, le  relazioni  reali con  gli
   altri,  con tutte  le  sfide che  implicano,
   tendono  ad  essere  sostituite da  un  tipo
   di  comunicazione mediata  da internet.  Ciò
   permette  di  selezionare   o  eliminare  le
   relazioni secondo il nostro arbitrio, e così
   si genera  spesso un nuovo tipo  di emozioni
   artificiali, che hanno a  che vedere più con
   dispositivi e  schermi che con le  persone e
   la  natura. I  mezzi attuali  permettono che
   comunichiamo  tra  noi  e  che  condividiamo
   conoscenze  e  affetti.  Tuttavia,  a  volte
   anche  ci impediscono  di prendere  contatto
   diretto con l'angoscia,  con il tremore, con
   la  gioia dell'altro  e  con la  complessità
   della sua  esperienza personale.  Per questo
   non   dovrebbe   stupire   il   fatto   che,
   insieme  all'opprimente  offerta  di  questi
   prodotti,  vada  crescendo  una  profonda  e
   malinconica insoddisfazione  nelle relazioni
   interpersonali, o un dannoso isolamento.

   V. INEQUITÀ PLANETARIA

48.

   L'ambiente  umano e  l'ambiente naturale  si
   degradano insieme, e  non potremo affrontare
   adeguatamente  il   degrado  ambientale,  se
   non  prestiamo  attenzione  alle  cause  che
   hanno  attinenza  con  il  degrado  umano  e
   sociale.   Di   fatto,   il   deterioramento
   dell'ambiente   e   quello   della   società
   colpiscono  in modo  speciale  i più  deboli
   del  pianeta:   «Tanto  l'esperienza  comune
   della  vita  ordinaria   quanto  la  ricerca
   scientifica dimostrano  che gli  effetti più
   gravi  di  tutte le  aggressioni  ambientali
   li  subisce   la  gente  più   povera».  Per
   esempio, l'esaurimento delle riserve ittiche
   penalizza  specialmente  coloro  che  vivono
   della   pesca   artigianale  e   non   hanno
   come sostituirla,  l'inquinamento dell'acqua
   colpisce  in particolare  i  più poveri  che
   non   hanno  la   possibilità  di   comprare
   acqua  imbottigliata,  e l'innalzamento  del
   livello del mare  colpisce principalmente le
   popolazioni costiere  impoverite che  non ha
   dove trasferirsi.  L'impatto degli squilibri
   attuali  si  manifesta   anche  nella  morte
   prematura  di  molti poveri,  nei  conflitti
   generati  dalla  mancanza  di risorse  e  in
   tanti altri problemi  che non trovano spazio
   sufficiente nelle agende del mondo.

49.

   Vorrei osservare che spesso non si ha chiara
   consapevolezza  dei problemi  che colpiscono
   particolarmente  gli esclusi.  Essi sono  la
   maggior  parte  del   pianeta,  miliardi  di
   persone. Oggi sono  menzionati nei dibattiti
   politici  ed  economici  internazionali,  ma
   per  lo  più  sembra  che  i  loro  problemi
   si  pongano  come   un'appendice,  come  una
   questione che si  aggiunga quasi per obbligo
   o  in  maniera  periferica,  se  non  li  si
   considera  un  mero  danno  collaterale.  Di
   fatto, al  momento dell'attuazione concreta,
   rimangono  frequentemente all'ultimo  posto.
   Questo  si  deve  in   parte  al  fatto  che
   tanti  professionisti,   opinionisti,  mezzi
   di  comunicazione e  centri  di potere  sono
   ubicati  lontani  da  loro, in  aree  urbane
   isolate, senza  contatto diretto con  i loro
   problemi.  Vivono  e  riflettono  a  partire
   dalla  comodità di  uno  sviluppo  e di  una
   qualità di  vita che  non sono  alla portata
   della   maggior   parte  della   popolazione
   mondiale. Questa mancanza di contatto fisico
   e  di  incontro,   a  volte  favorita  dalla
   frammentazione delle  nostre città,  aiuta a
   cauterizzare la coscienza e a ignorare parte
   della  realtà  in  analisi parziali.  Ciò  a
   volte  convive con  un discorso  "verde". Ma
   oggi non possiamo fare a meno di riconoscere
   che  un  vero  approccio  ecologico  diventa
   sempre  un   approccio  sociale,   che  deve
   integrare  la  giustizia  nelle  discussioni
   sull'ambiente, per ascoltare  tanto il grido
   della terra quanto il grido dei poveri.

50.

   Invece   di   risolvere   i   problemi   dei
   poveri  e   pensare  a  un   mondo  diverso,
   alcuni   si   limitano    a   proporre   una
   riduzione   della   natalità.  Non   mancano
   pressioni   internazionali   sui  Paesi   in
   via   di  sviluppo   che  condizionano   gli
   aiuti  economici   a  determinate  politiche
   di  "salute   riproduttiva".  Però,   «se  è
   vero  che   l'ineguale  distribuzione  della
   popolazione  e   delle  risorse  disponibili
   crea  ostacoli allo  sviluppo  e  ad un  uso
   sostenibile  dell'ambiente, va  riconosciuto
   che  la  crescita demografica  è  pienamente
   compatibile   con  uno   sviluppo  integrale
   e    solidale».    Incolpare    l'incremento
   demografico  e non  il consumismo  estremo e
   selettivo  di  alcuni,  è un  modo  per  non
   affrontare i  problemi. Si pretende  così di
   legittimare l'attuale  modello distributivo,
   in cui una minoranza  si crede in diritto di
   consumare  in  una proporzione  che  sarebbe
   impossibile generalizzare, perché il pianeta
   non potrebbe nemmeno  contenere i rifiuti di
   un simile consumo.  Inoltre, sappiamo che si
   spreca  approssimativamente  un terzo  degli
   alimenti che si producono, e «il cibo che si
   butta  via è  come  se lo  si rubasse  dalla
   mensa del povero». Ad ogni modo, è certo che
   bisogna prestare  attenzione allo squilibrio
   nella  distribuzione  della popolazione  sul
   territorio,  sia  a  livello  nazionale  sia
   a  livello  globale,  perché  l'aumento  del
   consumo  porterebbe  a situazioni  regionali
   complesse, per  le combinazioni  di problemi
   legati   all'inquinamento   ambientale,   ai
   trasporti,  allo  smaltimento  dei  rifiuti,
   alla perdita di  risorse, alla qualità della
   vita.

51.

   L'inequità non colpisce  solo gli individui,
   ma  Paesi interi,  e  obbliga  a pensare  ad
   un'etica  delle   relazioni  internazionali.
   C'è  infatti  un  vero  "debito  ecologico",
   soprattutto   tra   il   Nord  e   il   Sud,
   connesso   a   squilibri   commerciali   con
   conseguenze   in   ambito  ecologico,   come
   pure  all'uso  sproporzionato delle  risorse
   naturali  compiuto  storicamente  da  alcuni
   Paesi.  Le  esportazioni di  alcune  materie
   prime  per  soddisfare  i mercati  nel  Nord
   industrializzato   hanno    prodotto   danni
   locali,  come   l'inquinamento  da  mercurio
   nelle  miniere   d'oro  o  da   diossido  di
   zolfo   in   quelle   di   rame.   In   modo
   particolare  c'è  da calcolare  l'uso  dello
   spazio  ambientale di  tutto il  pianeta per
   depositare rifiuti  gassosi che  sono andati
   accumulandosi  durante  due secoli  e  hanno
   generato  una  situazione che  ora  colpisce
   tutti  i Paesi  del mondo.  Il riscaldamento
   causato   dall'enorme   consumo  di   alcuni
   Paesi  ricchi  ha ripercussioni  nei  luoghi
   più  poveri  della  terra,  specialmente  in
   Africa,  dove  l'aumento  della  temperatura
   unito  alla  siccità ha  effetti  disastrosi
   sul   rendimento   delle   coltivazioni.   A
   questo   si   uniscono   i   danni   causati
   dall'esportazione  verso  i   Paesi  in  via
   di  sviluppo  di  rifiuti solidi  e  liquidi
   tossici   e   dall'attività  inquinante   di
   imprese che fanno  nei Paesi meno sviluppati
   ciò  che  non  possono fare  nei  Paesi  che
   apportano  loro  capitale: «Constatiamo  che
   spesso  le  imprese  che operano  così  sono
   multinazionali, che fanno qui quello che non
   è  loro  permesso  nei  Paesi  sviluppati  o
   del  cosiddetto  primo mondo.  Generalmente,
   quando  cessano   le  loro  attività   e  si
   ritirano,  lasciano  grandi  danni  umani  e
   ambientali, come la disoccupazione, villaggi
   senza  vita, esaurimento  di alcune  riserve
   naturali,    deforestazione,   impoverimento
   dell'agricoltura e  dell'allevamento locale,
   crateri, colline  devastate, fiumi inquinati
   e qualche  opera sociale che non  si può più
   sostenere».

52.

   Il  debito  estero  dei Paesi  poveri  si  è
   trasformato in  uno strumento  di controllo,
   ma non  accade la stessa cosa  con il debito
   ecologico. In diversi modi,  i popoli in via
   di sviluppo, dove si  trovano le riserve più
   importanti  della  biosfera,  continuano  ad
   alimentare lo sviluppo  dei Paesi più ricchi
   a  prezzo  del  loro  presente  e  del  loro
   futuro.  La  terra  dei  poveri  del  Sud  è
   ricca  e poco  inquinata, ma  l'accesso alla
   proprietà  dei  beni  e  delle  risorse  per
   soddisfare  le  proprie necessità  vitali  è
   loro  vietato  da  un  sistema  di  rapporti
   commerciali  e di  proprietà strutturalmente
   perverso.   E'   necessario  che   i   Paesi
   sviluppati contribuiscano a risolvere questo
   debito  limitando  in   modo  importante  il
   consumo  di   energia  non   rinnovabile,  e
   apportando  risorse ai  Paesi più  bisognosi
   per  promuovere  politiche  e  programmi  di
   sviluppo   sostenibile.  Le   regioni  e   i
   Paesi  più  poveri  hanno  meno  possibilità
   di  adottare  nuovi   modelli  di  riduzione
   dell'impatto  ambientale,  perché non  hanno
   la  preparazione per  sviluppare i  processi
   necessari  e non  possono coprirne  i costi.
   Perciò,   bisogna   conservare   chiara   la
   coscienza  che   nel  cambiamento  climatico
   ci  sono   responsabilità  diversificate  e,
   come  hanno  detto  i  Vescovi  degli  Stati
   Uniti,   è  opportuno   puntare«specialmente
   sulle   necessità  dei   poveri,  deboli   e
   vulnerabili,in un  dibattito spesso dominato
   dagli   interessi   più  potenti».   Bisogna
   rafforzare la  consapevolezza che  siamo una
   sola famiglia  umana. Non ci  sono frontiere
   e  barriere  politiche   o  sociali  che  ci
   permettano di isolarci, e per ciò stesso non
   c'è  nemmeno spazio  per la  globalizzazione
   dell'indifferenza.

   VI. LA DEBOLEZZA DELLE REAZIONI

53.

   Queste  situazioni  provocano  i  gemiti  di
   sorella  terra, che  si  uniscono ai  gemiti
   degli abbandonati del  mondo, con un lamento
   che  reclama  da  noi  un'altra  rotta.  Mai
   abbiamo maltrattato e  offeso la nostra casa
   comune come  negli ultimi due  secoli. Siamo
   invece chiamati a diventare gli strumenti di
   Dio  Padre  perché  il  nostro  pianeta  sia
   quello  che  Egli  ha  sognato  nel  crearlo
   e   risponda  al   suo  progetto   di  pace,
   bellezza e  pienezza. Il problema è  che non
   disponiamo  ancora della  cultura necessaria
   per affrontare questa crisi e c'è bisogno di
   costruire  leadership che  indichino strade,
   cercando di rispondere  alle necessità delle
   generazioni attuali  includendo tutti, senza
   compromettere  le   generazioni  future.  Si
   rende   indispensabile  creare   un  sistema
   normativo che  includa limiti  inviolabili e
   assicuri  la  protezione  degli  ecosistemi,
   prima che le nuove  forme di potere derivate
   dal paradigma  tecno-economico finiscano per
   distruggere non solo la politica ma anche la
   libertà e la giustizia.

54.

   Degna di nota è  la debolezza della reazione
   politica  internazionale.  La  sottomissione
   della  politica   alla  tecnologia   e  alla
   finanza  si  dimostra   nel  fallimento  dei
   Vertici  mondiali   sull'ambiente.  Ci  sono
   troppi   interessi   particolari   e   molto
   facilmente  l'interesse  economico arriva  a
   prevalere  sul bene  comune  e a  manipolare
   l'informazione  per  non  vedere  colpiti  i
   suoi progetti. In  questa linea il Documento
   di  Aparecida chiede  che «negli  interventi
   sulle   risorse   naturali  non   prevalgano
   gli  interessi   di  gruppi   economici  che
   distruggono  irrazionalmente   le  fonti  di
   vita». L'alleanza tra  economia e tecnologia
   finisce   per  lasciare   fuori  tutto   ciò
   che   non  fa   parte  dei   loro  interessi
   immediati.  Così  ci si  potrebbe  aspettare
   solamente   alcuni  proclami   superficiali,
   azioni filantropiche isolate, e anche sforzi
   per  mostrare sensibilità  verso l'ambiente,
   mentre in  realtà qualunque  tentativo delle
   organizzazioni sociali di modificare le cose
   sarà  visto come  un  disturbo provocato  da
   sognatori  romantici o  come un  ostacolo da
   eludere.

55.

   A   poco  a   poco   alcuni  Paesi   possono
   mostrare  progressi importanti,  lo sviluppo
   di  controlli  più  efficienti e  una  lotta
   più   sincera  contro   la  corruzione.   E'
   cresciuta  la  sensibilità  ecologica  delle
   popolazioni,   anche   se  non   basta   per
   modificare le  abitudini nocive  di consumo,
   che non sembrano  recedere, bensì estendersi
   e  svilupparsi.   E'  quello   che  succede,
   per   fare   solo   un   semplice   esempio,
   con   il   crescente  aumento   dell'uso   e
   dell'intensità dei  condizionatori d'aria: i
   mercati,  cercando  un  profitto  immediato,
   stimolano  ancora  di  più  la  domanda.  Se
   qualcuno osservasse  dall'esterno la società
   planetaria,  si stupirebbe  di  fronte a  un
   simile  comportamento  che  a  volte  sembra
   suicida.

56.

   Nel frattempo i  poteri economici continuano
   a  giustificare l'attuale  sistema mondiale,
   in  cui prevalgono  una  speculazione e  una
   ricerca   della   rendita  finanziaria   che
   tendono  ad  ignorare  ogni contesto  e  gli
   effetti sulla dignità umana e sull'ambiente.
   Così si manifesta  che il degrado ambientale
   e il degrado umano ed etico sono intimamente
   connessi.   Molti  diranno   che  non   sono
   consapevoli  di  compiere  azioni  immorali,
   perché  la  distrazione costante  ci  toglie
   il  coraggio di  accorgerci della  realtà di
   un  mondo  limitato  e  finito.  Per  questo
   oggi  «qualunque   cosa  che   sia  fragile,
   come  l'ambiente,  rimane indifesa  rispetto
   agli  interessi   del  mercato  divinizzato,
   trasformati in regola assoluta».

57.

   E'     prevedibile     che,    di     fronte
   all'esaurimento   di   alcune  risorse,   si
   vada   creando   uno   scenario   favorevole
   per  nuove  guerre,  mascherate  con  nobili
   rivendicazioni.   La  guerra   causa  sempre
   gravi  danni all'ambiente  e alla  ricchezza
   culturale dei  popoli, e i  rischi diventano
   enormi quando si pensa  alle armi nucleari e
   a quelle biologiche. Infatti «nonostante che
   accordi internazionali proibiscano la guerra
   chimica, batteriologica e  biologica, sta di
   fatto che nei laboratori continua la ricerca
   per  lo sviluppo  di  nuove armi  offensive,
   capaci di alterare  gli equilibri naturali».
   Si  richiede  dalla  politica  una  maggiore
   attenzione  per  prevenire  e  risolvere  le
   cause  che  possono  dare  origine  a  nuovi
   conflitti.  Ma il  potere  collegato con  la
   finanza  è quello  che  più  resiste a  tale
   sforzo,  e  i  disegni politici  spesso  non
   hanno  ampiezza di  vedute. Perché  si vuole
   mantenere oggi un  potere che sarà ricordato
   per la sua  incapacità di intervenire quando
   era urgente e necessario farlo?

58.

   In  alcuni  Paesi  ci sono  esempi  positivi
   di  risultati   nel  migliorare  l'ambiente,
   come  il  risanamento  di alcuni  fiumi  che
   sono  stati  inquinati  per  tanti  decenni,
   il   recupero   di   boschi   autoctoni,   o
   l'abbellimento  di  paesaggi  con  opere  di
   risanamento  ambientale, o  progetti edilizi
   di grande  valore estetico,  progressi nella
   produzione  di energia  non inquinante,  nel
   miglioramento dei trasporti pubblici. Queste
   azioni  non  risolvono i  problemi  globali,
   ma  confermano che  l'essere umano  è ancora
   capace di intervenire positivamente. Essendo
   stato  creato per  amare, in  mezzo ai  suoi
   limiti germogliano  inevitabilmente gesti di
   generosità, solidarietà e cura.

59.

   Nello   stesso  tempo,   cresce  un'ecologia
   superficiale  o apparente  che consolida  un
   certo   intorpidimento  e   una  spensierata
   irresponsabilità.  Come   spesso  accade  in
   epoche  di  profonde crisi,  che  richiedono
   decisioni   coraggiose,  siamo   tentati  di
   pensare  che  quanto  sta succedendo  non  è
   certo.  Se guardiamo  in modo  superficiale,
   al  di  là  di   alcuni  segni  visibili  di
   inquinamento  e di  degrado,  sembra che  le
   cose non siano tanto  gravi e che il pianeta
   potrebbe  rimanere  per  molto  tempo  nelle
   condizioni  attuali.   Questo  comportamento
   evasivo  ci  serve  per mantenere  i  nostri
   stili di  vita, di produzione e  di consumo.
   E' il modo in cui l'essere umano si arrangia
   per alimentare tutti i vizi autodistruttivi:
   cercando  di   non  vederli,   lottando  per
   non  riconoscerli,  rimandando le  decisioni
   importanti, facendo come se nulla fosse.

   VII. DIVERSITÀ DI OPINIONI

60.

   Infine, riconosciamo che  si sono sviluppate
   diverse  visioni  e  linee  di  pensiero  in
   merito  alla  situazione  e  alle  possibili
   soluzioni. Da un  estremo, alcuni sostengono
   ad   ogni  costo   il  mito   del  progresso
   e   affermano  che   i  problemi   ecologici
   si  risolveranno   semplicemente  con  nuove
   applicazioni tecniche,  senza considerazioni
   etiche né  cambiamenti di  fondo. Dall'altro
   estremo,  altri  ritengono   che  la  specie
   umana,  con  qualunque suo  intervento,  può
   essere  solo  una minaccia  e  compromettere
   l'ecosistema  mondiale,   per  cui  conviene
   ridurre  la  sua   presenza  sul  pianeta  e
   impedirle  ogni  tipo   di  intervento.  Fra
   questi  estremi,   la  riflessione  dovrebbe
   identificare   possibili   scenari   futuri,
   perché  non c'è  un'unica via  di soluzione.
   Questo  lascerebbe spazio  a una  varietà di
   apporti che potrebbero entrare in dialogo in
   vista di risposte integrali.

61.

   Su molte questioni concrete la Chiesa non ha
   motivo di  proporre una parola  definitiva e
   capisce  che  deve  ascoltare  e  promuovere
   il  dibattito  onesto  fra  gli  scienziati,
   rispettando le diversità  di opinione. Basta
   però  guardare la  realtà con  sincerità per
   vedere  che  c'è  un  grande  deterioramento
   della  nostra casa  comune.  La speranza  ci
   invita a riconoscere che  c'è sempre una via
   di  uscita,  che  possiamo  sempre  cambiare
   rotta,  che  possiamo sempre  fare  qualcosa
   per risolvere  i problemi.  Tuttavia, sembra
   di  riscontrare  sintomi   di  un  punto  di
   rottura,  a  causa   della  grande  velocità
   dei  cambiamenti  e   del  degrado,  che  si
   manifestano  tanto  in  catastrofi  naturali
   regionali  quanto in  crisi sociali  o anche
   finanziarie, dato  che i problemi  del mondo
   non  si possono  analizzare  né spiegare  in
   modo  isolato.  Ci  sono  regioni  che  sono
   già  particolarmente  a  rischio  e,  aldilà
   di  qualunque   previsione  catastrofica,  è
   certo  che  l'attuale   sistema  mondiale  è
   insostenibile  da  diversi punti  di  vista,
   perché  abbiamo smesso  di  pensare ai  fini
   dell'agire umano: «Se lo sguardo percorre le
   regioni  del nostro  pianeta, ci  si accorge
   subito  che  l'umanità  ha  deluso  l'attesa
   divina».

                 CAPITOLO SECONDO

            IL VANGELO DELLA CREAZIONE

62.

   Perché inserire in questo documento, rivolto
   a  tutti le  persone  di  buona volontà,  un
   capitolo riferito alle  convinzioni di fede?
   Sono  consapevole   che,  nel   campo  della
   politica  e del  pensiero, alcuni  rifiutano
   con  forza  l'idea  di  un  Creatore,  o  la
   ritengono irrilevante, al  punto da relegare
   all'ambito dell'irrazionale la ricchezza che
   le religioni possono offrire per un'ecologia
   integrale  e  per   il  pieno  sviluppo  del
   genere   umano.  Altre   volte  si   suppone
   che  esse   costituiscano  una  sottocultura
   che   dev'essere  semplicemente   tollerata.
   Tuttavia,  la scienza  e  la religione,  che
   forniscono  approcci  diversi  alla  realtà,
   possono  entrare  in  un dialogo  intenso  e
   produttivo per entrambe.

   I. LA LUCE CHE LA FEDE OFFRE

63.

   Se  teniamo  conto della  complessità  della
   crisi  ecologica  e   delle  sue  molteplici
   cause, dovremmo riconoscere che le soluzioni
   non  possono  venire  da un  unico  modo  di
   interpretare  e  trasformare  la  realtà.  È
   necessario  ricorrere   anche  alle  diverse
   ricchezze  culturali  dei  popoli,  all'arte
   e  alla   poesia,  alla  vita   interiore  e
   alla  spiritualità.  Se si  vuole  veramente
   costruire  un'ecologia  che ci  permetta  di
   riparare  tutto ciò  che abbiamo  distrutto,
   allora nessun  ramo delle scienze  e nessuna
   forma  di  saggezza può  essere  trascurata,
   nemmeno   quella   religiosa  con   il   suo
   linguaggio   proprio.   Inoltre  la   Chiesa
   Cattolica  è   aperta  al  dialogo   con  il
   pensiero  filosofico, e  ciò le  permette di
   produrre varie  sintesi tra fede  e ragione.
   Per  quanto riguarda  le questioni  sociali,
   questo lo  si può constatare  nello sviluppo
   della   dottrina   sociale   della   Chiesa,
   chiamata  ad  arricchirsi  sempre di  più  a
   partire dalle nuove sfide.

64.

   D'altra parte, anche  se questa Enciclica si
   apre  a un  dialogo  con  tutti per  cercare
   insieme   cammini  di   liberazione,  voglio
   mostrare fin dall'inizio come le convinzioni
   di  fede offrano  ai cristiani,  e in  parte
   anche  ad altri  credenti, motivazioni  alte
   per  prendersi  cura   della  natura  e  dei
   fratelli e  sorelle più fragili. Se  il solo
   fatto  di  essere  umani  muove  le  persone
   a  prendersi  cura dell'ambiente  del  quale
   sono  parte, «i  cristiani, in  particolare,
   avvertono  che  i loro  compiti  all'interno
   del  creato,  i  loro doveri  nei  confronti
   della  natura  e  del  Creatore  sono  parte
   della loro  fede». Pertanto,  è un  bene per
   l'umanità e  per il  mondo che  noi credenti
   riconosciamo  meglio  gli impegni  ecologici
   che scaturiscono dalle nostre convinzioni.

   II. LA SAPIENZA DEI RACCONTI BIBLICI

65.

   Senza riproporre qui l'intera teologia della
   Creazione, ci  chiediamo che cosa  ci dicono
   i  grandi  racconti   biblici  sul  rapporto
   dell'essere  umano con  il mondo.  Nel primo
   racconto  dell'opera   creatrice  nel  libro
   della  Genesi, il  piano di  Dio include  la
   creazione  dell'umanità.  Dopo la  creazione
   dell'uomo e  della donna,  si dice  che «Dio
   vide quanto  aveva fatto, ed ecco,  era cosa
   molto buona»  (Gen 1,31). La  Bibbia insegna
   che ogni  essere umano  è creato  per amore,
   fatto ad immagine e  somiglianza di Dio (cfr
   Gen  1,26).  Questa affermazione  ci  mostra
   l'immensa dignità di ogni persona umana, che
   «non è  soltanto qualche cosa,  ma qualcuno.
   È  capace  di   conoscersi,  di  possedersi,
   di  liberamente  donarsi  e  di  entrare  in
   comunione con  altre persone».  San Giovanni
   Paolo II ha ricordato come l'amore del tutto
   speciale che il Creatore  ha per ogni essere
   umano «gli conferisce una dignità infinita».
   Coloro  che s'impegnano  nella difesa  della
   dignità delle persone  possono trovare nella
   fede cristiana  le ragioni più  profonde per
   tale  impegno. Che  meravigliosa certezza  è
   sapere che  la vita  di ogni persona  non si
   perde  in un  disperante caos,  in un  mondo
   governato  dalla pura  casualità o  da cicli
   che si ripetono senza senso! Il Creatore può
   dire a  ciascuno di noi: «Prima  di formarti
   nel grembo  materno, ti ho  conosciuto» (Ger
   1,5). Siamo stati concepiti nel cuore di Dio
   e quindi «ciascuno di noi  è il frutto di un
   pensiero di  Dio. Ciascuno di noi  è voluto,
   ciascuno è amato, ciascuno è necessario».

66.

   I racconti  della creazione nel  libro della
   Genesi   contengono,  nel   loro  linguaggio
   simbolico e narrativo, profondi insegnamenti
   sull'esistenza   umana  e   la  sua   realtà
   storica.  Questi  racconti suggeriscono  che
   l'esistenza umana  si basa su  tre relazioni
   fondamentali   strettamente   connesse:   la
   relazione con Dio, quella  con il prossimo e
   quella  con  la  terra. Secondo  la  Bibbia,
   queste  tre  relazioni  vitali  sono  rotte,
   non  solo fuori,  ma  anche  dentro di  noi.
   Questa  rottura  è   il  peccato.  L'armonia
   tra  il  Creatore,   l'umanità  e  tutto  il
   creato  è  stata  distrutta  per  avere  noi
   preteso  di   prendere  il  posto   di  Dio,
   rifiutando  di  riconoscerci  come  creature
   limitate.  Questo  fatto ha  distorto  anche
   la  natura  del  mandato  di  soggiogare  la
   terra  (cfr  Gen  1,28) e  di  coltivarla  e
   custodirla (cfr  Gen 2,15).  Come risultato,
   la  relazione  originariamente armonica  tra
   essere  umano  e  natura  si  è  trasformato
   in  un  conflitto  (cfr  Gen  3,17-19).  Per
   questo  è  significativo che  l'armonia  che
   san Francesco  d'Assisi viveva con  tutte le
   creature  sia  stata interpretata  come  una
   guarigione di tale  rottura. San Bonaventura
   disse  che   attraverso  la  riconciliazione
   universale con tutte  le creature in qualche
   modo Francesco  era riportato allo  stato di
   innocenza originaria. Lungi da quel modello,
   oggi il  peccato si  manifesta con  tutta la
   sua forza di distruzione nelle guerre, nelle
   diverse forme di  violenza e maltrattamento,
   nell'abbandono   dei   più  fragili,   negli
   attacchi contro la natura.

67.

   Noi  non  siamo  Dio. La  terra  ci  precede
   e  ci   è  stata   data.  Ciò   consente  di
   rispondere   a  un'accusa   lanciata  contro
   il   pensiero  ebraico-cristiano:   è  stato
   detto  che,  a  partire dal  racconto  della
   Genesi   che   invita    a   soggiogare   la
   terra  (cfr  Gen  1,28),  verrebbe  favorito
   lo   sfruttamento  selvaggio   della  natura
   presentando  un'immagine  dell'essere  umano
   come dominatore e  distruttore. Questa non è
   una  corretta  interpretazione della  Bibbia
   come  la  intende  la  Chiesa.  Anche  se  è
   vero  che qualche  volta  i cristiani  hanno
   interpretato  le   Scritture  in   modo  non
   corretto, oggi dobbiamo  rifiutare con forza
   che dal  fatto di  essere creati  a immagine
   di  Dio  e  dal  mandato  di  soggiogare  la
   terra si  possa dedurre un  dominio assoluto
   sulle altre creature. È importante leggere i
   testi  biblici nel  loro  contesto, con  una
   giusta  ermeneutica,  e ricordare  che  essi
   ci  invitano a  «coltivare  e custodire»  il
   giardino  del mondo  (cfr Gen  2,15). Mentre
   «coltivare»  significa arare  o lavorare  un
   terreno,  «custodire» vuol  dire proteggere,
   curare,  preservare,  conservare,  vigilare.
   Ciò  implica  una relazione  di  reciprocità
   responsabile tra essere umano e natura. Ogni
   comunità  può  prendere  dalla  bontà  della
   terra ciò  di cui ha bisogno  per la propria
   sopravvivenza,  ma  ha  anche il  dovere  di
   tutelarla  e garantire  la continuità  della
   sua fertilità per  le generazioni future. In
   definitiva,  «del Signore  è la  terra» (Sal
   24,1), a  Lui appartiene «la terra  e quanto
   essa contiene»  (Dt 10,14). Perciò  Dio nega
   ogni  pretesa  di  proprietà  assoluta:  «Le
   terre  non si  potranno vendere  per sempre,
   perché la terra è mia  e voi siete presso di
   me come forestieri e ospiti» (Lv 25,23).

68.

   Questa  responsabilità  di   fronte  ad  una
   terra  che è  di Dio,  implica che  l'essere
   umano, dotato  di intelligenza,  rispetti le
   leggi  della natura  e i  delicati equilibri
   tra  gli  esseri  di  questo  mondo,  perché
   «al  suo comando  sono stati  creati. Li  ha
   resi  stabili  nei  secoli  per  sempre;  ha
   fissato  un decreto  che  non passerà»  (Sal
   148,5b-6).  Ne  consegue  il  fatto  che  la
   legislazione biblica si  soffermi a proporre
   all'essere umano diverse  norme, non solo in
   relazione agli altri  esseri umani, ma anche
   in relazione agli  altri esseri viventi: «Se
   vedi l'asino  di tuo  fratello o il  suo bue
   caduto lungo la strada,  non fingerai di non
   averli scorti [...]. Quando, cammin facendo,
   troverai sopra un albero o per terra un nido
   d'uccelli con  uccellini o  uova e  la madre
   che sta covando gli uccellini o le uova, non
   prenderai la  madre che  è con i  figli» (Dt
   22,4.6).  In  questa  linea, il  riposo  del
   settimo  giorno  non  è  proposto  solo  per
   l'essere  umano,  ma anche  «perché  possano
   godere  quiete il  tuo bue  e il  tuo asino»
   (Es 23,12).  Così ci  rendiamo conto  che la
   Bibbia non  dà adito ad  un antropocentrismo
   dispotico che  non si interessi  delle altre
   creature.

69.

   Mentre  possiamo  fare un  uso  responsabile
   delle  cose,  siamo chiamati  a  riconoscere
   che  gli  altri   esseri  viventi  hanno  un
   valore  proprio  di  fronte  a  Dio  e  «con
   la  loro  semplice esistenza  lo  benedicono
   e  gli rendono  gloria»,  perché il  Signore
   gioisce  nelle sue  opere (cfr  Sal 104,31).
   Proprio  per  la  sua dignità  unica  e  per
   essere  dotato   di  intelligenza,  l'essere
   umano  è  chiamato  a rispettare  il  creato
   con  le   sue  leggi  interne,   poiché  «il
   Signore  ha fondato  la terra  con sapienza»
   (Pr  3,19).  Oggi  la  Chiesa  non  dice  in
   maniera semplicistica che  le altre creature
   sono   completamente  subordinate   al  bene
   dell'essere  umano,  come  se  non  avessero
   un  valore  in  sé stesse  e  noi  potessimo
   disporne  a   piacimento.  Così   i  Vescovi
   della  Germania hanno  spiegato  che per  le
   altre  creature «si  potrebbe parlare  della
   priorità  dell'essere   rispetto  all'essere
   utili». Il Catechismo pone in discussione in
   modo  molto diretto  e insistito  quello che
   sarebbe  un antropocentrismo  deviato: «Ogni
   creatura ha  la sua  propria bontà e  la sua
   propria perfezione [...]  Le varie creature,
   volute nel loro  proprio essere, riflettono,
   ognuna a  suo modo, un  raggio dell'infinita
   sapienza e  bontà di Dio. Per  questo l'uomo
   deve  rispettare la  bontà  propria di  ogni
   creatura,  per  evitare un  uso  disordinato
   delle cose».

70.

   Nel  racconto  di  Caino  e  Abele,  vediamo
   che la  gelosia ha  spinto Caino  a compiere
   l'estrema  ingiustizia contro  suo fratello.
   Ciò a sua volta ha causato una rottura della
   relazione  tra Caino  e  Dio e  tra Caino  e
   la  terra, dalla  quale fu  esiliato. Questo
   passaggio  è   sintetizzato  nel  drammatico
   colloquio  tra  Dio  e  Caino.  Dio  chiede:
   «Dov'è Abele, tuo  fratello?». Caino dice di
   non saperlo  e Dio insiste: «Che  hai fatto?
   La voce  del sangue di tuo  fratello grida a
   me dal suolo! Ora  sii maledetto, lontano da
   [questo]  suolo»  (Gen  4,9-11).  Trascurare
   l'impegno  di  coltivare   e  mantenere  una
   relazione  corretta con  il prossimo,  verso
   il  quale   ho  il   dovere  della   cura  e
   della custodia,  distrugge la  mia relazione
   interiore  con  me  stesso, con  gli  altri,
   con  Dio  e  con   la  terra.  Quando  tutte
   queste  relazioni  sono  trascurate,  quando
   la  giustizia  non  abita più  sulla  terra,
   la  Bibbia  ci  dice  che tutta  la  vita  è
   in  pericolo. Questo  è ciò  che ci  insegna
   il  racconto  di  Noè, quando  Dio  minaccia
   di  spazzare   via  l'umanità  per   la  sua
   persistente incapacità di vivere all'altezza
   delle esigenze della giustizia e della pace:
   «È  venuta  per me  la  fine  di ogni  uomo,
   perché la terra, per  causa loro, è piena di
   violenza»  (Gen  6,13). In  questi  racconti
   così antichi, ricchi di profondo simbolismo,
   era  già  contenuta   una  convinzione  oggi
   sentita: che tutto è  in relazione, e che la
   cura  autentica  della  nostra  stessa  vita
   e  delle  nostre  relazioni  con  la  natura
   è   inseparabile  dalla   fraternità,  dalla
   giustizia  e  dalla  fedeltà  nei  confronti
   degli altri.

71.

   Anche  se  «la  malvagità degli  uomini  era
   grande  sulla terra»  (Gen  6,5)  e Dio  «si
   pentì  di  aver  fatto l'uomo  sulla  terra»
   (Gen 6,6), tuttavia,  attraverso Noè, che si
   conservava ancora  integro e giusto,  Dio ha
   deciso di aprire una via di salvezza. In tal
   modo  ha  dato  all'umanità  la  possibilità
   di  un nuovo  inizio.  Basta  un uomo  buono
   perché  ci   sia  speranza!   La  tradizione
   biblica  stabilisce  chiaramente che  questa
   riabilitazione comporta  la riscoperta  e il
   rispetto  dei ritmi  inscritti nella  natura
   dalla mano  del Creatore.  Ciò si  vede, per
   esempio,  nella  legge   dello  Shabbat.  Il
   settimo giorno,  Dio si  riposò da  tutte le
   sue  opere. Dio  ordinò a  Israele che  ogni
   settimo giorno doveva  essere celebrato come
   giorno  di  riposo,  uno  Shabbat  (cfr  Gen
   2,2-3;  Es  16,23;  20,10).  D'altra  parte,
   fu  stabilito anche  un  anno sabbatico  per
   Israele e la sua terra, ogni sette anni (cfr
   Lv 25,1-4), durante il quale si concedeva un
   completo riposo alla  terra, non si seminava
   e  si raccoglieva  soltanto l'indispensabile
   per   sopravvivere   e  offrire   ospitalità
   (cfr  Lv  25,4-6). Infine,  trascorse  sette
   settimane di  anni, cioè  quarantanove anni,
   si celebrava  il giubileo, anno  del perdono
   universale e della  «liberazione nella terra
   per tutti  i suoi  abitanti» (Lv  25,10). Lo
   sviluppo di  questa legislazione  ha cercato
   di assicurare l'equilibrio  e l'equità nelle
   relazioni dell'essere umano  con gli altri e
   con  la terra  dove viveva  e lavorava.  Ma,
   allo  stesso  tempo, era  un  riconoscimento
   del  fatto che  il  dono della  terra con  i
   suoi  frutti appartiene  a tutto  il popolo.
   Quelli  che  coltivavano  e  custodivano  il
   territorio  dovevano condividerne  i frutti,
   in particolare con i  poveri, le vedove, gli
   orfani e gli stranieri: «Quando mieterete la
   messe della vostra terra, non mieterete fino
   ai margini  del campo, né  raccoglierete ciò
   che resta  da spigolare della  messe; quanto
   alla  tua vigna,  non  coglierai i  racimoli
   e  non  raccoglierai  gli acini  caduti:  li
   lascerai per il povero  e per il forestiero»
   (Lv 19,9-10).

72.

   I  Salmi  invitano  con  frequenza  l'essere
   umano a  lodare Dio creatore, Colui  che «ha
   disteso  la  terra  sulle acque,  perché  il
   suo  amore è  per  sempre»  (Sal 136,6).  Ma
   invitano anche le  altre creature alla lode:
   «Lodatelo, sole e luna, lodatelo, voi tutte,
   fulgide stelle.  Lodatelo, cieli  dei cieli,
   voi, acque al di  sopra dei cieli. Lodino il
   nome del Signore, perché al suo comando sono
   stati creati»  (Sal 148,3-5).  Esistiamo non
   solo per la potenza di Dio, ma davanti a Lui
   e con Lui. Perciò noi lo adoriamo.

73.

   Gli scritti dei profeti invitano a ritrovare
   la forza nei  momenti difficili contemplando
   il Dio potente che  ha creato l'universo. La
   potenza  infinita  di  Dio non  ci  porta  a
   sfuggire alla sua  tenerezza paterna, perché
   in  Lui affetto  e  forza  si coniugano.  In
   realtà, ogni sana  spiritualità implica allo
   stesso  tempo  accogliere l'amore  divino  e
   adorare con  fiducia il  Signore per  la sua
   infinita potenza.  Nella Bibbia, il  Dio che
   libera  e salva  è lo  stesso che  ha creato
   l'universo,  e  questi  due  modi  di  agire
   divini sono  intimamente e indissolubilmente
   legati: «Ah, Signore Dio,  con la tua grande
   potenza e la tua forza  hai fatto il cielo e
   la terra;  nulla ti è impossibile  [...]. Tu
   hai fatto  uscire dall'Egitto il  tuo popolo
   Israele  con  segni  e  con  miracoli»  (Ger
   32,17.21). «Dio eterno è  il Signore, che ha
   creato i  confini della  terra. Egli  non si
   affatica né si stanca, la sua intelligenza è
   inscrutabile.  Egli dà  forza allo  stanco e
   moltiplica  il  vigore  allo  spossato»  (Is
   40,28b-29).

74.

   L'esperienza  della  schiavitù in  Babilonia
   generò una  crisi spirituale che  ha portato
   ad  un approfondimento  della  fede in  Dio,
   esplicitando  la sua  onnipotenza creatrice,
   per  esortare  il   popolo  a  ritrovare  la
   speranza   in   mezzo  alla   sua   infelice
   situazione. Secoli dopo, in un altro momento
   di prova e  di persecuzione, quando l'Impero
   Romano cercò di imporre un dominio assoluto,
   i  fedeli  tornarono  a trovare  conforto  e
   speranza aumentando  la loro fiducia  in Dio
   onnipotente, e cantavano: «Grandi e mirabili
   sono le tue  opere, Signore Dio onnipotente;
   giuste e vere le tue vie!» (Ap 15,3). Se Dio
   ha potuto  creare l'universo dal  nulla, può
   anche intervenire in  questo mondo e vincere
   ogni  forma di  male. Dunque,  l'ingiustizia
   non è invincibile.

75.

   Non possiamo sostenere  una spiritualità che
   dimentichi  Dio onnipotente  e creatore.  In
   questo  modo,  finiremmo per  adorare  altre
   potenze  del mondo,  o  ci collocheremmo  al
   posto  del  Signore,  fino a  pretendere  di
   calpestare  la realtà  creata  da Lui  senza
   conoscere  limite.  Il   modo  migliore  per
   collocare  l'essere  umano  al suo  posto  e
   mettere fine  alla sua pretesa di  essere un
   dominatore assoluto della terra, è ritornare
   a proporre la figura  di un Padre creatore e
   unico padrone  del mondo,  perché altrimenti
   l'essere  umano   tenderà  sempre   a  voler
   imporre  alla realtà  le proprie  leggi e  i
   propri interessi.

   III. IL MISTERO DELL'UNIVERSO

76.

   Per  la  tradizione  giudeo-cristiana,  dire
   "creazione" è più che dire natura, perché ha
   a  che  vedere  con un  progetto  dell'amore
   di  Dio, dove  ogni  creatura  ha un  valore
   e  un significato.  La  natura viene  spesso
   intesa come  un sistema che si  analizza, si
   comprende  e si  gestisce,  ma la  creazione
   può essere  compresa solo  come un  dono che
   scaturisce  dalla mano  aperta del  Padre di
   tutti, come una realtà illuminata dall'amore
   che ci convoca ad una comunione universale.

77.

   «Dalla  parola del  Signore  furono fatti  i
   cieli»  (Sal 33,6).  Così ci  viene indicato
   che  il  mondo  proviene da  una  decisione,
   non   dal   caos   o  dalla   casualità,   e
   questo  lo  innalza  ancora  di  più.  Vi  è
   una  scelta  libera  espressa  nella  parola
   creatrice.  L'universo  non   è  sorto  come
   risultato  di un'onnipotenza  arbitraria, di
   una dimostrazione di forza o di un desiderio
   di autoaffermazione. La creazione appartiene
   all'ordine dell'amore.  L'amore di Dio  è la
   ragione fondamentale di tutto il creato: «Tu
   infatti  ami  tutte  le  cose  che  esistono
   e  non  provi  disgusto  per  nessuna  delle
   cose  che  hai   creato;  se  avessi  odiato
   qualcosa,  non  l'avresti  neppure  formata»
   (Sap 11,24).  Così, ogni creatura  è oggetto
   della tenerezza del Padre, che le assegna un
   posto  nel  mondo. Perfino  l'effimera  vita
   dell'essere più insignificante è oggetto del
   suo  amore,  e  in  quei  pochi  secondi  di
   esistenza,  Egli  lo  circonda  con  il  suo
   affetto.  Diceva san  Basilio  Magno che  il
   Creatore è anche «la bontà senza calcolo», e
   Dante Alighieri parlava  de «l'amor che move
   il  sole e  l'altre  stelle». Perciò,  dalle
   opere  create  si  ascende  «fino  alla  sua
   amorosa misericordia».

78.

   Allo     stesso    tempo,     il    pensiero
   ebraico-cristiano ha  demitizzato la natura.
   Senza  smettere  di  ammirarla  per  il  suo
   splendore  e la  sua  immensità,  non le  ha
   più  attribuito  un   carattere  divino.  In
   questo modo viene sottolineato ulteriormente
   il  nostro impegno  nei  suoi confronti.  Un
   ritorno  alla   natura  non  può   essere  a
   scapito della libertà e della responsabilità
   dell'essere  umano, che  è  parte del  mondo
   con  il  compito  di  coltivare  le  proprie
   capacità  per proteggerlo  e svilupparne  le
   potenzialità.  Se riconosciamo  il valore  e
   la  fragilità della  natura,  e allo  stesso
   tempo  le capacità  che  il  Creatore ci  ha
   dato, questo ci permette  oggi di porre fine
   al  mito  moderno  del  progresso  materiale
   illimitato.   Un  mondo   fragile,  con   un
   essere  umano  al  quale Dio  ne  affida  la
   cura,  interpella   la  nostra  intelligenza
   per  riconoscere  come  dovremmo  orientare,
   coltivare e limitare il nostro potere.

79.

   In  questo  universo,  composto  da  sistemi
   aperti  che  entrano  in  comunicazione  gli
   uni   con  gli   altri,  possiamo   scoprire
   innumerevoli    forme    di   relazione    e
   partecipazione.   Questo   ci  porta   anche
   a   pensare  l'insieme   come  aperto   alla
   trascendenza   di  Dio,   all'interno  della
   quale  si  sviluppa.  La  fede  ci  permette
   di   interpretare   il  significato   e   la
   bellezza  misteriosa  di   ciò  che  accade.
   La   libertà  umana   può  offrire   il  suo
   intelligente contributo  verso un'evoluzione
   positiva,  ma  può  anche  aggiungere  nuovi
   mali,  nuove cause  di sofferenza  e momenti
   di  vero   arretramento.  Questo   dà  luogo
   all'appassionante e drammatica storia umana,
   capace  di  trasformarsi  in un  fiorire  di
   liberazione,  crescita,  salvezza  e  amore,
   oppure  in un  percorso  di  decadenza e  di
   distruzione  reciproca.  Pertanto,  l'azione
   della Chiesa non solo  cerca di ricordare il
   dovere di prendersi cura della natura, ma al
   tempo  stesso  «deve proteggere  soprattutto
   l'uomo contro la distruzione di sé stesso».

80.

   Ciononostante,  Dio,  che  vuole  agire  con
   noi e  contare sulla  nostra collaborazione,
   è  anche  in  grado di  trarre  qualcosa  di
   buono  dai  mali  che noi  compiamo,  perché
   «lo  Spirito   Santo  possiede  un'inventiva
   infinita,  propria della  mente divina,  che
   sa  provvedere  a  sciogliere i  nodi  delle
   vicende   umane   anche  più   complesse   e
   impenetrabili».  In  qualche modo,  Egli  ha
   voluto limitare  sé stesso creando  un mondo
   bisognoso di  sviluppo, dove molte  cose che
   noi consideriamo  mali, pericoli o  fonti di
   sofferenza, fanno parte in realtà dei dolori
   del  parto, che  ci stimolano  a collaborare
   con  il Creatore.  Egli è  presente nel  più
   intimo  di  ogni   cosa  senza  condizionare
   l'autonomia  della  sua  creatura,  e  anche
   questo  dà  luogo alla  legittima  autonomia
   delle   realtà   terrene.  Questa   presenza
   divina,  che  assicura  la permanenza  e  lo
   sviluppo di ogni essere, «è la continuazione
   dell'azione creatrice». Lo Spirito di Dio ha
   riempito l'universo con  le potenzialità che
   permettono che dal  grembo stesso delle cose
   possa sempre germogliare  qualcosa di nuovo:
   «La natura non è altro che la ragione di una
   certa  arte,  in  specie  dell'arte  divina,
   inscritta nelle cose, per cui le cose stesse
   si muovono  verso un determinato  fine. Come
   se  il maestro  costruttore di  navi potesse
   concedere  al legno  di muoversi  da sé  per
   prendere la forma della nave».

81.

   L'essere   umano,   benché  supponga   anche
   processi  evolutivi,   comporta  una  novità
   non  pienamente  spiegabile  dall'evoluzione
   di  altri  sistemi  aperti.  Ognuno  di  noi
   dispone  in  sé   di  un'identità  personale
   in  grado  di  entrare in  dialogo  con  gli
   altri  e  con  Dio stesso.  La  capacità  di
   riflessione, il ragionamento, la creatività,
   l'interpretazione,  l'elaborazione artistica
   ed   altre   capacità   originali   mostrano
   una   singolarità  che   trascende  l'ambito
   fisico     e     biologico.    La     novità
   qualitativa  implicata  dal  sorgere  di  un
   essere  personale all'interno  dell'universo
   materiale  presuppone  un'azione diretta  di
   Dio, una peculiare chiamata alla vita e alla
   relazione di un Tu a  un altro tu. A partire
   dai testi  biblici, consideriamo  la persona
   come  soggetto,  che   non  può  mai  essere
   ridotto alla categoria di oggetto.

82.

   Sarebbe  però  anche sbagliato  pensare  che
   gli  altri  esseri  viventi  debbano  essere
   considerati  come  meri  oggetti  sottoposti
   all'arbitrario  dominio  dell'essere  umano.
   Quando   si   propone  una   visione   della
   natura unicamente  come oggetto  di profitto
   e   di   interesse,   ciò   comporta   anche
   gravi   conseguenze  per   la  società.   La
   visione  che  rinforza  l'arbitrio  del  più
   forte  ha  favorito immense  disuguaglianze,
   ingiustizie e violenze  per la maggior parte
   dell'umanità,  perché  le risorse  diventano
   proprietà  del primo  arrivato  o di  quello
   che  ha  più  potere:  il  vincitore  prende
   tutto. L'ideale di armonia, di giustizia, di
   fraternità e di pace che Gesù propone è agli
   antipodi  di tale  modello, e  così Egli  lo
   esprimeva  riferendosi  ai  poteri  del  suo
   tempo: «I governanti  delle nazioni dominano
   su  di  esse  e  i capi  le  opprimono.  Tra
   voi non  sarà così;  ma chi  vuole diventare
   grande tra  voi, sarà vostro  servitore» (Mt
   20,25-26).

83.

   Il   traguardo  del   cammino  dell'universo
   è  nella  pienezza  di   Dio,  che  è  stata
   già  raggiunta  da  Cristo  risorto,  fulcro
   della   maturazione   universale.   In   tal
   modo  aggiungiamo   un  ulteriore  argomento
   per  rifiutare  qualsiasi dominio  dispotico
   e  irresponsabile  dell'essere  umano  sulle
   altre  creature.   Lo  scopo   finale  delle
   altre creature  non siamo noi.  Invece tutte
   avanzano, insieme a noi e attraverso di noi,
   verso  la meta  comune,  che è  Dio, in  una
   pienezza  trascendente  dove Cristo  risorto
   abbraccia e illumina  tutto. L'essere umano,
   infatti, dotato di  intelligenza e di amore,
   e  attratto  dalla  pienezza  di  Cristo,  è
   chiamato a  ricondurre tutte le  creature al
   loro Creatore.

   IV.   IL   MESSAGGIO    DI   OGNI   CREATURA
   NELL'ARMONIA DI TUTTO IL CREATO

84.

   Insistere  nel   dire  che   l'essere  umano
   è  immagine   di  Dio  non   dovrebbe  farci
   dimenticare   che  ogni   creatura  ha   una
   funzione  e   nessuna  è   superflua.  Tutto
   l'universo   materiale   è   un   linguaggio
   dell'amore di Dio, del suo affetto smisurato
   per  noi. Suolo,  acqua,  montagne, tutto  è
   carezza  di  Dio.  La storia  della  propria
   amicizia con  Dio si sviluppa sempre  in uno
   spazio geografico che diventa un segno molto
   personale,  e ognuno  di noi  conserva nella
   memoria luoghi  il cui ricordo gli  fa tanto
   bene.  Chi è  cresciuto tra  i monti,  o chi
   da  bambino sedeva  accanto al  ruscello per
   bere, o  chi giocava  in una piazza  del suo
   quartiere,  quando  ritorna in  quei  luoghi
   si  sente chiamato  a recuperare  la propria
   identità.

85.

   Dio  ha  scritto   un  libro  stupendo,  «le
   cui   lettere   sono   la   moltitudine   di
   creature presenti  nell'universo». I Vescovi
   del   Canada   hanno   espresso   bene   che
   nessuna  creatura  resta   fuori  da  questa
   manifestazione   di  Dio:   «Dai  più   ampi
   panorami  alla  più  esili  forme  di  vita,
   la  natura   è  una  continua   sorgente  di
   meraviglia e di  reverenza. Essa è, inoltre,
   una  rivelazione  continua  del  divino».  I
   Vescovi   del  Giappone,   da  parte   loro,
   hanno  detto qualcosa  di molto  suggestivo:
   «Percepire  ogni creatura  che canta  l'inno
   della  sua  esistenza  è  vivere  con  gioia
   nell'amore di Dio  e nella speranza». Questa
   contemplazione  del  creato ci  permette  di
   scoprire   attraverso   ogni  cosa   qualche
   insegnamento  che Dio  ci vuole  comunicare,
   perché  «per  il   credente  contemplare  il
   creato  è  anche   ascoltare  un  messaggio,
   udire  una voce  paradossale e  silenziosa».
   Possiamo dire che  «accanto alla rivelazione
   propriamente  detta  contenuta  nelle  Sacre
   Scritture  c'è,  quindi, una  manifestazione
   divina  nello  sfolgorare  del  sole  e  nel
   calare della notte».  Prestando attenzione a
   questa manifestazione, l'essere umano impara
   a  riconoscere sé  stesso in  relazione alle
   altre  creature: «Io  mi esprimo  esprimendo
   il  mondo;  io   esploro  la  mia  sacralità
   decifrando quella del mondo».

86.

   L'insieme   dell'universo,    con   le   sue
   molteplici  relazioni, mostra  al meglio  la
   ricchezza inesauribile  di Dio.  San Tommaso
   d'Aquino  ha sottolineato  sapientemente che
   la  molteplicità  e  la  varietà  provengono
   «dall'intenzione   del  primo   agente»,  il
   Quale  ha  voluto  che   «ciò  che  manca  a
   ciascuna  cosa  per rappresentare  la  bontà
   divina  sia  supplito   dalle  altre  cose»,
   perché   la  sua   bontà  «non   può  essere
   adeguatamente  rappresentata   da  una  sola
   creatura».  Per questo,  abbiamo bisogno  di
   cogliere  la varietà  delle cose  nelle loro
   molteplici  relazioni.  Dunque,  si  capisce
   meglio  l'importanza  e  il  significato  di
   qualsiasi  creatura,  se   la  si  contempla
   nell'insieme  del   piano  di   Dio.  Questo
   insegna  il  Catechismo:  «L'interdipendenza
   delle creature è voluta da Dio. Il sole e la
   luna, il cedro e  il piccolo fiore, l'aquila
   e  il  passero:  le  innumerevoli  diversità
   e  disuguaglianze stanno  a significare  che
   nessuna creatura basta a se stessa, che esse
   esistono  solo in  dipendenza  le une  dalle
   altre,  per completarsi  vicendevolmente, al
   servizio le une delle altre».

87.

   Quando ci si rende conto del riflesso di Dio
   in tutto ciò che esiste, il cuore sperimenta
   il  desiderio  di  adorare  il  Signore  per
   tutte  le sue  creature e  insieme ad  esse,
   come  appare nel  bellissimo cantico  di san
   Francesco d'Assisi:

   «Laudato  sie,  mi'  Signore, cum  tucte  le
   tue creature,  spetialmente messor  lo frate
   sole,  lo  qual  è iorno,  et  allumini  noi
   per  lui. Et  ellu  è bellu  e radiante  cum
   grande  splendore: de  te, Altissimo,  porta
   significatione.  Laudato  si', mi'  Signore,
   per  sora luna  e  le stelle:  in celu  l'ài
   formate  clarite   et  pretiose   et  belle.
   Laudato  si', mi'  Signore, per  frate vento
   et  per aere  et  nubilo et  sereno et  onne
   tempo, per  lo quale  a le tue  creature dài
   sustentamento.  Laudato  si',  mi'  Signore,
   per  sor'aqua, la  quale  è  multo utile  et
   humile  et pretiosa  et casta.  Laudato si',
   mi' Signore,  per frate  focu, per  lo quale
   ennallumini  la nocte:  ed ello  è bello  et
   iocundo et robustoso et forte».

88.

   I Vescovi del Brasile hanno messo in rilievo
   che  tutta la  natura,  oltre a  manifestare
   Dio,  è luogo  della sua  presenza. In  ogni
   creatura  abita il  suo Spirito  vivificante
   che ci  chiama a  una relazione con  Lui. La
   scoperta di  questa presenza stimola  in noi
   lo  sviluppo  delle «virtù  ecologiche».  Ma
   quando diciamo questo, non dimentichiamo che
   esiste  anche  una  distanza  infinita,  che
   le  cose  di  questo  mondo  non  possiedono
   la  pienezza  di Dio.  Diversamente  nemmeno
   faremmo  un   bene  alle   creature,  perché
   non  riconosceremmo  il loro  posto  proprio
   e   autentico,  e   finiremmo  per   esigere
   indebitamente  da esse  ciò  che nella  loro
   piccolezza non ci possono dare.

   V. UNA COMUNIONE UNIVERSALE

89.

   Le    creature   di    questo   mondo    non
   possono  essere  considerate un  bene  senza
   proprietario:  «Sono  tue,  Signore,  amante
   della vita» (Sap  11,26). Questo induce alla
   convinzione che, essendo  stati creati dallo
   stesso Padre, noi tutti esseri dell'universo
   siamo uniti da  legami invisibili e formiamo
   una  sorta   di  famiglia   universale,  una
   comunione  sublime  che   ci  spinge  ad  un
   rispetto  sacro, amorevole  e umile.  Voglio
   ricordare  che   «Dio  ci  ha   unito  tanto
   strettamente al  mondo che ci  circonda, che
   la  desertificazione del  suolo  è come  una
   malattia per ciascuno,  e possiamo lamentare
   l'estinzione  di una  specie come  fosse una
   mutilazione».

90.

   Questo  non significa  equiparare tutti  gli
   esseri viventi  e togliere  all'essere umano
   quel  valore  peculiare   che  implica  allo
   stesso tempo una  tremenda responsabilità. E
   nemmeno  comporta  una divinizzazione  della
   terra,  che ci  priverebbe della  chiamata a
   collaborare con  essa e a proteggere  la sua
   fragilità. Queste concezioni finirebbero per
   creare  nuovi  squilibri  nel  tentativo  di
   fuggire dalla  realtà che ci  interpella. Si
   avverte a volte  l'ossessione di negare alla
   persona  umana  qualsiasi preminenza,  e  si
   porta avanti  una lotta per le  altre specie
   che  non  mettiamo  in  atto  per  difendere
   la  pari  dignità   tra  gli  esseri  umani.
   Certamente ci deve preoccupare che gli altri
   esseri  viventi non  siano trattati  in modo
   irresponsabile,  ma ci  dovrebbero indignare
   soprattutto  le  enormi  disuguaglianze  che
   esistono  tra di  noi, perché  continuiamo a
   tollerare  che  alcuni  si  considerino  più
   degni  di  altri.   Non  ci  accorgiamo  più
   che  alcuni  si  trascinano in  una  miseria
   degradante,   senza  reali   possibilità  di
   miglioramento,   mentre   altri  non   sanno
   nemmeno che  farsene di ciò  che possiedono,
   ostentano con vanità una pretesa superiorità
   e lasciano dietro di sé un livello di spreco
   tale che  sarebbe impossibile generalizzarlo
   senza  distruggere  il pianeta.  Continuiamo
   nei fatti ad ammettere che alcuni si sentano
   più umani di altri, come se fossero nati con
   maggiori diritti.

91.

   Non  può  essere   autentico  un  sentimento
   di  intima  unione   con  gli  altri  esseri
   della  natura,  se  nello stesso  tempo  nel
   cuore  non  c'è   tenerezza,  compassione  e
   preoccupazione  per  gli   esseri  umani.  È
   evidente l'incoerenza di chi lotta contro il
   traffico di animali a rischio di estinzione,
   ma  rimane  del tutto  indifferente  davanti
   alla tratta di  persone, si disinteressa dei
   poveri,  o è  determinato  a distruggere  un
   altro essere  umano che  non gli  è gradito.
   Ciò  mette a  rischio il  senso della  lotta
   per  l'ambiente.  Non  è un  caso  che,  nel
   cantico  in cui  loda Dio  per le  creature,
   san  Francesco aggiunga:  «Laudato si',  mi'
   Signore, per quelli ke  perdonano per lo tuo
   amore».  Tutto è  collegato.  Per questo  si
   richiede  una preoccupazione  per l'ambiente
   unita al sincero amore  per gli esseri umani
   e un  costante impegno riguardo  ai problemi
   della società.

92.

   D'altra parte,  quando il cuore  è veramente
   aperto a una  comunione universale, niente e
   nessuno  è escluso  da  tale fraternità.  Di
   conseguenza, è vero anche che l'indifferenza
   o  la  crudeltà   verso  le  altre  creature
   di   questo  mondo   finiscono  sempre   per
   trasferirsi in  qualche modo  al trattamento
   che  riserviamo  agli  altri  esseri  umani.
   Il  cuore è  uno  solo e  la stessa  miseria
   che  porta  a  maltrattare  un  animale  non
   tarda a manifestarsi  nella relazione con le
   altre  persone.  Ogni  maltrattamento  verso
   qualsiasi creatura «è contrario alla dignità
   umana».  Non  possiamo considerarci  persone
   che amano veramente se escludiamo dai nostri
   interessi  una  parte della  realtà:  «Pace,
   giustizia e salvaguardia del creato sono tre
   questioni  del tutto  connesse,  che non  si
   potranno separare in modo da essere trattate
   singolarmente, a pena di ricadere nuovamente
   nel riduzionismo».  Tutto è in  relazione, e
   tutti  noi  esseri  umani siamo  uniti  come
   fratelli  e   sorelle  in   un  meraviglioso
   pellegrinaggio, legati dall'amore che Dio ha
   per  ciascuna delle  sue creature  e che  ci
   unisce  anche tra  noi, con  tenero affetto,
   al  fratello  sole,  alla sorella  luna,  al
   fratello fiume e alla madre terra.

   VI. LA DESTINAZIONE COMUNE DEI BENI

93.

   Oggi,   credenti   e   non   credenti   sono
   d'accordo   sul  fatto   che   la  terra   è
   essenzialmente  una  eredità comune,  i  cui
   frutti   devono   andare  a   beneficio   di
   tutti.  Per i  credenti  questo diventa  una
   questione  di  fedeltà al  Creatore,  perché
   Dio   ha   creato   il  mondo   per   tutti.
   Di  conseguenza,  ogni  approccio  ecologico
   deve   integrare  una   prospettiva  sociale
   che  tenga  conto dei  diritti  fondamentali
   dei  più  svantaggiati. Il  principio  della
   subordinazione della  proprietà privata alla
   destinazione universale dei  beni e, perciò,
   il  diritto universale  al loro  uso, è  una
   "regola d'oro" del  comportamento sociale, e
   il «primo  principio di  tutto l'ordinamento
   etico-sociale».   La  tradizione   cristiana
   non  ha   mai  riconosciuto   come  assoluto
   o  intoccabile  il  diritto  alla  proprietà
   privata, e  ha messo in risalto  la funzione
   sociale  di  qualunque  forma  di  proprietà
   privata. San Giovanni  Paolo II ha ricordato
   con  molta enfasi  questa dottrina,  dicendo
   che  «Dio  ha  dato  la  terra  a  tutto  il
   genere umano,  perché essa sostenti  tutti i
   suoi membri, senza escludere né privilegiare
   nessuno».  Sono  parole pregnanti  e  forti.
   Ha  rimarcato  che  «non  sarebbe  veramente
   degno dell'uomo un tipo  di sviluppo che non
   rispettasse  e  non  promuovesse  i  diritti
   umani,  personali  e  sociali,  economici  e
   politici,  inclusi i  diritti delle  Nazioni
   e  dei  popoli».  Con  grande  chiarezza  ha
   spiegato  che  «la   Chiesa  difende  sì  il
   legittimo  diritto  alla proprietà  privata,
   ma  insegna anche  con  non minor  chiarezza
   che su  ogni proprietà privata  grava sempre
   un'ipoteca  sociale, perché  i beni  servano
   alla destinazione  generale che Dio  ha loro
   dato». Pertanto  afferma che «non  è secondo
   il  disegno di  Dio gestire  questo dono  in
   modo  tale  che  i  suoi  benefici  siano  a
   vantaggio soltanto di  alcuni pochi». Questo
   mette seriamente in discussione le abitudini
   ingiuste di una parte dell'umanità.

94.

   Il ricco  e il povero hanno  uguale dignità,
   perché  «il   Signore  ha  creato   l'uno  e
   l'altro»  (Pr  22,2),  «egli  ha  creato  il
   piccolo  e  il  grande»  (Sap  6,7),  e  «fa
   sorgere  il  suo  sole  sui  cattivi  e  sui
   buoni»  (Mt  5,45).  Questo  ha  conseguenze
   pratiche, come quelle  enunciate dai Vescovi
   del  Paraguay:  «Ogni contadino  ha  diritto
   naturale   a   possedere   un   appezzamento
   ragionevole di  terra, dove  possa stabilire
   la sua  casa, lavorare per  il sostentamento
   della sua famiglia e  avere sicurezza per la
   propria  esistenza. Tale  diritto dev'essere
   garantito  perché il  suo esercizio  non sia
   illusorio  ma reale.  Il che  significa che,
   oltre al  titolo di proprietà,  il contadino
   deve contare su mezzi di formazione tecnica,
   prestiti,   assicurazioni   e   accesso   al
   mercato».

95.

   L'ambiente è un  bene collettivo, patrimonio
   di  tutta  l'umanità   e  responsabilità  di
   tutti. Chi ne possiede  una parte è solo per
   amministrarla a  beneficio di tutti.  Se non
   lo facciamo,  ci carichiamo  sulla coscienza
   il peso  di negare l'esistenza  degli altri.
   Per  questo i  Vescovi  della Nuova  Zelanda
   si  sono  chiesti   che  cosa  significa  il
   comandamento "non uccidere" quando «un venti
   per cento della popolazione mondiale consuma
   risorse  in  misura   tale  da  rubare  alle
   nazioni povere e alle future generazioni ciò
   di cui hanno bisogno per sopravvivere».

   VII. LO SGUARDO DI GESÙ

96.

   Gesù  fa propria  la  fede  biblica nel  Dio
   creatore   e  mette   in  risalto   un  dato
   fondamentale:  Dio è  Padre (cfr  Mt 11,25).
   Nei  dialoghi  con  i suoi  discepoli,  Gesù
   li  invitava  a   riconoscere  la  relazione
   paterna che Dio ha  con tutte le creature, e
   ricordava loro con  una commovente tenerezza
   come  ciascuna  di   esse  è  importante  ai
   suoi occhi:  «Cinque passeri non  si vendono
   forse  per  due  soldi? Eppure  nemmeno  uno
   di  essi è  dimenticato davanti  a Dio»  (Lc
   12,6). «Guardate gli  uccelli del cielo: non
   seminano  e non  mietono, né  raccolgono nei
   granai;  eppure il  Padre vostro  celeste li
   nutre» (Mt 6,26).

97.

   Il  Signore  poteva  invitare gli  altri  ad
   essere  attenti alla  bellezza  che c'è  nel
   mondo,  perché Egli  stesso era  in contatto
   continuo  con   la  natura  e   le  prestava
   un'attenzione piena di affetto e di stupore.
   Quando  percorreva  ogni  angolo  della  sua
   terra, si fermava  a contemplare la bellezza
   seminata  dal   Padre  suo,  e   invitava  i
   discepoli a cogliere nelle cose un messaggio
   divino:  «Alzate i  vostri occhi  e guardate
   i  campi,   che  già  biondeggiano   per  la
   mietitura» (Gv 4,35). «Il  regno dei cieli è
   simile  a  un  granello di  senape,  che  un
   uomo prese  e seminò  nel suo campo.  Esso è
   il  più  piccolo di  tutti  i  semi ma,  una
   volta  cresciuto, è  più grande  delle altre
   piante  dell'orto e  diventa un  albero» (Mt
   13,31-32).

98.

   Gesù  viveva   una  piena  armonia   con  la
   creazione,   e  gli   altri  ne   rimanevano
   stupiti:  «Chi  è  mai costui,  che  perfino
   i  venti e  il  mare  gli obbediscono?»  (Mt
   8,27). Non appariva  come un asceta separato
   dal  mondo  o  nemico delle  cose  piacevoli
   della   vita.   Riferendosi  a   sé   stesso
   affermava: «E'  venuto il  Figlio dell'uomo,
   che  mangia  e  beve,  e  dicono:  "Ecco,  è
   un  mangione e  un beone"»  (Mt 11,19).  Era
   distante  dalle filosofie  che disprezzavano
   il  corpo,   la  materia  e  le   realtà  di
   questo  mondo.   Tuttavia,  questi  dualismi
   malsani hanno avuto  un notevole influsso su
   alcuni pensatori  cristiani nel  corso della
   storia  e hanno  deformato il  Vangelo. Gesù
   lavorava con le sue mani, prendendo contatto
   quotidiano con la materia  creata da Dio per
   darle forma con la sua abilità di artigiano.
   E'  degno di  nota il  fatto che  la maggior
   parte  della sua  vita  è  stata dedicata  a
   questo impegno, in un'esistenza semplice che
   non  suscitava  alcuna ammirazione:  «Non  è
   costui  il falegname,  il figlio  di Maria?»
   (Mc 6,3).  Così ha  santificato il  lavoro e
   gli ha conferito un  peculiare valore per la
   nostra  maturazione. San  Giovanni Paolo  II
   insegnava  che  «sopportando la  fatica  del
   lavoro in  unione con Cristo  crocifisso per
   noi,  l'uomo collabora  in qualche  modo col
   Figlio di Dio alla redenzione dell'umanità».

99.

   Secondo  la   comprensione  cristiana  della
   realtà,  il  destino  dell'intera  creazione
   passa attraverso il mistero di Cristo, che è
   presente  fin dall'origine:  «Tutte le  cose
   sono  state  create  per   mezzo  di  lui  e
   in  vista di  lui»  (Col  1,16). Il  prologo
   del  Vangelo  di  Giovanni  (1,1-18)  mostra
   l'attività creatrice  di Cristo  come Parola
   divina (Logos). Ma  questo prologo sorprende
   per  la sua  affermazione che  questa Parola
   «si  fece  carne»  (Gv  1,14).  Una  Persona
   della  Trinità  si   è  inserita  nel  cosmo
   creato, condividendone il  destino fino alla
   croce.  Dall'inizio del  mondo,  ma in  modo
   particolare a  partire dall'incarnazione, il
   mistero  di Cristo  opera  in modo  nascosto
   nell'insieme  della  realtà naturale,  senza
   per questo ledere la sua autonomia.

100.

   Il Nuovo  Testamento non  solo ci  parla del
   Gesù  terreno e  della  sua relazione  tanto
   concreta e amorevole con il mondo. Lo mostra
   anche risorto e  glorioso, presente in tutto
   il  creato con  la sua  signoria universale:
   «E' piaciuto infatti a  Dio che abiti in lui
   tutta la pienezza  e che per mezzo  di lui e
   in vista di lui  siano riconciliate tutte le
   cose, avendo pacificato  con il sangue della
   sua  croce  sia  le cose  che  stanno  sulla
   terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col
   1,19-20). Questo  ci proietta alla  fine dei
   tempi, quando il  Figlio consegnerà al Padre
   tutte  le  cose,  così che  «Dio  sia  tutto
   in  tutti»  (1  Cor  15,28).  In  tal  modo,
   le  creature  di  questo  mondo  non  ci  si
   presentano  più  come una  realtà  meramente
   naturale,  perché  il   Risorto  le  avvolge
   misteriosamente e le orienta a un destino di
   pienezza. Gli  stessi fiori del campo  e gli
   uccelli  che Egli  contemplò ammirato  con i
   suoi occhi  umani, ora sono pieni  della sua
   presenza luminosa.

                  CAPITOLO TERZO

      LA RADICE UMANA DELLA CRISI ECOLOGICA

101.

   A nulla ci servirà  descrivere i sintomi, se
   non riconosciamo la radice umana della crisi
   ecologica. Vi  è un  modo di  comprendere la
   vita  e  l'azione  umana  che  è  deviato  e
   che  contraddice  la  realtà fino  al  punto
   di rovinarla.  Perché non  possiamo fermarci
   a  riflettere su  questo? Propongo  pertanto
   di  concentrarci sul  paradigma tecnocratico
   dominante  e  sul   posto  che  vi  occupano
   l'essere umano e la sua azione nel mondo.

   I. LA TECNOLOGIA: CREATIVITÀ E POTERE

102.

   L'umanità è entrata in  una nuova era in cui
   la  potenza  della  tecnologia  ci  pone  di
   fronte ad  un bivio. Siamo gli  eredi di due
   secoli  di  enormi  ondate  di  cambiamento:
   la  macchina  a   vapore,  la  ferrovia,  il
   telegrafo,    l'elettricità,   l'automobile,
   l'aereo, le industrie  chimiche, la medicina
   moderna, l'informatica  e, più recentemente,
   la   rivoluzione   digitale,  la   robotica,
   le  biotecnologie  e  le  nanotecnologie.  È
   giusto  rallegrarsi   per  questi  progressi
   ed  entusiasmarsi   di  fronte   alle  ampie
   possibilità  che ci  aprono queste  continue
   novità, perché  «la scienza e  la tecnologia
   sono   un    prodotto   meraviglioso   della
   creatività  umana che  è  un  dono di  Dio».
   La  trasformazione della  natura  a fini  di
   utilità  è  una  caratteristica  del  genere
   umano  fin dai  suoi  inizi, e  in tal  modo
   la tecnica  «esprime la  tensione dell'animo
   umano verso il graduale superamento di certi
   condizionamenti  materiali».  La  tecnologia
   ha  posto rimedio  a  innumerevoli mali  che
   affliggevano  e  limitavano l'essere  umano.
   Non  possiamo non  apprezzare e  ringraziare
   per  i  progressi  conseguiti,  specialmente
   nella  medicina,   nell'ingegneria  e  nelle
   comunicazioni. E come  non riconoscere tutti
   gli sforzi di molti scienziati e tecnici che
   hanno elaborato alternative per uno sviluppo
   sostenibile?

103.

   La tecnoscienza,  ben orientata, è  in grado
   non solo di produrre cose realmente preziose
   per   migliorare  la   qualità  della   vita
   dell'essere umano,  a partire  dagli oggetti
   di  uso domestico  fino ai  grandi mezzi  di
   trasporto,  ai  ponti,  agli  edifici,  agli
   spazi pubblici.  È anche capace  di produrre
   il  bello  e   di  far  compiere  all'essere
   umano,  immerso  nel   mondo  materiale,  il
   "salto" nell'ambito  della bellezza.  Si può
   negare  la  bellezza  di   un  aereo,  o  di
   alcuni grattacieli?  Vi sono  preziose opere
   pittoriche  e   musicali  ottenute  mediante
   il  ricorso  ai   nuovi  strumenti  tecnici.
   In  tal  modo,  nel  desiderio  di  bellezza
   dell'artefice  e  in   chi  quella  bellezza
   contempla si compie il salto verso una certa
   pienezza propriamente umana.

104.

   Tuttavia non possiamo ignorare che l'energia
   nucleare,  la biotecnologia,  l'informatica,
   la  conoscenza  del   nostro  stesso  DNA  e
   altre potenzialità che  abbiamo acquisito ci
   offrono  un  tremendo  potere.  Anzi,  danno
   a   coloro  che   detengono  la   conoscenza
   e  soprattutto   il  potere   economico  per
   sfruttarla    un   dominio    impressionante
   sull'insieme  del genere  umano e  del mondo
   intero. Mai l'umanità  ha avuto tanto potere
   su  sé stessa  e  niente  garantisce che  lo
   utilizzerà bene, soprattutto se si considera
   il  modo in  cui se  ne sta  servendo. Basta
   ricordare  le  bombe  atomiche  lanciate  in
   pieno XX secolo,  come il grande spiegamento
   di  tecnologia  ostentato dal  nazismo,  dal
   comunismo  e da  altri regimi  totalitari al
   servizio  dello  sterminio   di  milioni  di
   persone,  senza  dimenticare   che  oggi  la
   guerra  dispone  di   strumenti  sempre  più
   micidiali.  In quali  mani  sta  e in  quali
   può giungere  tanto potere?  È terribilmente
   rischioso  che esso  risieda in  una piccola
   parte dell'umanità.

105.

   Si  tende  a   credere  che  «ogni  acquisto
   di  potenza   sia  semplicemente  progresso,
   accrescimento di  sicurezza, di  utilità, di
   benessere,  di  forza  vitale,  di  pienezza
   di  valori»,  come  se la  realtà,  il  bene
   e  la   verità  sbocciassero  spontaneamente
   dal   potere  stesso   della  tecnologia   e
   dell'economia.  Il   fatto  è   che  «l'uomo
   moderno  non è  stato educato  al retto  uso
   della  potenza»,  perché l'immensa  crescita
   tecnologica  non  è  stata  accompagnata  da
   uno  sviluppo dell'essere  umano per  quanto
   riguarda  la responsabilità,  i valori  e la
   coscienza. Ogni epoca tende a sviluppare una
   scarsa autocoscienza dei  propri limiti. Per
   tale motivo  è possibile che  oggi l'umanità
   non avverta  la serietà  delle sfide  che le
   si presentano,  e «la  possibilità dell'uomo
   di  usare  male  della   sua  potenza  è  in
   continuo aumento» quando «non esistono norme
   di  libertà, ma  solo  pretese necessità  di
   utilità e di  sicurezza». L'essere umano non
   è  pienamente autonomo.  La  sua libertà  si
   ammala quando si  consegna alle forze cieche
   dell'inconscio,   dei   bisogni   immediati,
   dell'egoismo, della violenza brutale. In tal
   senso,  è  nudo  ed  esposto  di  fronte  al
   suo stesso  potere che continua  a crescere,
   senza avere gli  strumenti per controllarlo.
   Può disporre di  meccanismi superficiali, ma
   possiamo affermare che  gli mancano un'etica
   adeguatamente  solida,  una  cultura  e  una
   spiritualità  che  realmente  gli  diano  un
   limite  e  lo  contengano  entro  un  lucido
   dominio di sé.

   II.   LA   GLOBALIZZAZIONE   DEL   PARADIGMA
   TECNOCRATICO

106.

   Il   problema  fondamentale   è  un   altro,
   ancora  più  profondo:  il modo  in  cui  di
   fatto  l'umanità  ha assunto  la  tecnologia
   e   il   suo    sviluppo   insieme   ad   un
   paradigma  omogeneo  e  unidimensionale.  In
   tale   paradigma   risalta  una   concezione
   del   soggetto  che   progressivamente,  nel
   processo  logico-razionale,  comprende e  in
   tal  modo possiede  l'oggetto  che si  trova
   all'esterno.   Tale   soggetto  si   esplica
   nello   stabilire   il  metodo   scientifico
   con  la  sua   sperimentazione,  che  è  già
   esplicitamente  una   tecnica  di  possesso,
   dominio  e  trasformazione.  È  come  se  il
   soggetto   si   trovasse  di   fronte   alla
   realtà   informe    totalmente   disponibile
   alla    sua   manipolazione.    L'intervento
   dell'essere umano  sulla natura si  è sempre
   verificato,  ma  per  molto tempo  ha  avuto
   la   caratteristica   di  accompagnare,   di
   assecondare  le  possibilità  offerte  dalle
   cose   stesse.  Si   trattava  di   ricevere
   quello   che  la   realtà  naturale   da  sé
   permette, come tendendo  la mano. Viceversa,
   ora  ciò  che  interessa  è  estrarre  tutto
   quanto  è  possibile dalle  cose  attraverso
   l'imposizione  della mano  umana, che  tende
   ad  ignorare  o   a  dimenticare  la  realtà
   stessa  di ciò  che ha  dinanzi. Per  questo
   l'essere umano  e le  cose hanno  cessato di
   darsi  amichevolmente  la  mano,  diventando
   invece  dei  contendenti.  Da qui  si  passa
   facilmente all'idea di una crescita infinita
   o  illimitata,  che  ha  tanto  entusiasmato
   gli  economisti, i  teorici della  finanza e
   della  tecnologia. Ciò  suppone la  menzogna
   circa  la  disponibilità infinita  dei  beni
   del  pianeta,  che   conduce  a  "spremerlo"
   fino  al  limite  e   oltre  il  limite.  Si
   tratta  del  falso presupposto  che  «esiste
   una  quantità  illimitata  di energia  e  di
   mezzi  utilizzabili, che  la loro  immediata
   rigenerazione è possibile  e che gli effetti
   negativi  delle  manipolazioni della  natura
   possono essere facilmente assorbiti».

107.

   Possiamo perciò affermare che all'origine di
   molte  difficoltà  del  mondo attuale  vi  è
   anzitutto la tendenza, non sempre cosciente,
   a impostare  la metodologia e  gli obiettivi
   della tecnoscienza  secondo un  paradigma di
   comprensione  che condiziona  la vita  delle
   persone  e il  funzionamento della  società.
   Gli  effetti   dell'applicazione  di  questo
   modello a tutta la  realtà, umana e sociale,
   si constatano nel  degrado dell'ambiente, ma
   questo è solo un  segno del riduzionismo che
   colpisce la vita umana e la società in tutte
   le loro dimensioni.  Occorre riconoscere che
   i  prodotti della  tecnica non  sono neutri,
   perché  creano  una  trama che  finisce  per
   condizionare gli  stili di vita  e orientano
   le   possibilità  sociali   nella  direzione
   degli  interessi  di determinati  gruppi  di
   potere. Certe scelte  che sembrano puramente
   strumentali, in realtà sono scelte attinenti
   al  tipo  di  vita sociale  che  si  intende
   sviluppare.

108.

   Non  si può  pensare di  sostenere un  altro
   paradigma culturale e servirsi della tecnica
   come  di  un  mero  strumento,  perché  oggi
   il paradigma  tecnocratico è  diventato così
   dominante, che è molto difficile prescindere
   dalle  sue risorse,  e ancora  più difficile
   è  utilizzare le  sue  risorse senza  essere
   dominati  dalla  sua   logica.  È  diventato
   contro-culturale scegliere uno stile di vita
   con  obiettivi che  almeno in  parte possano
   essere indipendenti dalla  tecnica, dai suoi
   costi  e  dal  suo  potere  globalizzante  e
   massificante.  Di fatto  la  tecnica ha  una
   tendenza a  far sì  che nulla  rimanga fuori
   dalla  sua  ferrea  logica,  e  «l'uomo  che
   ne  è  il  protagonista sa  che,  in  ultima
   analisi, non si tratta  né di utilità, né di
   benessere, ma di  dominio; dominio nel senso
   estremo  della  parola». Per  questo  «cerca
   di  afferrare gli  elementi della  natura ed
   insieme  quelli  dell'esistenza  umana».  Si
   riducono così  la capacità di  decisione, la
   libertà  più autentica  e lo  spazio per  la
   creatività alternativa degli individui.

109.

   Il    paradigma   tecnocratico    tende   ad
   esercitare   il    proprio   dominio   anche
   sull'economia  e sulla  politica. L'economia
   assume ogni sviluppo tecnologico in funzione
   del  profitto, senza  prestare attenzione  a
   eventuali conseguenze  negative per l'essere
   umano. La finanza  soffoca l'economia reale.
   Non  si è  imparata la  lezione della  crisi
   finanziaria mondiale e con molta lentezza si
   impara quella del deterioramento ambientale.
   In alcuni circoli si sostiene che l'economia
   attuale e  la tecnologia  risolveranno tutti
   i  problemi  ambientali,  allo  stesso  modo
   in  cui si  afferma, con  un linguaggio  non
   accademico,  che  i  problemi della  fame  e
   della  miseria  nel  mondo  si  risolveranno
   semplicemente con  la crescita  del mercato.
   Non  è una  questione di  teorie economiche,
   che  forse   nessuno  oggi   osa  difendere,
   bensì del  loro insediamento  nello sviluppo
   fattuale  dell'economia. Coloro  che non  lo
   affermano  con le  parole lo  sostengono con
   i  fatti, quando  non sembrano  preoccuparsi
   per  un  giusto  livello  della  produzione,
   una migliore  distribuzione della ricchezza,
   una  cura  responsabile  dell'ambiente  o  i
   diritti  delle  generazioni future.  Con  il
   loro comportamento affermano che l'obiettivo
   della   massimizzazione   dei   profitti   è
   sufficiente.  Il mercato  da  solo però  non
   garantisce  lo  sviluppo umano  integrale  e
   l'inclusione sociale. Nel frattempo, abbiamo
   una  «sorta   di  supersviluppo  dissipatore
   e   consumistico  che   contrasta  in   modo
   inaccettabile  con perduranti  situazioni di
   miseria   disumanizzante»,  mentre   non  si
   mettono  a  punto con  sufficiente  celerità
   istituzioni  economiche e  programmi sociali
   che  permettano ai  più  poveri di  accedere
   in  modo  regolare  alle  risorse  di  base.
   Non  ci  si  rende conto  a  sufficienza  di
   quali  sono  le  radici più  profonde  degli
   squilibri  attuali, che  hanno a  che vedere
   con l'orientamento,  i fini,  il senso  e il
   contesto sociale  della crescita tecnologica
   ed economica.

110.

   La specializzazione propria della tecnologia
   implica  una  notevole difficoltà  ad  avere
   uno  sguardo  d'insieme.  La  frammentazione
   del sapere  assolve la propria  funzione nel
   momento  di ottenere  applicazioni concrete,
   ma spesso  conduce a perdere il  senso della
   totalità, delle  relazioni che  esistono tra
   le  cose,  dell'orizzonte ampio,  senso  che
   diventa  irrilevante.  Questo  stesso  fatto
   impedisce  di individuare  vie adeguate  per
   risolvere i problemi più complessi del mondo
   attuale, soprattutto  quelli dell'ambiente e
   dei poveri, che non  si possono affrontare a
   partire  da  un solo  punto  di  vista o  da
   un  solo  tipo  di  interessi.  Una  scienza
   che  pretenda  di   offrire  soluzioni  alle
   grandi  questioni, dovrebbe  necessariamente
   tener conto  di tutto ciò che  la conoscenza
   ha  prodotto nelle  altre  aree del  sapere,
   comprese la filosofia  e l'etica sociale. Ma
   questo  è  un  modo di  agire  difficile  da
   portare avanti  oggi. Perciò non  si possono
   nemmeno   riconoscere  dei   veri  orizzonti
   etici  di riferimento.  La  vita diventa  un
   abbandonarsi  alle circostanze  condizionate
   dalla  tecnica,  intesa come  la  principale
   risorsa per  interpretare l'esistenza. Nella
   realtà concreta che  ci interpella, appaiono
   diversi sintomi che  mostrano l'errore, come
   il degrado  ambientale, l'ansia,  la perdita
   del senso  della vita e del  vivere insieme.
   Si dimostra  così ancora  una volta  che «la
   realtà è superiore all'idea».

111.

   La cultura  ecologica non  si può  ridurre a
   una  serie di  risposte  urgenti e  parziali
   ai  problemi  che   si  presentano  riguardo
   al   degrado   ambientale,   all'esaurimento
   delle  riserve naturali  e all'inquinamento.
   Dovrebbe  essere  uno  sguardo  diverso,  un
   pensiero,   una   politica,   un   programma
   educativo,   uno  stile   di   vita  e   una
   spiritualità   che   diano  forma   ad   una
   resistenza   di   fronte  all'avanzare   del
   paradigma tecnocratico.  Diversamente, anche
   le  migliori  iniziative ecologiste  possono
   finire   rinchiuse   nella   stessa   logica
   globalizzata.  Cercare solamente  un rimedio
   tecnico per ogni  problema ambientale che si
   presenta, significa  isolare cose  che nella
   realtà sono connesse, e  nascondere i veri e
   più profondi problemi del sistema mondiale.

112.

   E' possibile, tuttavia, allargare nuovamente
   lo  sguardo, e  la  libertà  umana è  capace
   di  limitare la  tecnica,  di orientarla,  e
   di  metterla al  servizio di  un altro  tipo
   di  progresso,  più  sano,  più  umano,  più
   sociale e più  integrale. La liberazione dal
   paradigma tecnocratico  imperante avviene di
   fatto  in  alcune  occasioni.  Per  esempio,
   quando comunità di piccoli produttori optano
   per sistemi  di produzione  meno inquinanti,
   sostenendo un modello di vita, di felicità e
   di convivialità  non consumistico.  O quando
   la  tecnica  si orienta  prioritariamente  a
   risolvere i  problemi concreti  degli altri,
   con  l'impegno  di  aiutarli  a  vivere  con
   più  dignità  e  meno sofferenze.  E  ancora
   quando la  ricerca creatrice del bello  e la
   sua  contemplazione riescono  a superare  il
   potere oggettivante in una sorta di salvezza
   che si  realizza nel  bello e  nella persona
   che lo  contempla. L'autentica  umanità, che
   invita a  una nuova sintesi,  sembra abitare
   in  mezzo  alla civiltà  tecnologica,  quasi
   impercettibilmente,   come  la   nebbia  che
   filtra  sotto  una  porta chiusa.  Sarà  una
   promessa  permanente, nonostante  tutto, che
   sboccia come  un'ostinata resistenza  di ciò
   che è autentico?

113.

   D'altronde,  la   gente  ormai   non  sembra
   credere  in un  futuro  felice, non  confida
   ciecamente   in   un   domani   migliore   a
   partire   dalle   attuali   condizioni   del
   mondo  e  dalle  capacità  tecniche.  Prende
   coscienza che  il progresso della  scienza e
   della  tecnica  non  equivale  al  progresso
   dell'umanità  e  della storia,  e  intravede
   che  sono altre  le strade  fondamentali per
   un  futuro  felice.  Ciononostante,  neppure
   immagina  di   rinunciare  alle  possibilità
   che  offre  la  tecnologia. L'umanità  si  è
   modificata  profondamente   e  l'accumularsi
   di  continue  novità consacra  una  fugacità
   che  ci trascina  in superficie  in un'unica
   direzione.  Diventa  difficile fermarci  per
   recuperare  la  profondità  della  vita.  Se
   l'architettura   riflette   lo  spirito   di
   un'epoca,  le  megastrutture  e le  case  in
   serie  esprimono  lo spirito  della  tecnica
   globalizzata,  in cui  la permanente  novità
   dei prodotti  si unisce a una  pesante noia.
   Non rassegniamoci a  questo e non rinunciamo
   a farci domande sui fini e sul senso di ogni
   cosa.  Diversamente, legittimeremo  soltanto
   lo stato  di fatto  e avremo bisogno  di più
   surrogati per sopportare il vuoto.

114.

   Ciò  che sta  accadendo  ci  pone di  fronte
   all'urgenza di  procedere in  una coraggiosa
   rivoluzione  culturale.  La   scienza  e  la
   tecnologia  non  sono neutrali,  ma  possono
   implicare  dall'inizio   alla  fine   di  un
   processo diverse intenzioni e possibilità, e
   possono configurarsi  in vari  modi. Nessuno
   vuole   tornare  all'epoca   delle  caverne,
   però è  indispensabile rallentare  la marcia
   per   guardare  la   realtà   in  un   altro
   modo,  raccogliere gli  sviluppi positivi  e
   sostenibili, e al  tempo stesso recuperare i
   valori  e i  grandi  fini  distrutti da  una
   sfrenatezza megalomane.

   III.        CRISI       E        CONSEGUENZE
   DELL'ANTROPOCENTRISMO MODERNO

115.

   L'antropocentrismo moderno, paradossalmente,
   ha finito  per collocare la  ragione tecnica
   al  di  sopra  della realtà,  perché  questo
   essere  umano «non  sente più  la natura  né
   come norma valida,  né come vivente rifugio.
   La vede senza  ipotesi, obiettivamente, come
   spazio e materia  in cui realizzare un'opera
   nella  quale gettarsi  tutto, e  non importa
   che  cosa ne  risulterà».  In  tal modo,  si
   sminuisce il valore intrinseco del mondo. Ma
   se l'essere  umano non riscopre il  suo vero
   posto, non comprende  in maniera adeguata sé
   stesso e finisce  per contraddire la propria
   realtà. «Non  solo la terra è  stata data da
   Dio  all'uomo, che  deve usarla  rispettando
   l'intenzione originaria di  bene, secondo la
   quale  gli  è  stata  donata;  ma  l'uomo  è
   donato a  sé stesso  da Dio e  deve, perciò,
   rispettare la  struttura naturale  e morale,
   di cui è stato dotato».

116.

   Nella modernità si  è verificato un notevole
   eccesso  antropocentrico  che,  sotto  altra
   veste,   oggi   continua   a   minare   ogni
   riferimento  a  qualcosa  di comune  e  ogni
   tentativo  di rafforzare  i legami  sociali.
   Per questo  è giunto il momento  di prestare
   nuovamente  attenzione  alla  realtà  con  i
   limiti  che  essa  impone, i  quali  a  loro
   volta   costituiscono   la  possibilità   di
   uno  sviluppo  umano   e  sociale  più  sano
   e  fecondo.   Una  presentazione  inadeguata
   dell'antropologia  cristiana  ha finito  per
   promuovere   una  concezione   errata  della
   relazione  dell'essere umano  con il  mondo.
   Molte  volte  è  stato  trasmesso  un  sogno
   prometeico   di   dominio  sul   mondo   che
   ha  provocato  l'impressione   che  la  cura
   della  natura  sia  cosa da  deboli.  Invece
   l'interpretazione   corretta  del   concetto
   dell'essere umano come signore dell'universo
   è quella  di intenderlo  come amministratore
   responsabile.

117.

   La mancanza di preoccupazione per misurare i
   danni  alla  natura e  l'impatto  ambientale
   delle decisioni, è solo il riflesso evidente
   di   un   disinteresse  a   riconoscere   il
   messaggio  che  la  natura  porta  inscritto
   nelle  sue stesse  strutture. Quando  non si
   riconosce  nella realtà  stessa l'importanza
   di  un  povero,  di un  embrione  umano,  di
   una  persona  con  disabilità  --  per  fare
   solo  alcuni  esempi  --,  difficilmente  si
   sapranno  ascoltare  le grida  della  natura
   stessa. Tutto è  connesso. Se l'essere umano
   si  dichiara  autonomo  dalla  realtà  e  si
   costituisce  dominatore assoluto,  la stessa
   base  della   sua  esistenza   si  sgretola,
   perché  «Invece  di  svolgere il  suo  ruolo
   di  collaboratore  di Dio  nell'opera  della
   creazione,  l'uomo si  sostituisce  a Dio  e
   così  finisce  col provocare  la  ribellione
   della natura».

118.

   Questa    situazione     ci    conduce    ad
   una   schizofrenia    permanente,   che   va
   dall'esaltazione   tecnocratica    che   non
   riconosce  agli   altri  esseri   un  valore
   proprio, fino  alla reazione di  negare ogni
   peculiare valore all'essere umano. Ma non si
   può  prescindere dall'umanità.  Non ci  sarà
   una nuova  relazione con la natura  senza un
   essere umano  nuovo. Non c'è  ecologia senza
   un'adeguata antropologia.  Quando la persona
   umana  viene considerata  solo un  essere in
   più tra  gli altri,  che deriva da  un gioco
   del caso  o da  un determinismo  fisico, «si
   corre il  rischio che si  affievolisca nelle
   persone la  coscienza della responsabilità».
   Un   antropocentrismo   deviato   non   deve
   necessariamente   cedere  il   passo  a   un
   "biocentrismo",  perché   ciò  implicherebbe
   introdurre  un  nuovo  squilibrio,  che  non
   solo  non  risolverà  i problemi,  bensì  ne
   aggiungerà  altri.  Non  si può  esigere  da
   parte dell'essere umano  un impegno verso il
   mondo,  se  non  si  riconoscono  e  non  si
   valorizzano al tempo stesso le sue peculiari
   capacità di  conoscenza, volontà,  libertà e
   responsabilità.

119.

   La critica  all'antropocentrismo deviato non
   dovrebbe nemmeno collocare  in secondo piano
   il valore delle relazioni tra le persone. Se
   la  crisi  ecologica  è un  emergere  o  una
   manifestazione  esterna  della crisi  etica,
   culturale e spirituale  della modernità, non
   possiamo  illuderci  di risanare  la  nostra
   relazione   con  la   natura  e   l'ambiente
   senza  risanare  tutte  le  relazioni  umane
   fondamentali.  Quando il  pensiero cristiano
   rivendica  per l'essere  umano un  peculiare
   valore al di sopra  delle altre creature, dà
   spazio alla  valorizzazione di  ogni persona
   umana,  e  così  stimola  il  riconoscimento
   dell'altro.   L'apertura  ad   un  "tu"   in
   grado  di   conoscere,  amare   e  dialogare
   continua   ad  essere   la  grande   nobiltà
   della  persona  umana.   Perciò,  in  ordine
   ad  un'adeguata  relazione  con  il  creato,
   non  c'è bisogno  di sminuire  la dimensione
   sociale dell'essere  umano e neppure  la sua
   dimensione trascendente, la  sua apertura al
   "Tu"  divino. Infatti,  non si  può proporre
   una relazione  con l'ambiente  a prescindere
   da  quella  con  le   altre  persone  e  con
   Dio.  Sarebbe  un  individualismo  romantico
   travestito  da   bellezza  ecologica   e  un
   asfissiante rinchiudersi nell'immanenza.

120.

   Dal momento che tutto  è in relazione, non è
   neppure compatibile  la difesa  della natura
   con  la   giustificazione  dell'aborto.  Non
   appare praticabile un  cammino educativo per
   l'accoglienza  degli  esseri deboli  che  ci
   circondano,  che  a  volte  sono  molesti  o
   importuni, quando non si  dà protezione a un
   embrione  umano  benché  il suo  arrivo  sia
   causa di  disagi e difficoltà: «Se  si perde
   la  sensibilità  personale e  sociale  verso
   l'accoglienza di una nuova vita, anche altre
   forme di accoglienza utili alla vita sociale
   si inaridiscono».

121.

   Si  attende   ancora  lo  sviluppo   di  una
   nuova   sintesi   che    superi   le   false
   dialettiche degli  ultimi secoli.  Lo stesso
   cristianesimo, mantenendosi  fedele alla sua
   identità  e  al  tesoro  di  verità  che  ha
   ricevuto da  Gesù Cristo, sempre  si ripensa
   e  si riesprime  nel  dialogo  con le  nuove
   situazioni  storiche,   lasciando  sbocciare
   così la sua perenne novità.

   Il relativismo pratico

122.

   Un antropocentrismo  deviato dà luogo  a uno
   stile  di   vita  deviato.  Nell'Esortazione
   apostolica   Evangelii   gaudium  ho   fatto
   riferimento   al  relativismo   pratico  che
   caratterizza   la   nostra  epoca,   e   che
   è   «ancora   più   pericoloso   di   quello
   dottrinale». Quando  l'essere umano  pone sé
   stesso al centro,  finisce per dare priorità
   assoluta  ai suoi  interessi contingenti,  e
   tutto  il  resto  diventa  relativo.  Perciò
   non  dovrebbe  meravigliare  il  fatto  che,
   insieme   all'onnipresenza   del   paradigma
   tecnocratico  e  all'adorazione  del  potere
   umano senza limiti, si sviluppi nei soggetti
   questo  relativismo,  in cui  tutto  diventa
   irrilevante se non serve ai propri interessi
   immediati.  Vi è  in questo  una logica  che
   permette di comprendere come si alimentino a
   vicenda diversi  atteggiamenti che provocano
   al tempo  stesso il degrado ambientale  e il
   degrado sociale.

123.

   La  cultura  del  relativismo  è  la  stessa
   patologia   che   spinge  una   persona   ad
   approfittare di un'altra  e a trattarla come
   un  mero  oggetto,   obbligandola  a  lavori
   forzati, o riducendola  in schiavitù a causa
   di un  debito. È la stessa  logica che porta
   a  sfruttare sessualmente  i  bambini, o  ad
   abbandonare gli  anziani che non  servono ai
   propri interessi. È  anche la logica interna
   di  chi  afferma:  "lasciamo  che  le  forze
   invisibili del  mercato regolino l'economia,
   perché  i  loro   effetti  sulla  società  e
   sulla  natura  sono danni  inevitabili".  Se
   non  ci sono  verità  oggettive né  principi
   stabili,  al  di fuori  della  soddisfazione
   delle proprie aspirazioni  e delle necessità
   immediate,  che  limiti   possono  avere  la
   tratta  degli esseri  umani, la  criminalità
   organizzata, il  narcotraffico, il commercio
   di  diamanti  insanguinati  e  di  pelli  di
   animali   in  via   di  estinzione?   Non  è
   la  stessa  logica  relativista  quella  che
   giustifica l'acquisto  di organi  dei poveri
   allo  scopo  di  venderli o  di  utilizzarli
   per  la  sperimentazione,  o  lo  scarto  di
   bambini perché  non rispondono  al desiderio
   dei loro genitori? E'  la stessa logica "usa
   e getta" che produce  tanti rifiuti solo per
   il desiderio disordinato di consumare più di
   quello  di cui  realmente si  ha bisogno.  E
   allora non possiamo  pensare che i programmi
   politici o  la forza della  legge basteranno
   ad  evitare i  comportamenti che  colpiscono
   l'ambiente, perché  quando è la  cultura che
   si corrompe  e non  si riconosce  più alcuna
   verità  oggettiva o  principi universalmente
   validi, le  leggi verranno intese  solo come
   imposizioni  arbitrarie e  come ostacoli  da
   evitare.

   La necessità di difendere il lavoro

124.

   In   qualunque   impostazione  di   ecologia
   integrale, che  non escluda  l'essere umano,
   è  indispensabile  integrare il  valore  del
   lavoro,  tanto  sapientemente sviluppato  da
   san  Giovanni Paolo  II nella  sua Enciclica
   Laborem exercens. Ricordiamo che, secondo il
   racconto biblico  della creazione,  Dio pose
   l'essere  umano nel  giardino appena  creato
   (cfr Gen  2,15) non solo per  prendersi cura
   dell'esistente (custodire), ma per lavorarvi
   affinché producesse frutti (coltivare). Così
   gli  operai e  gli artigiani  «assicurano la
   creazione  eterna» (Sir  38,34). In  realtà,
   l'intervento umano che favorisce il prudente
   sviluppo del  creato è il modo  più adeguato
   di prendersene cura, perché implica il porsi
   come  strumento di  Dio  per  aiutare a  far
   emergere le potenzialità  che Egli stesso ha
   inscritto nelle cose:  «Il Signore ha creato
   medicamenti  dalla  terra, l'uomo  assennato
   non li disprezza» (Sir 38,4).

125.

   Se  cerchiamo  di  pensare  quali  siano  le
   relazioni  adeguate  dell'essere  umano  con
   il   mondo  che   lo  circonda,   emerge  la
   necessità  di  una corretta  concezione  del
   lavoro, perché, se  parliamo della relazione
   dell'essere  umano  con  le  cose,  si  pone
   l'interrogativo   circa   il  senso   e   la
   finalità  dell'azione  umana  sulla  realtà.
   Non  parliamo  solo  del  lavoro  manuale  o
   del lavoro  della terra, bensì  di qualsiasi
   attività che implichi qualche trasformazione
   dell'esistente,   dall'elaborazione  di   un
   studio  sociale  fino  al  progetto  di  uno
   sviluppo  tecnologico.  Qualsiasi  forma  di
   lavoro  presuppone  un'idea sulla  relazione
   che l'essere umano può  o deve stabilire con
   l'altro  da sé.  La spiritualità  cristiana,
   insieme  con  lo stupore  contemplativo  per
   le  creature che  troviamo in  san Francesco
   d'Assisi,  ha sviluppato  anche una  ricca e
   sana comprensione del  lavoro, come possiamo
   riscontrare,  per  esempio, nella  vita  del
   beato  Charles   de  Foucauld  e   dei  suoi
   discepoli.

126.

   Raccogliamo   anche  qualcosa   dalla  lunga
   tradizione monastica. All'inizio essa favorì
   in  un   certo  modo  la  fuga   dal  mondo,
   tentando  di  allontanarsi  dalla  decadenza
   urbana.  Per   questo  i   monaci  cercavano
   il  deserto,  convinti  che fosse  il  luogo
   adatto  per   riconoscere  la   presenza  di
   Dio.   Successivamente,  san   Benedetto  da
   Norcia  volle che  i  suoi monaci  vivessero
   in  comunità,  unendo   la  preghiera  e  lo
   studio  con   il  lavoro  manuale   (Ora  et
   labora).  Questa   introduzione  del  lavoro
   manuale   intriso    di   senso   spirituale
   si  rivelò   rivoluzionaria.  Si   imparò  a
   cercare la  maturazione e  la santificazione
   nell'intreccio  tra  il raccoglimento  e  il
   lavoro. Tale maniera di  vivere il lavoro ci
   rende più capaci di cura e di rispetto verso
   l'ambiente,  impregna  di sana  sobrietà  la
   nostra relazione con il mondo.

127.

   Affermiamo  che   «l'uomo  è   l'autore,  il
   centro   e  il   fine  di   tutta  la   vita
   economico-sociale».   Ciononostante,  quando
   nell'essere  umano  si   perde  la  capacità
   di   contemplare   e   di   rispettare,   si
   creano   le  condizioni   perché  il   senso
   del   lavoro   venga   stravolto.   Conviene
   ricordare  sempre   che  l'essere   umano  è
   nello  stesso  tempo   «capace  di  divenire
   lui  stesso  attore   responsabile  del  suo
   miglioramento  materiale, del  suo progresso
   morale,  dello  svolgimento  pieno  del  suo
   destino  spirituale».   Il  lavoro  dovrebbe
   essere   l'ambito   di   questo   multiforme
   sviluppo  personale,  dove   si  mettono  in
   gioco  molte   dimensioni  della   vita:  la
   creatività,  la  proiezione nel  futuro,  lo
   sviluppo  delle  capacità,  l'esercizio  dei
   valori,  la  comunicazione  con  gli  altri,
   un  atteggiamento di  adorazione. Perciò  la
   realtà sociale  del mondo di oggi,  al di là
   degli interessi limitati  delle imprese e di
   una discutibile razionalità economica, esige
   che «si continui a perseguire quale priorità
   l'obiettivo dell'accesso al lavoro [...] per
   tutti».

128.

   Siamo   chiamati   al   lavoro   fin   dalla
   nostra  creazione. Non  si  deve cercare  di
   sostituire  sempre più  il lavoro  umano con
   il   progresso  tecnologico:   così  facendo
   l'umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro
   è  una necessità,  è parte  del senso  della
   vita  su questa  terra, via  di maturazione,
   di   sviluppo  umano   e  di   realizzazione
   personale.  In   questo  senso,   aiutare  i
   poveri  con il  denaro dev'essere  sempre un
   rimedio provvisorio per  fare fronte a delle
   emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre
   essere  di consentire  loro  una vita  degna
   mediante il  lavoro. Tuttavia l'orientamento
   dell'economia   ha  favorito   un  tipo   di
   progresso tecnologico  finalizzato a ridurre
   i  costi  di  produzione  in  ragione  della
   diminuzione dei posti di lavoro, che vengono
   sostituiti  dalle macchine.  È un  ulteriore
   modo in  cui l'azione dell'essere  umano può
   volgersi  contro  sé  stesso.  La  riduzione
   dei  posti di  lavoro «ha  anche un  impatto
   negativo sul piano  economico, attraverso la
   progressiva erosione del "capitale sociale",
   ossia  di  quell'insieme   di  relazioni  di
   fiducia, di affidabilità,  di rispetto delle
   regole,  indispensabili  ad ogni  convivenza
   civile».  In   definitiva  «i   costi  umani
   sono  sempre  anche  costi  economici  e  le
   disfunzioni  economiche   comportano  sempre
   anche costi umani».  Rinunciare ad investire
   sulle  persone   per  ottenere   un  maggior
   profitto immediato  è un pessimo  affare per
   la società.

129.

   Perché   continui    ad   essere   possibile
   offrire   occupazione,    è   indispensabile
   promuovere  un'economia   che  favorisca  la
   diversificazione produttiva  e la creatività
   imprenditoriale.  Per  esempio,   vi  è  una
   grande   varietà   di   sistemi   alimentari
   agricoli e  di piccola scala che  continua a
   nutrire la  maggior parte  della popolazione
   mondiale,  utilizzando una  porzione ridotta
   del  territorio  e dell'acqua  e  producendo
   meno  rifiuti, sia  in piccoli  appezzamenti
   agricoli e  orti, sia  nella caccia  e nella
   raccolta  di  prodotti boschivi,  sia  nella
   pesca  artigianale.  Le economie  di  scala,
   specialmente nel settore agricolo, finiscono
   per  costringere  i  piccoli  agricoltori  a
   vendere le  loro terre  o ad  abbandonare le
   loro coltivazioni  tradizionali. I tentativi
   di  alcuni  di   essi  di  sviluppare  altre
   forme  di   produzione,  più  diversificate,
   risultano inutili  a causa  della difficoltà
   di accedere  ai mercati regionali  e globali
   o  perché  l'infrastruttura   di  vendita  e
   di  trasporto  è  al servizio  delle  grandi
   imprese.  Le   autorità  hanno   il  diritto
   e  la  responsabilità   di  adottare  misure
   di  chiaro  e   fermo  appoggio  ai  piccoli
   produttori  e  alla  diversificazione  della
   produzione.  Perché   vi  sia   una  libertà
   economica  della quale  tutti effettivamente
   beneficino,  a volte  può essere  necessario
   porre  limiti  a  coloro che  detengono  più
   grandi   risorse   e   potere   finanziario.
   La  semplice   proclamazione  della  libertà
   economica, quando  però le  condizioni reali
   impediscono  che   molti  possano  accedervi
   realmente, e  quando si riduce  l'accesso al
   lavoro, diventa  un discorso contraddittorio
   che   disonora   la   politica.   L'attività
   imprenditoriale, che è  una nobile vocazione
   orientata   a   produrre   ricchezza   e   a
   migliorare il mondo per tutti, può essere un
   modo molto fecondo per promuovere la regione
   in cui colloca  le sue attività, soprattutto
   se  comprende  che  la  creazione  di  posti
   di  lavoro è  parte imprescindibile  del suo
   servizio al bene comune.

   L'innovazione  biologica   a  partire  dalla
   ricerc                                     a

130.

   Nella   visione   filosofica   e   teologica
   dell'essere umano e  della creazione, che ho
   cercato di  proporre, risulta chiaro  che la
   persona umana, con  la peculiarità della sua
   ragione  e  della  sua  scienza,  non  è  un
   fattore esterno che  debba essere totalmente
   escluso.  Tuttavia,  benché  l'essere  umano
   possa  intervenire  nel   mondo  vegetale  e
   animale  e  servirsene quando  è  necessario
   alla sua vita, il  Catechismo insegna che le
   sperimentazioni sugli animali sono legittime
   solo se «si mantengono in limiti ragionevoli
   e contribuiscono  a curare o a  salvare vite
   umane». Ricorda  con fermezza che  il potere
   umano ha dei limiti  e che «è contrario alla
   dignità umana  far soffrire  inutilmente gli
   animali e disporre indiscriminatamente della
   loro vita». Qualsiasi  uso e sperimentazione
   «esige un  religioso rispetto dell'integrità
   della creazione».

131.

   Desidero    recepire    qui    l'equilibrata
   posizione di san Giovanni Paolo II, il quale
   metteva in risalto  i benefici dei progressi
   scientifici e  tecnologici, che «manifestano
   quanto  sia  nobile la  vocazione  dell'uomo
   a  partecipare  responsabilmente  all'azione
   creatrice di  Dio», ma  che al  tempo stesso
   ricordava «come  ogni intervento  in un'area
   dell'ecosistema  non  possa prescindere  dal
   considerare  le  sue  conseguenze  in  altre
   aree».  Affermava  che  la  Chiesa  apprezza
   l'apporto «dello studio e delle applicazioni
   della biologia  molecolare, completata dalle
   altre discipline  come la genetica e  la sua
   applicazione   tecnologica  nell'agricoltura
   e  nell'industria».   Benché  dicesse  anche
   che  questo  non  deve   dar  luogo  ad  una
   «indiscriminata manipolazione  genetica» che
   ignori  gli   effetti  negativi   di  questi
   interventi.  Non  è   possibile  frenare  la
   creatività umana.  Se non si può  proibire a
   un  artista  di  esprimere la  sua  capacità
   creativa,  neppure   si  possono  ostacolare
   coloro che  possiedono doni speciali  per lo
   sviluppo scientifico  e tecnologico,  le cui
   capacità  sono state  donate da  Dio per  il
   servizio  degli altri.  Nello stesso  tempo,
   non si può fare  a meno di riconsiderare gli
   obiettivi,  gli  effetti,  il contesto  e  i
   limiti etici  di tale  attività umana  che è
   una forma di potere con grandi rischi.

132.

   In questo quadro dovrebbe situarsi qualsiasi
   riflessione  circa  l'intervento  umano  sul
   mondo  vegetale   e  animale,   che  implica
   oggi  mutazioni   genetiche  prodotte  dalla
   biotecnologia,  allo scopo  di sfruttare  le
   possibilità presenti nella realtà materiale.
   Il  rispetto  della  fede verso  la  ragione
   chiede  di prestare  attenzione a  quanto la
   stessa  scienza   biologica,  sviluppata  in
   modo  indipendente  rispetto agli  interessi
   economici,   può   insegnare   a   proposito
   delle  strutture  biologiche  e  delle  loro
   possibilità  e mutazioni.  In  ogni caso,  è
   legittimo  l'intervento   che  agisce  sulla
   natura «per  aiutarla a  svilupparsi secondo
   la  sua  essenza,  quella  della  creazione,
   quella voluta da Dio».

133.

   E' difficile  emettere un  giudizio generale
   sullo  sviluppo  di organismi  geneticamente
   modificati  (OGM), vegetali  o animali,  per
   fini  medici o  in agricoltura,  dal momento
   che possono essere molto  diversi tra loro e
   richiedere distinte  considerazioni. D'altra
   parte, i rischi  non vanno sempre attribuiti
   alla tecnica stessa,  ma alla sua inadeguata
   o  eccessiva  applicazione.  In  realtà,  le
   mutazioni  genetiche   sono  state   e  sono
   prodotte  molte volte  dalla natura  stessa.
   Nemmeno  quelle provocate  dall'essere umano
   sono un fenomeno  moderno. La domesticazione
   di  animali, l'incrocio  di  specie e  altre
   pratiche antiche  e universalmente accettate
   possono rientrare  in queste considerazioni.
   È  opportuno  ricordare che  l'inizio  degli
   sviluppi scientifici sui cereali transgenici
   è  stato   l'osservazione  di   batteri  che
   naturalmente  e  spontaneamente  producevano
   una  modifica  nel  genoma di  un  vegetale.
   Tuttavia in natura  questi processi hanno un
   ritmo  lento, che  non  è paragonabile  alla
   velocità  imposta dai  progressi tecnologici
   attuali,  anche  quando  tali  progressi  si
   basano  su   uno  sviluppo   scientifico  di
   secoli.

134.

   Sebbene non  disponiamo di  prove definitive
   circa  il  danno  che potrebbero  causare  i
   cereali  transgenici  agli esseri  umani,  e
   in  alcune  regioni   il  loro  utilizzo  ha
   prodotto  una  crescita   economica  che  ha
   contribuito  a  risolvere  alcuni  problemi,
   si riscontrano  significative difficoltà che
   non  devono  essere  minimizzate.  In  molte
   zone, in seguito  all'introduzione di queste
   coltivazioni, si constata una concentrazione
   di  terre produttive  nelle  mani di  pochi,
   dovuta   alla  «progressiva   scomparsa  dei
   piccoli  produttori,   che,  in  conseguenza
   della perdita delle terre coltivate, si sono
   visti obbligati a ritirarsi dalla produzione
   diretta». I più fragili tra questi diventano
   lavoratori   precari   e   molti   salariati
   agricoli finiscono per migrare in miserabili
   insediamenti urbani.  L'estendersi di queste
   coltivazioni  distrugge  la complessa  trama
   degli  ecosistemi,  diminuisce la  diversità
   nella  produzione  e  colpisce  il  presente
   o  il futuro  delle  economie regionali.  In
   diversi Paesi si riscontra una tendenza allo
   sviluppo  di oligopoli  nella produzione  di
   sementi e di altri prodotti necessari per la
   coltivazione, e la  dipendenza si aggrava se
   si considera la  produzione di semi sterili,
   che  finirebbe per  obbligare i  contadini a
   comprarne dalle imprese produttrici.

135.

   Senza  dubbio c'è  bisogno di  un'attenzione
   costante,  che  porti  a  considerare  tutti
   gli  aspetti  etici  implicati. A  tal  fine
   occorre assicurare  un dibattito scientifico
   e sociale  che sia responsabile e  ampio, in
   grado  di  considerare tutta  l'informazione
   disponibile  e  di   chiamare  le  cose  con
   il  loro  nome. A  volte  non  si mette  sul
   tavolo  l'informazione  completa, ma  la  si
   seleziona secondo i  propri interessi, siano
   essi   politici,  economici   o  ideologici.
   Questo rende difficile elaborare un giudizio
   equilibrato   e   prudente   sulle   diverse
   questioni,   tenendo   presenti   tutte   le
   variabili in  gioco. E'  necessario disporre
   di   luoghi  di   dibattito  in   cui  tutti
   quelli  che in  qualche  modo si  potrebbero
   vedere    direttamente   o    indirettamente
   coinvolti     (agricoltori,     consumatori,
   autorità, scienziati, produttori di sementi,
   popolazioni  vicine  ai   campi  trattati  e
   altri) possano esporre le loro problematiche
   o  accedere  ad   un'informazione  estesa  e
   affidabile per  adottare decisioni orientate
   al  bene comune  presente  e futuro.  Quella
   degli  OGM  è  una  questione  di  carattere
   complesso,  che esige  di essere  affrontata
   con uno sguardo comprensivo  di tutti i suoi
   aspetti,  e questo  richiederebbe almeno  un
   maggiore sforzo per finanziare diverse linee
   di ricerca autonoma  e interdisciplinare che
   possano apportare nuova luce.

136.

   D'altro  canto,  è   preoccupante  il  fatto
   che  alcuni  movimenti ecologisti  difendano
   l'integrità  dell'ambiente,  e  con  ragione
   reclamino    dei    limiti   alla    ricerca
   scientifica,  mentre a  volte non  applicano
   questi  medesimi principi  alla vita  umana.
   Spesso  si  giustifica che  si  oltrepassino
   tutti i  limiti quando si  fanno esperimenti
   con  embrioni   umani  vivi.   Si  dimentica
   che  il  valore  inalienabile di  un  essere
   umano  va  molto  oltre  il  grado  del  suo
   sviluppo. Ugualmente, quando  la tecnica non
   riconosce i  grandi principi  etici, finisce
   per considerare legittima qualsiasi pratica.
   Come  abbiamo visto  in questo  capitolo, la
   tecnica  separata  dall'etica  difficilmente
   sarà  capace  di   autolimitare  il  proprio
   potere.

                 CAPITOLO QUARTO

              UN'ECOLOGIA INTEGRALE

137.

   Dal   momento   che  tutto   è   intimamente
   relazionato  e  che   gli  attuali  problemi
   richiedono  uno sguardo  che tenga  conto di
   tutti  gli  aspetti  della  crisi  mondiale,
   propongo di soffermarci  adesso a riflettere
   sui   diversi  elementi   di  una   ecologia
   integrale,  che   comprenda  chiaramente  le
   dimensioni umane e sociali.

   I. ECOLOGIA AMBIENTALE, ECONOMICA E SOCIALE

138.

   L'ecologia  studia  le   relazioni  tra  gli
   organismi  viventi e  l'ambiente  in cui  si
   sviluppano. Essa  esige anche di  fermarsi a
   pensare  e a  discutere sulle  condizioni di
   vita  e  di  sopravvivenza di  una  società,
   con  l'onestà di  mettere in  dubbio modelli
   di  sviluppo, produzione  e  consumo. Non  è
   superfluo insistere  ulteriormente sul fatto
   che tutto  è connesso. Il tempo  e lo spazio
   non  sono tra  loro indipendenti,  e neppure
   gli  atomi o  le  particelle subatomiche  si
   possono  considerare  separatamente. Come  i
   diversi  componenti del  pianeta --  fisici,
   chimici  e  biologici  --  sono  relazionati
   tra  loro,  così  anche  le  specie  viventi
   formano  una rete  che  non  finiamo mai  di
   riconoscere e comprendere. Buona parte della
   nostra informazione genetica è condivisa con
   molti esseri  viventi. Per tale  ragione, le
   conoscenze  frammentarie  e isolate  possono
   diventare  una  forma d'ignoranza  se  fanno
   resistenza ad integrarsi  in una visione più
   ampia della realtà.

139.

   Quando   parliamo  di   "ambiente"  facciamo
   riferimento   anche    a   una   particolare
   relazione:  quella   tra  la  natura   e  la
   società  che la  abita. Questo  ci impedisce
   di  considerare  la   natura  come  qualcosa
   di  separato   da  noi   o  come   una  mera
   cornice  della  nostra vita.  Siamo  inclusi
   in  essa, siamo  parte  di essa  e ne  siamo
   compenetrati.  Le ragioni  per  le quali  un
   luogo viene  inquinato richiedono un'analisi
   del   funzionamento  della   società,  della
   sua  economia,  del suo  comportamento,  dei
   suoi  modi di  comprendere  la realtà.  Data
   l'ampiezza  dei   cambiamenti,  non   è  più
   possibile trovare  una risposta  specifica e
   indipendente  per  ogni  singola  parte  del
   problema.  È fondamentale  cercare soluzioni
   integrali,  che  considerino le  interazioni
   dei  sistemi  naturali  tra  loro  e  con  i
   sistemi  sociali.  Non  ci  sono  due  crisi
   separate,   una    ambientale   e   un'altra
   sociale,  bensì una  sola e  complessa crisi
   socio-ambientale.   Le  direttrici   per  la
   soluzione richiedono  un approccio integrale
   per combattere la povertà, per restituire la
   dignità  agli esclusi  e nello  stesso tempo
   per prendersi cura della natura.

140.

   A  causa  della  quantità  e  varietà  degli
   elementi  di cui  tenere  conto, al  momento
   di   determinare  l'impatto   ambientale  di
   una  concreta   attività  d'impresa  diventa
   indispensabile dare ai  ricercatori un ruolo
   preminente e facilitare la loro interazione,
   con   ampia   libertà   accademica.   Questa
   ricerca  costante   dovrebbe  permettere  di
   riconoscere anche  come le  diverse creature
   si  relazionano, formando  quelle unità  più
   grandi  che   oggi  chiamiamo  "ecosistemi".
   Non  li  prendiamo  in  considerazione  solo
   per  determinare  quale   sia  il  loro  uso
   ragionevole, ma perché  possiedono un valore
   intrinseco  indipendente da  tale uso.  Come
   ogni  organismo   è  buono  e   mirabile  in
   sé  stesso  per  il   fatto  di  essere  una
   creatura  di  Dio,   lo  stesso  accade  con
   l'insieme  armonico  di   organismi  in  uno
   spazio  determinato,  che funziona  come  un
   sistema. Anche se  non ne abbiamo coscienza,
   dipendiamo  da tale  insieme  per la  nostra
   stessa  esistenza.   Occorre  ricordare  che
   gli  ecosistemi  intervengono nel  sequestro
   dell'anidride carbonica, nella purificazione
   dell'acqua,  nel  contrasto  di  malattie  e
   infestazioni, nella  composizione del suolo,
   nella  decomposizione   dei  rifiuti   e  in
   moltissimi  altri servizi  che dimentichiamo
   o  ignoriamo.  Quando  si rendono  conto  di
   questo,  molte  persone prendono  nuovamente
   coscienza  del fatto  che  viviamo e  agiamo
   a  partire  da una  realtà  che  ci è  stata
   previamente  donata,  che è  anteriore  alle
   nostre  capacità  e alla  nostra  esistenza.
   Perciò, quando si parla di "uso sostenibile"
   bisogna sempre introdurre una considerazione
   sulla  capacità  di  rigenerazione  di  ogni
   ecosistema  nei   suoi  diversi   settori  e
   aspetti.

141.

   D'altra parte, la crescita economica tende a
   produrre automatismi e  ad omogeneizzare, al
   fine di semplificare i  processi e ridurre i
   costi. Per  questo è  necessaria un'ecologia
   economica, capace  di indurre  a considerare
   la realtà in maniera più ampia. Infatti, «la
   protezione  dell'ambiente  dovrà  costituire
   parte integrante del  processo di sviluppo e
   non potrà considerarsi  in maniera isolata».
   Ma  nello stesso  tempo  diventa attuale  la
   necessità impellente  dell'umanesimo, che fa
   appello  ai  diversi  saperi,  anche  quello
   economico,  per  una visione  più  integrale
   e  integrante. Oggi  l'analisi dei  problemi
   ambientali  è inseparabile  dall'analisi dei
   contesti   umani,   familiari,   lavorativi,
   urbani,  e   dalla  relazione   di  ciascuna
   persona  con   sé  stessa,  che   genera  un
   determinato  modo  di relazionarsi  con  gli
   altri e con  l'ambiente. C'è una interazione
   tra gli ecosistemi e  tra i diversi mondi di
   riferimento  sociale,  e  così  si  dimostra
   ancora una  volta che «il tutto  è superiore
   alla parte».

142.

   Se tutto  è in relazione, anche  lo stato di
   salute  delle  istituzioni  di  una  società
   comporta   conseguenze   per  l'ambiente   e
   per  la  qualità  della  vita  umana:  «Ogni
   lesione  della  solidarietà e  dell'amicizia
   civica  provoca  danni ambientali».  In  tal
   senso, l'ecologia  sociale è necessariamente
   istituzionale  e raggiunge  progressivamente
   le diverse  dimensioni che vanno  dal gruppo
   sociale  primario,  la famiglia,  fino  alla
   vita   internazionale,   passando   per   la
   comunità locale e la Nazione. All'interno di
   ciascun  livello  sociale  e  tra  di  essi,
   si  sviluppano le  istituzioni che  regolano
   le  relazioni   umane.  Tutto  ciò   che  le
   danneggia  comporta   effetti  nocivi,  come
   la  perdita della  libertà, l'ingiustizia  e
   la  violenza. Diversi  Paesi sono  governati
   da  un  sistema  istituzionale  precario,  a
   costo  delle  sofferenze  della  popolazione
   e  a  beneficio  di coloro  che  lucrano  su
   questo  stato  di  cose.  Tanto  all'interno
   dell'amministrazione  dello   Stato,  quanto
   nelle  diverse   espressioni  della  società
   civile,  o  nelle relazioni  degli  abitanti
   tra  loro,   si  registrano   con  eccessiva
   frequenza  comportamenti illegali.  Le leggi
   possono essere redatte in forma corretta, ma
   spesso  rimangono  come  lettera  morta.  Si
   può  dunque sperare  che  la legislazione  e
   le  normative  relative  all'ambiente  siano
   realmente  efficaci? Sappiamo,  per esempio,
   che   Paesi  dotati   di  una   legislazione
   chiara  per  la  protezione  delle  foreste,
   continuano a  rimanere testimoni  muti della
   sua frequente  violazione. Inoltre,  ciò che
   accade in una regione esercita, direttamente
   o  indirettamente,   influenze  sulle  altre
   regioni.  Così per  esempio,  il consumo  di
   droghe  nelle società  opulente provoca  una
   costante o crescente domanda di prodotti che
   provengono  da regioni  impoverite, dove  si
   corrompono  i comportamenti,  si distruggono
   vite e si finisce col degradare l'ambiente.

   II. ECOLOGIA CULTURALE

143.

   Insieme   al  patrimonio   naturale,  vi   è
   un    patrimonio   storico,    artistico   e
   culturale,  ugualmente  minacciato. È  parte
   dell'identità   comune   di   un   luogo   e
   base  per  costruire  una  città  abitabile.
   Non   si   tratta   di  distruggere   e   di
   creare   nuove   città  ipoteticamente   più
   ecologiche,   dove    non   sempre   risulta
   desiderabile  vivere.  Bisogna integrare  la
   storia,  la  cultura   e  l'architettura  di
   un   determinato   luogo,   salvaguardandone
   l'identità   originale.  Perciò   l'ecologia
   richiede  anche  la   cura  delle  ricchezze
   culturali dell'umanità  nel loro significato
   più  ampio.  In  modo  più  diretto,  chiede
   di prestare  attenzione alle  culture locali
   nel momento  in cui si  analizzano questioni
   legate   all'ambiente,   facendo   dialogare
   il  linguaggio  tecnico-scientifico  con  il
   linguaggio popolare.  È la cultura  non solo
   intesa  come  i  monumenti del  passato,  ma
   specialmente nel suo  senso vivo, dinamico e
   partecipativo, che non  si può escludere nel
   momento  in  cui  si  ripensa  la  relazione
   dell'essere umano con l'ambiente.

144.

   La  visione consumistica  dell'essere umano,
   favorita   dagli   ingranaggi   dell'attuale
   economia   globalizzata,  tende   a  rendere
   omogenee le culture e a indebolire l'immensa
   varietà   culturale,   che   è   un   tesoro
   dell'umanità.  Per tale  ragione, pretendere
   di  risolvere tutte  le difficoltà  mediante
   normative uniformi o con interventi tecnici,
   porta  a  trascurare  la  complessità  delle
   problematiche  locali,   che  richiedono  la
   partecipazione  attiva   degli  abitanti.  I
   nuovi  processi  in gestazione  non  possono
   sempre   essere   integrati  entro   modelli
   stabiliti dall'esterno  ma provenienti dalla
   stessa  cultura locale.  Così  come la  vita
   e  il  mondo  sono  dinamici,  la  cura  del
   mondo  dev'essere   flessibile  e  dinamica.
   Le  soluzioni   meramente  tecniche  corrono
   il  rischio  di prendere  in  considerazione
   sintomi    che   non    corrispondono   alle
   problematiche  più  profonde.  È  necessario
   assumere  la  prospettiva  dei  diritti  dei
   popoli  e  delle  culture,  e  in  tal  modo
   comprendere  che lo  sviluppo  di un  gruppo
   sociale   suppone    un   processo   storico
   all'interno  di  un   contesto  culturale  e
   richiede  il   costante  protagonismo  degli
   attori sociali  locali a partire  dalla loro
   propria  cultura.  Neppure   la  nozione  di
   qualità  della  vita   si  può  imporre,  ma
   dev'essere compresa all'interno del mondo di
   simboli  e  consuetudini propri  di  ciascun
   gruppo umano.

145.

   Molte  forme   di  intenso   sfruttamento  e
   degrado  dell'ambiente possono  esaurire non
   solo i mezzi di sussistenza locali, ma anche
   le risorse  sociali che hanno  consentito un
   modo  di  vivere  che  per  lungo  tempo  ha
   sostenuto un'identità  culturale e  un senso
   dell'esistenza  e  del  vivere  insieme.  La
   scomparsa  di una  cultura può  essere grave
   come  o più  della scomparsa  di una  specie
   animale  o  vegetale. L'imposizione  di  uno
   stile egemonico di vita  legato a un modo di
   produzione  può essere  tanto nocivo  quanto
   l'alterazione degli ecosistemi.

146.

   In questo  senso, è  indispensabile prestare
   speciale attenzione  alle comunità aborigene
   con le  loro tradizioni culturali.  Non sono
   una  semplice  minoranza  tra le  altre,  ma
   piuttosto  devono   diventare  i  principali
   interlocutori,  soprattutto  nel momento  in
   cui  si  procede  con  grandi  progetti  che
   interessano i loro spazi. Per loro, infatti,
   la  terra  non  è   un  bene  economico,  ma
   un  dono  di Dio  e  degli  antenati che  in
   essa  riposano,  uno  spazio  sacro  con  il
   quale  hanno il  bisogno  di interagire  per
   alimentare la loro identità e i loro valori.
   Quando  rimangono nei  loro territori,  sono
   quelli  che  meglio  se  ne  prendono  cura.
   Tuttavia, in  diverse parti del  mondo, sono
   oggetto di pressioni affinché abbandonino le
   loro terre e le  lascino libere per progetti
   estrattivi,  agricoli o  di allevamento  che
   non  prestano  attenzione al  degrado  della
   natura e della cultura.

   III. ECOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA

147.

   Per  poter  parlare di  autentico  sviluppo,
   occorrerà  verificare  che   si  produca  un
   miglioramento integrale  nella qualità della
   vita  umana,  e  questo  implica  analizzare
   lo  spazio  in  cui  si  svolge  l'esistenza
   delle persone.  Gli ambienti in  cui viviamo
   influiscono  sul nostro  modo  di vedere  la
   vita,  di  sentire  e  di  agire.  Al  tempo
   stesso,  nella nostra  stanza, nella  nostra
   casa,  nel  nostro  luogo di  lavoro  e  nel
   nostro quartiere  facciamo uso dell'ambiente
   per   esprimere  la   nostra  identità.   Ci
   sforziamo   di  adattarci   all'ambiente,  e
   quando   esso  è   disordinato,  caotico   o
   saturo  di inquinamento  visivo e  acustico,
   l'eccesso  di  stimoli  mette alla  prova  i
   nostri  tentativi di  sviluppare un'identità
   integrata e felice.

148.

   E' ammirevole la  creatività e la generosità
   di   persone  e   gruppi  che   sono  capaci
   di   ribaltare   i   limiti   dell'ambiente,
   modificando   gli    effetti   avversi   dei
   condizionamenti, e imparando ad orientare la
   loro esistenza in mezzo  al disordine e alla
   precarietà. Per  esempio, in  alcuni luoghi,
   dove  le facciate  degli edifici  sono molto
   deteriorate,  vi  sono  persone  che  curano
   con  molta  dignità   l'interno  delle  loro
   abitazioni, o si sentono  a loro agio per la
   cordialità e l'amicizia della gente. La vita
   sociale positiva  e benefica  degli abitanti
   diffonde  luce   in  un  ambiente   a  prima
   vista  invivibile.  A  volte  è  encomiabile
   l'ecologia umana che riescono a sviluppare i
   poveri  in  mezzo  a tante  limitazioni.  La
   sensazione  di  soffocamento prodotta  dalle
   agglomerazioni residenziali e dagli spazi ad
   alta densità abitativa, viene contrastata se
   si sviluppano relazioni umane di vicinanza e
   calore, se  si creano comunità, se  i limiti
   ambientali sono  compensati nell'interiorità
   di ciascuna  persona, che si  sente inserita
   in una rete di  comunione e di appartenenza.
   In  tal  modo,  qualsiasi  luogo  smette  di
   essere un  inferno e diventa il  contesto di
   una vita degna.

149.

   E' provato inoltre che l'estrema penuria che
   si vive in alcuni ambienti privi di armonia,
   ampiezza   e   possibilità   d'integrazione,
   facilita   il   sorgere   di   comportamenti
   disumani  e la  manipolazione delle  persone
   da   parte   di  organizzazioni   criminali.
   Per  gli  abitanti di  quartieri  periferici
   molto   precari,   l'esperienza   quotidiana
   di  passare dall'affollamento  all'anonimato
   sociale che si vive  nelle grandi città, può
   provocare  una  sensazione  di  sradicamento
   che  favorisce  comportamenti antisociali  e
   violenza.  Tuttavia  mi preme  ribadire  che
   l'amore  è  più  forte.  Tante  persone,  in
   queste  condizioni, sono  capaci di  tessere
   legami di  appartenenza e di  convivenza che
   trasformano l'affollamento  in un'esperienza
   comunitaria   in   cui  si   infrangono   le
   pareti  dell'io e  si  superano le  barriere
   dell'egoismo. Questa  esperienza di salvezza
   comunitaria   è  ciò   che  spesso   suscita
   reazioni creative per migliorare un edificio
   o un quartiere.

150.

   Data   l'interrelazione    tra   gli   spazi
   urbani  e  il  comportamento  umano,  coloro
   che  progettano  edifici,  quartieri,  spazi
   pubblici   e   città,  hanno   bisogno   del
   contributo   di   diverse   discipline   che
   permettano  di  comprendere i  processi,  il
   simbolismo e i  comportamenti delle persone.
   Non  basta  la  ricerca della  bellezza  nel
   progetto,  perché   ha  ancora   più  valore
   servire  un  altro   tipo  di  bellezza:  la
   qualità   della  vita   delle  persone,   la
   loro  armonia   con  l'ambiente,  l'incontro
   e  l'aiuto  reciproco.  Anche per  questo  è
   tanto  importante  che  il  punto  di  vista
   degli   abitanti   del  luogo   contribuisca
   sempre   all'analisi  della   pianificazione
   urbanistica.

151.

   E' necessario  curare gli spazi  pubblici, i
   quadri prospettici e  i punti di riferimento
   urbani  che   accrescono  il   nostro  senso
   si  appartenenza,  la nostra  sensazione  di
   radicamento,  il  nostro "sentirci  a  casa"
   all'interno  della città  che ci  contiene e
   ci  unisce.  È  importante  che  le  diverse
   parti  di una  città siano  ben integrate  e
   che gli  abitanti possano avere  una visione
   d'insieme  invece  di   rinchiudersi  in  un
   quartiere,  rinunciando  a vivere  la  città
   intera come uno spazio proprio condiviso con
   gli  altri.  Ogni intervento  nel  paesaggio
   urbano o rurale  dovrebbe considerare come i
   diversi elementi del  luogo formino un tutto
   che  è  percepito  dagli  abitanti  come  un
   quadro  coerente  con  la sua  ricchezza  di
   significati. In  tal modo gli  altri cessano
   di  essere estranei  e li  si può  percepire
   come  parte  di   un  "noi"  che  costruiamo
   insieme.  Per  questa  stessa  ragione,  sia
   nell'ambiente urbano  sia in  quello rurale,
   è  opportuno  preservare  alcuni  spazi  nei
   quali  si evitino  interventi  umani che  li
   modifichino continuamente.

152.

   La  mancanza di  alloggi  è  grave in  molte
   parti  del mondo,  tanto  nelle zone  rurali
   quanto  nelle grandi  città, anche  perché i
   bilanci statali  di solito coprono  solo una
   piccola parte della  domanda. Non soltanto i
   poveri,  ma  una  gran parte  della  società
   incontra serie difficoltà  ad avere una casa
   propria.  La proprietà  della casa  ha molta
   importanza  per la  dignità delle  persone e
   per  lo sviluppo  delle famiglie.  Si tratta
   di  una   questione  centrale  dell'ecologia
   umana. Se  in un  determinato luogo  si sono
   già sviluppati  agglomerati caotici  di case
   precarie, si tratta anzitutto di urbanizzare
   tali   quartieri,  non   di  sradicarne   ed
   espellerne  gli  abitanti. Quando  i  poveri
   vivono   in   sobborghi   inquinati   o   in
   agglomerati pericolosi,  «nel caso  si debba
   procedere  al   loro  trasferimento   e  per
   non  aggiungere sofferenza  a sofferenza,  è
   necessario  fornire   un'adeguata  e  previa
   informazione, offrire alternative di alloggi
   dignitosi  e  coinvolgere  direttamente  gli
   interessati».   Nello   stesso   tempo,   la
   creatività dovrebbe  portare ad  integrare i
   quartieri disagiati all'interno di una città
   accogliente. «Come  sono belle le  città che
   superano la  sfiducia malsana e  integrano i
   differenti e che  fanno di tale integrazione
   un  nuovo  fattore  di sviluppo!  Come  sono
   belle le  città che, anche nel  loro disegno
   architettonico,  sono  piene  di  spazi  che
   collegano, mettono in relazione, favoriscono
   il riconoscimento dell'altro!».

153.

   La qualità  della vita nelle città  è legata
   in  larga  parte   ai  trasporti,  che  sono
   spesso  causa   di  grandi   sofferenze  per
   gli  abitanti. Nelle  città circolano  molte
   automobili utilizzate da  una o due persone,
   per  cui  il  traffico diventa  intenso,  si
   alza il livello d'inquinamento, si consumano
   enormi quantità  di energia  non rinnovabile
   e  diventa  necessaria   la  costruzione  di
   più  strade  e  parcheggi,  che  danneggiano
   il   tessuto   urbano.   Molti   specialisti
   concordano sulla necessità  di dare priorità
   al   trasporto  pubblico.   Tuttavia  alcune
   misure   necessarie  difficilmente   saranno
   accettate  in  modo pacifico  dalla  società
   senza un  miglioramento sostanziale  di tale
   trasporto,  che  in   molte  città  comporta
   un  trattamento  indegno   delle  persone  a
   causa  dell'affollamento,   della  scomodità
   o  della  scarsa  frequenza  dei  servizi  e
   dell'insicurezza.

154.

   Il  riconoscimento  della peculiare  dignità
   dell'essere umano molte  volte contrasta con
   la  vita  caotica  che  devono  condurre  le
   persone  nelle  nostre  città.  Questo  però
   non  dovrebbe far  dimenticare  lo stato  di
   abbandono e trascuratezza che soffrono anche
   alcuni  abitanti  delle  zone  rurali,  dove
   non  arrivano  i  servizi  essenziali  e  ci
   sono  lavoratori  ridotti in  condizione  di
   schiavitù, senza  diritti né  aspettative di
   una vita più dignitosa.

155.

   L'ecologia umana  implica anche  qualcosa di
   molto  profondo:   la  necessaria  relazione
   della  vita dell'essere  umano con  la legge
   morale inscritta  nella sua  propria natura,
   relazione indispensabile per poter creare un
   ambiente più  dignitoso. Affermava Benedetto
   XVI  che  esiste  una  «ecologia  dell'uomo»
   perché «anche l'uomo possiede una natura che
   deve  rispettare e  che  non può  manipolare
   a   piacere».  In   questa  linea,   bisogna
   riconoscere che  il nostro corpo ci  pone in
   una relazione  diretta con l'ambiente  e con
   gli altri esseri viventi. L'accettazione del
   proprio corpo come dono  di Dio è necessaria
   per accogliere  e accettare il  mondo intero
   come dono  del Padre  e casa  comune; invece
   una  logica  di  dominio sul  proprio  corpo
   si   trasforma  in   una   logica  a   volte
   sottile  di  dominio  sul  creato.  Imparare
   ad  accogliere il  proprio corpo,  ad averne
   cura  e a  rispettare i  suoi significati  è
   essenziale  per  una  vera  ecologia  umana.
   Anche apprezzare il  proprio corpo nella sua
   femminilità o  mascolinità è  necessario per
   poter  riconoscere  sé stessi  nell'incontro
   con  l'altro  diverso  da sé.  In  tal  modo
   è  possibile  accettare  con gioia  il  dono
   specifico dell'altro o  dell'altra, opera di
   Dio creatore,  e arricchirsi reciprocamente.
   Pertanto,  non   è  sano   un  atteggiamento
   che  pretenda di  «cancellare la  differenza
   sessuale perché non  sa più confrontarsi con
   essa».

   IV. IL PRINCIPIO DEL BENE COMUNE

156.

   L'ecologia   umana   è  inseparabile   dalla
   nozione  di bene  comune,  un principio  che
   svolge  un   ruolo  centrale   e  unificante
   nell'etica sociale. E'  «l'insieme di quelle
   condizioni della vita sociale che permettono
   tanto  ai gruppi  quanto  ai singoli  membri
   di  raggiungere  la propria  perfezione  più
   pienamente e più speditamente».

157.

   Il  bene   comune  presuppone   il  rispetto
   della  persona  umana  in quanto  tale,  con
   diritti fondamentali e inalienabili ordinati
   al  suo sviluppo  integrale.  Esige anche  i
   dispositivi di benessere e sicurezza sociale
   e lo sviluppo  dei diversi gruppi intermedi,
   applicando  il  principio di  sussidiarietà.
   Tra questi risalta specialmente la famiglia,
   come   cellula   primaria   della   società.
   Infine,  il  bene  comune richiede  la  pace
   sociale,   vale  a   dire  la   stabilità  e
   la  sicurezza  di   un  determinato  ordine,
   che  non  si  realizza  senza  un'attenzione
   particolare  alla   giustizia  distributiva,
   la  cui violazione  genera sempre  violenza.
   Tutta la  società -- e in  essa specialmente
   lo  Stato --  ha  l'obbligo  di difendere  e
   promuovere il bene comune.

158.

   Nelle   condizioni  attuali   della  società
   mondiale, dove si riscontrano tante inequità
   e sono  sempre più  numerose le  persone che
   vengono scartate, private  dei diritti umani
   fondamentali, il  principio del  bene comune
   si trasforma  immediatamente, come  logica e
   ineludibile conseguenza, in  un appello alla
   solidarietà e  in una  opzione preferenziale
   per i più poveri. Questa opzione richiede di
   trarre  le  conseguenze  della  destinazione
   comune  dei  beni   della  terra,  ma,  come
   ho  cercato   di  mostrare  nell'Esortazione
   apostolica   Evangelii  gaudium,   esige  di
   contemplare prima di tutto l'immensa dignità
   del  povero  alla  luce delle  più  profonde
   convinzioni  di  fede.  Basta  osservare  la
   realtà  per  comprendere   che  oggi  questa
   opzione è un'esigenza etica fondamentale per
   l'effettiva realizzazione del bene comune.

   V. LA GIUSTIZIA TRA LE GENERAZIONI

159.

   La  nozione di  bene comune  coinvolge anche
   le generazioni  future. Le  crisi economiche
   internazionali  hanno mostrato  con crudezza
   gli  effetti  nocivi  che porta  con  sé  il
   disconoscimento  di un  destino comune,  dal
   quale  non  possono  essere  esclusi  coloro
   che  verranno  dopo  di noi.  Ormai  non  si
   può  parlare di  sviluppo sostenibile  senza
   una solidarietà  fra le  generazioni. Quando
   pensiamo alla situazione in cui si lascia il
   pianeta alle future generazioni, entriamo in
   un'altra  logica, quella  del dono  gratuito
   che riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci
   è donata, non  possiamo più pensare soltanto
   a  partire da  un  criterio utilitarista  di
   efficienza  e produttività  per il  profitto
   individuale.  Non  stiamo   parlando  di  un
   atteggiamento   opzionale,   bensì  di   una
   questione   essenziale  di   giustizia,  dal
   momento  che la  terra che  abbiamo ricevuto
   appartiene  anche  a  coloro  che  verranno.
   I  Vescovi  del  Portogallo  hanno  esortato
   ad  assumere  questo  dovere  di  giustizia:
   «L'ambiente  si   situa  nella   logica  del
   ricevere. È un prestito che ogni generazione
   riceve e  deve trasmettere  alla generazione
   successiva». Un'ecologia  integrale possiede
   tale visione ampia.

160.

   Che  tipo di  mondo desideriamo  trasmettere
   a  coloro  che  verranno  dopo  di  noi,  ai
   bambini   che   stanno   crescendo?   Questa
   domanda  non  riguarda  solo  l'ambiente  in
   modo  isolato, perché  non si  può porre  la
   questione  in  maniera parziale.  Quando  ci
   interroghiamo  circa il  mondo che  vogliamo
   lasciare  ci  riferiamo soprattutto  al  suo
   orientamento  generale,  al  suo  senso,  ai
   suoi  valori. Se  non pulsa  in esse  questa
   domanda di  fondo, non  credo che  le nostre
   preoccupazioni  ecologiche possano  ottenere
   effetti  importanti.  Ma se  questa  domanda
   viene   posta  con   coraggio,  ci   conduce
   inesorabilmente ad altri interrogativi molto
   diretti:  A  che  scopo passiamo  da  questo
   mondo? Per quale fine siamo venuti in questa
   vita?  Per che  scopo lavoriamo  e lottiamo?
   Perché  questa  terra  ha  bisogno  di  noi?
   Pertanto,  non basta  più dire  che dobbiamo
   preoccuparci  per   le  future  generazioni.
   Occorre rendersi conto che quello che c'è in
   gioco è la dignità  di noi stessi. Siamo noi
   i primi interessati a trasmettere un pianeta
   abitabile  per l'umanità  che verrà  dopo di
   noi. È un dramma  per noi stessi, perché ciò
   chiama  in causa  il significato  del nostro
   passaggio su questa terra.

161.

   Le  previsioni  catastrofiche ormai  non  si
   possono più guardare con disprezzo e ironia.
   Potremmo lasciare  alle prossime generazioni
   troppe  macerie,  deserti  e  sporcizia.  Il
   ritmo di consumo, di spreco e di alterazione
   dell'ambiente  ha  superato  le  possibilità
   del pianeta,  in maniera  tale che  lo stile
   di  vita   attuale,  essendo  insostenibile,
   può sfociare  solamente in  catastrofi, come
   di  fatto sta  già avvenendo  periodicamente
   in  diverse  regioni.  L'attenuazione  degli
   effetti   dell'attuale  squilibrio   dipende
   da   ciò  che   facciamo  ora,   soprattutto
   se  pensiamo  alla   responsabilità  che  ci
   attribuiranno coloro che dovranno sopportare
   le peggiori conseguenze.

162.

   La  difficoltà a  prendere sul  serio questa
   sfida   è   legata  ad   un   deterioramento
   etico  e  culturale, che  accompagna  quello
   ecologico.  L'uomo  e  la  donna  del  mondo
   postmoderno  corrono  il rischio  permanente
   di  diventare profondamente  individualisti,
   e  molti problemi  sociali  attuali sono  da
   porre in relazione  con la ricerca egoistica
   della soddisfazione immediata,  con le crisi
   dei  legami  familiari  e  sociali,  con  le
   difficoltà  a   riconoscere  l'altro.  Molte
   volte si è di fronte ad un consumo eccessivo
   e  miope   dei  genitori  che   danneggia  i
   figli, che trovano  sempre più difficoltà ad
   acquistare  una  casa  propria e  a  fondare
   una famiglia. Inoltre,  questa incapacità di
   pensare seriamente alle future generazioni è
   legata  alla nostra  incapacità di  ampliare
   l'orizzonte  delle  nostre preoccupazioni  e
   pensare  a  quanti rimangono  esclusi  dallo
   sviluppo.  Non  perdiamoci  a  immaginare  i
   poveri   del  futuro,   è  sufficiente   che
   ricordiamo i poveri di oggi, che hanno pochi
   anni da vivere su questa terra e non possono
   continuare  ad   aspettare.  Perciò,  «oltre
   alla  leale solidarietà  intergenerazionale,
   occorre   reiterare    l'urgente   necessità
   morale   di    una   rinnovata   solidarietà
   intragenerazionale».

                 CAPITOLO QUINTO

     ALCUNE LINEE DI ORIENTAMENTO E DI AZIONE

163.

   Ho   cercato  di   prendere   in  esame   la
   situazione attuale dell'umanità, tanto nelle
   crepe del pianeta che abitiamo, quanto nelle
   cause  più profondamente  umane del  degrado
   ambientale.  Sebbene  questa  contemplazione
   della  realtà in  sé stessa  già ci  indichi
   la  necessità di  un  cambio di  rotta e  ci
   suggerisca  alcune  azioni, proviamo  ora  a
   delineare  dei  grandi percorsi  di  dialogo
   che ci  aiutino ad  uscire dalla  spirale di
   autodistruzione in cui stiamo affondando.

   I. IL  DIALOGO SULL'AMBIENTE  NELLA POLITICA
   INTERNAZIONALE

164.

   Dalla  metà  del  secolo  scorso,  superando
   molte  difficoltà,  si è  andata  affermando
   la  tendenza  a  concepire il  pianeta  come
   patria  e l'umanità  come  popolo che  abita
   una  casa comune.  Un mondo  interdipendente
   non  significa  unicamente   capire  che  le
   conseguenze dannose degli  stili di vita, di
   produzione  e di  consumo colpiscono  tutti,
   bensì,  principalmente,  fare  in  modo  che
   le  soluzioni siano  proposte  a partire  da
   una  prospettiva  globale   e  non  solo  in
   difesa  degli  interessi  di  alcuni  Paesi.
   L'interdipendenza ci obbliga  a pensare a un
   solo  mondo, ad  un progetto  comune. Ma  lo
   stesso  ingegno  utilizzato  per  un  enorme
   sviluppo tecnologico,  non riesce  a trovare
   forme  efficaci  di gestione  internazionale
   in  ordine a  risolvere le  gravi difficoltà
   ambientali  e  sociali.   Per  affrontare  i
   problemi  di fondo,  che non  possono essere
   risolti  da  azioni  di  singoli  Paesi,  si
   rende  indispensabile  un consenso  mondiale
   che   porti,  ad   esempio,  a   programmare
   un'agricoltura sostenibile  e diversificata,
   a  sviluppare   forme  rinnovabili   e  poco
   inquinanti  di  energia, a  incentivare  una
   maggiore efficienza energetica, a promuovere
   una  gestione  più  adeguata  delle  risorse
   forestali  e marine,  ad assicurare  a tutti
   l'accesso all'acqua potabile.

165.

   Sappiamo  che   la  tecnologia   basata  sui
   combustibili  fossili,  molto inquinanti  --
   specie  il  carbone,  ma anche  il  petrolio
   e,  in  misura  minore,   il  gas  --,  deve
   essere  sostituita progressivamente  e senza
   indugio.  In  attesa  di un  ampio  sviluppo
   delle  energie   rinnovabili,  che  dovrebbe
   già  essere cominciato,  è legittimo  optare
   per   il   male   minore   o   ricorrere   a
   soluzioni   transitorie.   Tuttavia,   nella
   comunità  internazionale non  si raggiungono
   accordi  adeguati  circa  la  responsabilità
   di  coloro  che  devono sopportare  i  costi
   maggiori della transizione energetica. Negli
   ultimi decenni le questioni ambientali hanno
   dato origine a  un ampio dibattito pubblico,
   che ha  fatto crescere nella  società civile
   spazi  di  notevole  impegno e  di  generosa
   dedizione.   La   politica   e   l'industria
   rispondono con lentezza, lontane dall'essere
   all'altezza delle sfide  mondiali. In questo
   senso  si  può  dire che,  mentre  l'umanità
   del  periodo   post-industriale  sarà  forse
   ricordata come una  delle più irresponsabili
   della storia, c'è da augurarsi che l'umanità
   degli  inizi  del  XXI secolo  possa  essere
   ricordata per aver assunto con generosità le
   proprie gravi responsabilità.

166.

   Il  movimento  ecologico   mondiale  ha  già
   fatto  un lungo  percorso, arricchito  dallo
   sforzo   di   molte   organizzazioni   della
   società  civile. Non  sarebbe possibile  qui
   menzionarle tutte, né ripercorrere la storia
   dei  loro  contributi.  Ma  grazie  a  tanto
   impegno, le questioni  ambientali sono state
   sempre  più  presenti  nell'agenda  pubblica
   e  sono  diventate  un invito  permanente  a
   pensare  a lungo  termine. Ciononostante,  i
   Vertici mondiali  sull'ambiente degli ultimi
   anni  non  hanno risposto  alle  aspettative
   perché, per mancanza  di decisione politica,
   non   hanno  raggiunto   accordi  ambientali
   globali realmente significativi ed efficaci.

167.

   Va   ricordato   il  Vertice   della   Terra
   celebrato  nel   1992  a  Rio   de  Janeiro.
   In  quella  sede   è  stato  dichiarato  che
   «gli  esseri  umani  sono  al  centro  delle
   preoccupazioni   relative    allo   sviluppo
   sostenibile».  Riprendendo alcuni  contenuti
   della  Dichiarazione  di  Stoccolma  (1972),
   ha  sancito,  tra l'altro,  la  cooperazione
   internazionale  per la  cura dell'ecosistema
   di  tutta  la   terra,  l'obbligo  da  parte
   di   chi    inquina   di    farsene   carico
   economicamente,   il   dovere  di   valutare
   l'impatto   ambientale  di   ogni  opera   o
   progetto.   Ha   proposto   l'obiettivo   di
   stabilizzare le concentrazioni  di gas serra
   nell'atmosfera  per  invertire  la  tendenza
   al   riscaldamento  globale.   Ha  elaborato
   anche   un'agenda   con  un   programma   di
   azione  e  una convenzione  sulla  diversità
   biologica, ha dichiarato principi in materia
   forestale.  Benché  quel vertice  sia  stato
   veramente innovativo e  profetico per la sua
   epoca,  gli  accordi  hanno avuto  un  basso
   livello  di attuazione  perché  non si  sono
   stabiliti adeguati  meccanismi di controllo,
   di   verifica   periodica  e   di   sanzione
   delle  inadempienze.  I  principi  enunciati
   continuano a richiedere vie efficaci e agili
   di realizzazione pratica.

168.

   Tra   le   esperienze    positive   si   può
   menzionare,  per   esempio,  la  Convenzione
   di  Basilea  sui   rifiuti  pericolosi,  con
   un  sistema  di  notificazione,  di  livelli
   stabiliti   e   di  controlli;   come   pure
   la  Convenzione   vincolante  sul  commercio
   internazionale delle specie di fauna e flora
   selvatica  minacciate   di  estinzione,  che
   prevede missioni di verifica dell'attuazione
   effettiva. Grazie alla Convenzione di Vienna
   per la  protezione dello  strato di  ozono e
   la  sua  attuazione mediante  il  Protocollo
   di  Montreal   e  i  suoi   emendamenti,  il
   problema  dell'assottigliamento   di  questo
   strato sembra essere entrato  in una fase di
   soluzione.

169.

   Riguardo   alla   cura  per   la   diversità
   biologica e la desertificazione, i progressi
   sono  stati  molto meno  significativi.  Per
   quanto attiene  ai cambiamenti  climatici, i
   progressi sono deplorevolmente molto scarsi.
   La riduzione dei  gas serra richiede onestà,
   coraggio   e   responsabilità,   soprattutto
   da  parte  dei  Paesi   più  potenti  e  più
   inquinanti.  La   Conferenza  delle  Nazioni
   Unite sullo  Sviluppo Sostenibile denominata
   Rio+20  (Rio  de  Janeiro 2012),  ha  emesso
   un'ampia  quanto   inefficace  Dichiarazione
   finale.   I  negoziati   internazionali  non
   possono  avanzare  in maniera  significativa
   a  causa  delle   posizioni  dei  Paesi  che
   privilegiano  i  propri interessi  nazionali
   rispetto  al  bene  comune  globale.  Quanti
   subiranno le conseguenze che noi tentiamo di
   dissimulare,  ricorderanno  questa  mancanza
   di  coscienza  e di  responsabilità.  Mentre
   si   andava  elaborando   questa  Enciclica,
   il  dibattito  ha  assunto  una  particolare
   intensità.  Noi  credenti non  possiamo  non
   pregare  Dio   per  gli   sviluppi  positivi
   delle  attuali  discussioni,   in  modo  che
   le  generazioni   future  non   soffrano  le
   conseguenze di imprudenti indugi.

170.

   Alcune   delle   strategie  per   la   bassa
   emissione  di  gas inquinanti  puntano  alla
   internazionalizzazione dei costi ambientali,
   con   il  pericolo   di  imporre   ai  Paesi
   con  minori  risorse pesanti  impegni  sulle
   riduzioni di emissioni,  simili a quelli dei
   Paesi  più  industrializzati.  L'imposizione
   di  queste  misure  penalizza  i  Paesi  più
   bisognosi  di sviluppo.  In  questo modo  si
   aggiunge  una  nuova  ingiustizia  sotto  il
   rivestimento  della   cura  per  l'ambiente.
   Anche  in  questo  caso,  piove  sempre  sul
   bagnato. Poiché gli  effetti dei cambiamenti
   climatici  si  faranno   sentire  per  molto
   tempo,  anche se  ora si  prendessero misure
   rigorose,  alcuni Paesi  con scarse  risorse
   avranno bisogno di  aiuto per adattarsi agli
   effetti  che  già  si  stanno  producendo  e
   colpiscono  le  loro economie.  Resta  certo
   che   ci  sono   responsabilità  comuni   ma
   differenziate,  semplicemente  perché,  come
   hanno affermato i  Vescovi della Bolivia, «i
   Paesi che hanno tratto  beneficio da un alto
   livello di  industrializzazione, a  costo di
   un'enorme  emissione  di  gas  serra,  hanno
   maggiore responsabilità  di contribuire alla
   soluzione dei problemi che hanno causato».

171.

   La strategia di compravendita di "crediti di
   emissione" può  dar luogo a una  nuova forma
   di speculazione  e non servirebbe  a ridurre
   l'emissione   globale  di   gas  inquinanti.
   Questo sistema  sembra essere  una soluzione
   rapida e facile, con l'apparenza di un certo
   impegno per l'ambiente, che però non implica
   affatto un  cambiamento radicale all'altezza
   delle  circostanze. Anzi,  può diventare  un
   espediente  che  consente  di  sostenere  il
   super-consumo di alcuni Paesi e settori.

172.

   Per  i  Paesi   poveri  le  priorità  devono
   essere  lo  sradicamento   della  miseria  e
   lo  sviluppo  sociale   dei  loro  abitanti;
   al   tempo   stesso   devono   prendere   in
   esame  il  livello   scandaloso  di  consumo
   di   alcuni   settori   privilegiati   della
   loro  popolazione  e contrastare  meglio  la
   corruzione.  Certo, devono  anche sviluppare
   forme  meno  inquinanti   di  produzione  di
   energia,  ma  per  questo hanno  bisogno  di
   contare  sull'aiuto   dei  Paesi   che  sono
   cresciuti  molto  a spese  dell'inquinamento
   attuale del pianeta. Lo sfruttamento diretto
   dell'abbondante energia  solare richiede che
   si  stabiliscano  meccanismi  e  sussidi  in
   modo  che   i  Paesi  in  via   di  sviluppo
   possano  avere accesso  al trasferimento  di
   tecnologie,  ad   assistenza  tecnica   e  a
   risorse  finanziarie,  ma  sempre  prestando
   attenzione alle condizioni concrete, giacché
   «non sempre viene  adeguatamente valutata la
   compatibilità degli impianti con il contesto
   per  il  quale  sono  progettati».  I  costi
   sarebbero  bassi se  raffrontati al  rischio
   dei cambiamenti  climatici. In ogni  modo, è
   anzitutto una decisione etica, fondata sulla
   solidarietà di tutti i popoli.

173.

   Urgono   accordi   internazionali   che   si
   realizzino,  considerata la  scarsa capacità
   delle istanze locali  di intervenire in modo
   efficace.  Le  relazioni  tra  Stati  devono
   salvaguardare la  sovranità di  ciascuno, ma
   anche  stabilire   percorsi  concordati  per
   evitare  catastrofi  locali che  finirebbero
   per  danneggiare   tutti.  Occorrono  quadri
   regolatori globali che  impongano obblighi e
   che  impediscano azioni  inaccettabili, come
   il  fatto che  Paesi  potenti scarichino  su
   altri  Paesi rifiuti  e industrie  altamente
   inquinanti.

174.

   Menzioniamo anche  il sistema  di governance
   degli  oceani.  Infatti,   benché  vi  siano
   state  diverse convenzioni  internazionali e
   regionali,  la  frammentazione  e  l'assenza
   di  severi  meccanismi di  regolamentazione,
   controllo e sanzione finiscono con il minare
   tutti gli sforzi.  Il crescente problema dei
   rifiuti marini e della protezione delle aree
   marine  al di  là delle  frontiere nazionali
   continua a rappresentare una sfida speciale.
   In definitiva, abbiamo bisogno di un accordo
   sui regimi di governance  per tutta la gamma
   dei cosiddetti beni comuni globali.

175.

   La  medesima  logica   che  rende  difficile
   prendere  decisioni drastiche  per invertire
   la  tendenza  al   riscaldamento  globale  è
   quella  che   non  permette   di  realizzare
   l'obiettivo   di   sradicare   la   povertà.
   Abbiamo    bisogno     di    una    reazione
   globale   più   responsabile,  che   implica
   affrontare  contemporaneamente la  riduzione
   dell'inquinamento  e lo  sviluppo dei  Paesi
   e  delle  regioni  povere.  Il  XXI  secolo,
   mentre  mantiene una  governance propria  di
   epoche  passate, assiste  ad una  perdita di
   potere  degli  Stati nazionali,  soprattutto
   perché la  dimensione economico-finanziaria,
   con   caratteri   transnazionali,  tende   a
   predominare   sulla   politica.  In   questo
   contesto, diventa indispensabile lo sviluppo
   di  istituzioni   internazionali  più  forti
   ed  efficacemente organizzate,  con autorità
   designate  in  maniera  imparziale  mediante
   accordi tra i governi nazionali e dotate del
   potere  di  sanzionare.  Come  ha  affermato
   Benedetto  XVI  nella linea  già  sviluppata
   dalla  dottrina sociale  della Chiesa,  «per
   il   governo  dell'economia   mondiale;  per
   risanare  le economie  colpite dalla  crisi,
   per  prevenire  peggioramenti  della  stessa
   e   conseguenti   maggiori  squilibri;   per
   realizzare  un opportuno  disarmo integrale,
   la  sicurezza  alimentare  e  la  pace;  per
   garantire  la  salvaguardia dell'ambiente  e
   per regolamentare  i flussi  migratori, urge
   la  presenza di  una vera  Autorità politica
   mondiale,  quale  è stata  già  tratteggiata
   dal   mio   Predecessore,   [san]   Giovanni
   XXIII». In  tale prospettiva,  la diplomazia
   acquista  un'importanza  inedita, in  ordine
   a  promuovere  strategie internazionali  per
   prevenire i problemi più gravi che finiscono
   per colpire tutti.

   II.   IL  DIALOGO   VERSO  NUOVE   POLITICHE
   NAZIONALI E LOCALI

176.

   Non  solo  ci  sono vincitori  e  vinti  tra
   i  Paesi,  ma  anche all'interno  dei  Paesi
   poveri,  in   cui  si   devono  identificare
   diverse responsabilità. Perciò, le questioni
   relative   all'ambiente   e  allo   sviluppo
   economico non si  possono più impostare solo
   a partire  dalle differenze tra i  Paesi, ma
   chiedono di porre  attenzione alle politiche
   nazionali e locali.

177.

   Dinanzi  alla  possibilità  di  un  utilizzo
   irresponsabile  delle  capacità umane,  sono
   funzioni   improrogabili   di   ogni   Stato
   quelle di  pianificare, coordinare, vigilare
   e   sanzionare   all'interno   del   proprio
   territorio.   La   società,  in   che   modo
   ordina  e  custodisce  il  proprio  divenire
   in  un  contesto   di  costanti  innovazioni
   tecnologiche?  Un  fattore che  agisce  come
   moderatore  effettivo  è   il  diritto,  che
   stabilisce   le  regole   per  le   condotte
   consentite  alla   luce  del   bene  comune.
   I  limiti  che   deve  imporre  una  società
   sana,  matura   e  sovrana   sono  attinenti
   a  previsione   e  precauzione,  regolamenti
   adeguati, vigilanza  sull'applicazione delle
   norme, contrasto della corruzione, azioni di
   controllo operativo sull'emergere di effetti
   non  desiderati dei  processi produttivi,  e
   intervento  opportuno  di  fronte  a  rischi
   indeterminati   o  potenziali.   Esiste  una
   crescente giurisprudenza orientata a ridurre
   gli   effetti   inquinanti  delle   attività
   imprenditoriali. Ma la  struttura politica e
   istituzionale non esiste solo per evitare le
   cattive pratiche, bensì  per incoraggiare le
   buone pratiche, per  stimolare la creatività
   che  cerca  nuove   strade,  per  facilitare
   iniziative personali e collettive.

178.

   Il  dramma di  una politica  focalizzata sui
   risultati  immediati,   sostenuta  anche  da
   popolazioni  consumiste,   rende  necessario
   produrre    crescita   a    breve   termine.
   Rispondendo   a   interessi  elettorali,   i
   governi   non    si   azzardano   facilmente
   a   irritare  la   popolazione  con   misure
   che   possano   intaccare  il   livello   di
   consumo  o  mettere a  rischio  investimenti
   esteri.  La  miope  costruzione  del  potere
   frena  l'inserimento dell'agenda  ambientale
   lungimirante     all'interno     dell'agenda
   pubblica  dei  governi.  Si  dimentica  così
   che  «il tempo  è superiore  allo spazio»  ,
   che  siamo  sempre  più  fecondi  quando  ci
   preoccupiamo di generare processi, piuttosto
   che   di  dominare   spazi  di   potere.  La
   grandezza  politica  si  mostra  quando,  in
   momenti  difficili, si  opera sulla  base di
   grandi principi e pensando  al bene comune a
   lungo termine.  Il potere politico  fa molta
   fatica  ad accogliere  questo  dovere in  un
   progetto di Nazione.

179.

   In  alcuni  luoghi,  si  stanno  sviluppando
   cooperative   per   lo  sfruttamento   delle
   energie    rinnovabili     che    consentono
   l'autosufficienza   locale   e  persino   la
   vendita della produzione  in eccesso. Questo
   semplice esempio indica che, mentre l'ordine
   mondiale  esistente si  mostra impotente  ad
   assumere  responsabilità,  l'istanza  locale
   può fare  la differenza.  E' lì  infatti che
   possono nascere una maggiore responsabilità,
   un  forte  senso comunitario,  una  speciale
   capacità  di  cura   e  una  creatività  più
   generosa, un  profondo amore per  la propria
   terra,  come pure  il pensare  a quello  che
   si  lascia  ai  figli e  ai  nipoti.  Questi
   valori  hanno  radici molto  profonde  nelle
   popolazioni  aborigene.  Poiché il  diritto,
   a   volte,  si   dimostra  insufficiente   a
   causa  della  corruzione,  si  richiede  una
   decisione   politica   sotto  la   pressione
   della  popolazione.  La società,  attraverso
   organismi  non  governativi  e  associazioni
   intermedie,  deve  obbligare   i  governi  a
   sviluppare normative,  procedure e controlli
   più rigorosi. Se i cittadini non controllano
   il potere  politico --  nazionale, regionale
   e  municipale  --  neppure  è  possibile  un
   contrasto  dei   danni  ambientali.  D'altra
   parte,  le  legislazioni municipali  possono
   essere più  efficaci se ci sono  accordi tra
   popolazioni vicine per sostenere le medesime
   politiche ambientali.

180.

   Non  si  può  pensare  a  ricette  uniformi,
   perché vi  sono problemi e  limiti specifici
   di  ogni  Paese  e  regione.  È  vero  anche
   che  il  realismo  politico  può  richiedere
   misure   e    tecnologie   di   transizione,
   sempre  che siano  accompagnate dal  disegno
   e  dall'accettazione   di  impegni  graduali
   vincolanti.  Allo  stesso  tempo,  però,  in
   ambito nazionale  e locale c'è  sempre molto
   da  fare,  ad  esempio promuovere  forme  di
   risparmio  energetico. Ciò  implica favorire
   modalità   di  produzione   industriale  con
   massima   efficienza   energetica  e   minor
   utilizzo   di   materie   prime,   togliendo
   dal   mercato  i   prodotti  poco   efficaci
   dal   punto  di   vista  energetico   o  più
   inquinanti.  Possiamo  anche menzionare  una
   buona  gestione  dei  trasporti  o  tecniche
   di  costruzione  e  di  ristrutturazione  di
   edifici   che   ne   riducano   il   consumo
   energetico  e  il livello  di  inquinamento.
   D'altra  parte,   l'azione  politica  locale
   può  orientarsi alla  modifica dei  consumi,
   allo  sviluppo  di un'economia  dei  rifiuti
   e  del   riciclaggio,  alla   protezione  di
   determinate  specie  e  alla  programmazione
   di   un'agricoltura  diversificata   con  la
   rotazione   delle   colture.   È   possibile
   favorire  il  miglioramento  agricolo  delle
   regioni  povere mediante  investimenti nelle
   infrastrutture  rurali,  nell'organizzazione
   del mercato locale  o nazionale, nei sistemi
   di irrigazione,  nello sviluppo  di tecniche
   agricole sostenibili.  Si possono facilitare
   forme  di cooperazione  o di  organizzazione
   comunitaria  che   difendano  gli  interessi
   dei  piccoli  produttori  e  preservino  gli
   ecosistemi  locali   dalla  depredazione.  È
   molto quello che si può fare!

181.

   È  indispensabile   la  continuità,  giacché
   non  si  possono   modificare  le  politiche
   relative  ai  cambiamenti climatici  e  alla
   protezione  dell'ambiente   ogni  volta  che
   cambia  un governo.  I risultati  richiedono
   molto  tempo  e comportano  costi  immediati
   con   effetti   che  non   potranno   essere
   esibiti   nel   periodo   di  vita   di   un
   governo.  Per  questo,  senza  la  pressione
   della  popolazione e  delle istituzioni,  ci
   saranno  sempre  resistenze ad  intervenire,
   ancor  più   quando  ci  siano   urgenze  da
   risolvere.  Che  un politico  assuma  queste
   responsabilità  con i  costi che  implicano,
   non   risponde  alla   logica  efficientista
   e   "immediatista"  dell'economia   e  della
   politica  attuali, ma  se  avrà il  coraggio
   di   farlo,  potrà   nuovamente  riconoscere
   la  dignità   che  Dio  gli  ha   dato  come
   persona  e lascerà,  dopo  il suo  passaggio
   in  questa  storia,   una  testimonianza  di
   generosa   responsabilità.    Occorre   dare
   maggior spazio  a una sana  politica, capace
   di riformare  le istituzioni,  coordinarle e
   dotarle  di buone  pratiche, che  permettano
   di  superare  pressioni e  inerzie  viziose.
   Tuttavia, bisogna aggiungere  che i migliori
   dispositivi finiscono  per soccombere quando
   mancano   le   grandi    mete,   i   valori,
   una  comprensione  umanistica   e  ricca  di
   significato,  capaci  di conferire  ad  ogni
   società un orientamento nobile e generoso.

   III.  DIALOGO  E  TRASPARENZA  NEI  PROCESSI
   DECISIONAL                                 I

182.

   La previsione  dell'impatto ambientale delle
   iniziative  imprenditoriali  e dei  progetti
   richiede  processi  politici  trasparenti  e
   sottoposti al dialogo,  mentre la corruzione
   che nasconde  il vero impatto  ambientale di
   un progetto in cambio di favori spesso porta
   ad accordi ambigui che sfuggono al dovere di
   informare ed a un dibattito approfondito.

183.

   Uno   studio  di   impatto  ambientale   non
   dovrebbe essere  successivo all'elaborazione
   di  un progetto  produttivo  o di  qualsiasi
   politica,  piano  o programma.  Va  inserito
   fin   dall'inizio  e   dev'essere  elaborato
   in  modo  interdisciplinare,  trasparente  e
   indipendente da  ogni pressione  economica o
   politica. Dev'essere  connesso con l'analisi
   delle condizioni  di lavoro e  dei possibili
   effetti  sulla   salute  fisica   e  mentale
   delle  persone, sull'economia  locale, sulla
   sicurezza. I risultati economici si potranno
   così  prevedere  in   modo  più  realistico,
   tenendo  conto  degli scenari  possibili  ed
   eventualmente anticipando la necessità di un
   investimento maggiore  per risolvere effetti
   indesiderati  che  possano essere  corretti.
   È   sempre  necessario   acquisire  consenso
   tra  i  vari  attori  sociali,  che  possono
   apportare  diverse prospettive,  soluzioni e
   alternative. Ma  nel dibattito  devono avere
   un  posto  privilegiato   gli  abitanti  del
   luogo,  i quali  si interrogano  su ciò  che
   vogliono  per sé  e  per i  propri figli,  e
   possono tenere in considerazione le finalità
   che   trascendono    l'interesse   economico
   immediato.  Bisogna  abbandonare  l'idea  di
   "interventi"  sull'ambiente,  per dar  luogo
   a  politiche pensate  e  dibattute da  tutte
   le  parti   interessate.  La  partecipazione
   richiede   che  tutti   siano  adeguatamente
   informati  sui diversi  aspetti  e sui  vari
   rischi  e  possibilità,   e  non  si  riduce
   alla  decisione  iniziale  su  un  progetto,
   ma  implica  anche  azioni  di  controllo  o
   monitoraggio   costante.   C'è  bisogno   di
   sincerità   e   verità   nelle   discussioni
   scientifiche e politiche,  senza limitarsi a
   considerare  che cosa  sia  permesso o  meno
   dalla legislazione.

184.

   Quando   compaiono   eventuali  rischi   per
   l'ambiente  che interessano  il bene  comune
   presente   e   futuro,   questa   situazione
   richiede  «che  le  decisioni  siano  basate
   su  un  confronto   tra  rischi  e  benefici
   ipotizzabili   per  ogni   possibile  scelta
   alternativa».  Questo  vale  soprattutto  se
   un  progetto   può  causare   un  incremento
   nello  sfruttamento delle  risorse naturali,
   nelle  emissioni   e  nelle   scorie,  nella
   produzione di  rifiuti, oppure  un mutamento
   significativo  nel  paesaggio,  nell'habitat
   di   specie  protette   o   in  uno   spazio
   pubblico.  Alcuni  progetti, non  supportati
   da  un'analisi  accurata, possono  intaccare
   profondamente  la qualità  della vita  di un
   luogo per  questioni molto diverse  tra loro
   come, ad  esempio, un  inquinamento acustico
   non  previsto,  la  riduzione  dell'ampiezza
   visuale, la perdita di valori culturali, gli
   effetti  dell'uso dell'energia  nucleare. La
   cultura  consumistica,  che dà  priorità  al
   breve termine  e all'interesse  privato, può
   favorire pratiche troppo rapide o consentire
   l'occultamento dell'informazione.

185.

   In     ogni      discussione     riguardante
   un'iniziativa  imprenditoriale  si  dovrebbe
   porre  una  serie   di  domande,  per  poter
   discernere  se porterà  ad un  vero sviluppo
   integrale:  Per   quale  scopo?   Per  quale
   motivo?  Dove? Quando?  In che  modo? A  chi
   è  diretto? Quali  sono  i  rischi? A  quale
   costo?  Chi paga  le spese  e come  lo farà?
   In  questo  esame   ci  sono  questioni  che
   devono  avere  la   priorità.  Per  esempio,
   sappiamo  che l'acqua  è una  risorsa scarsa
   e  indispensabile,  inoltre   è  un  diritto
   fondamentale  che condiziona  l'esercizio di
   altri diritti umani. Questo è indubitabile e
   supera ogni analisi di impatto ambientale di
   una regione.

186.

   Nella  Dichiarazione  di  Rio del  1992,  si
   sostiene  che   «laddove  vi   sono  minacce
   di   danni   gravi   o   irreversibili,   la
   mancanza  di   piene  certezze  scientifiche
   non   potrà   costituire   un   motivo   per
   ritardare  l'adozione  di  misure  efficaci»
   che  impediscano  il degrado  dell'ambiente.
   Questo  principio  di  precauzione  permette
   la   protezione   dei    più   deboli,   che
   dispongono  di  pochi mezzi  per  difendersi
   e  per  procurare   prove  irrefutabili.  Se
   l'informazione  oggettiva porta  a prevedere
   un danno grave e irreversibile, anche se non
   ci  fosse  una dimostrazione  indiscutibile,
   qualunque  progetto dovrebbe  essere fermato
   o  modificato.  In  questo modo  si  inverte
   l'onere  della  prova,  dato che  in  questi
   casi  bisogna  procurare  una  dimostrazione
   oggettiva   e    decisiva   che   l'attività
   proposta  non vada  a procurare  danni gravi
   all'ambiente o a quanti lo abitano.

187.

   Questo  non  significa opporsi  a  qualsiasi
   innovazione  tecnologica   che  consenta  di
   migliorare  la  qualità  della vita  di  una
   popolazione. Ma  in ogni caso  deve rimanere
   fermo  che  la  redditività non  può  essere
   l'unico  criterio da  tener presente  e che,
   nel   momento  in   cui  apparissero   nuovi
   elementi   di  giudizio   a  partire   dagli
   sviluppi dell'informazione, dovrebbe esserci
   una nuova valutazione  con la partecipazione
   di tutte le  parti interessate. Il risultato
   della discussione potrà  essere la decisione
   di  non   proseguire  in  un   progetto,  ma
   potrebbe  anche  essere  la sua  modifica  o
   l'elaborazione di proposte alternative.

188.

   Ci sono  discussioni, su  questioni relative
   all'ambiente,   nelle   quali  è   difficile
   raggiungere  un consenso.  Ancora una  volta
   ribadisco  che  la  Chiesa non  pretende  di
   definire  le questioni  scientifiche, né  di
   sostituirsi alla  politica, ma invito  ad un
   dibattito  onesto e  trasparente, perché  le
   necessità  particolari  o le  ideologie  non
   ledano il bene comune.

   IV. POLITICA  ED ECONOMIA IN DIALOGO  PER LA
   PIENEZZA UMAN                              A

189.

   La    politica   non    deve   sottomettersi
   all'economia e questa non deve sottomettersi
   ai  dettami  e  al  paradigma  efficientista
   della  tecnocrazia. Oggi,  pensando al  bene
   comune, abbiamo bisogno  in modo ineludibile
   che  la politica  e l'economia,  in dialogo,
   si  pongano  decisamente al  servizio  della
   vita,  specialmente  della  vita  umana.  Il
   salvataggio  ad  ogni  costo  delle  banche,
   facendo pagare  il prezzo  alla popolazione,
   senza  la  ferma  decisione  di  rivedere  e
   riformare  l'intero  sistema,  riafferma  un
   dominio  assoluto della  finanza che  non ha
   futuro  e  che  potrà  solo  generare  nuove
   crisi  dopo una  lunga, costosa  e apparente
   cura.  La  crisi finanziaria  del  2007-2008
   era  l'occasione  per sviluppare  una  nuova
   economia  più attenta  ai principi  etici, e
   per una nuova regolamentazione dell'attività
   finanziaria  speculativa  e della  ricchezza
   virtuale.  Ma  non  c'è stata  una  reazione
   che  abbia  portato  a ripensare  i  criteri
   obsoleti  che  continuano   a  governare  il
   mondo. La produzione non è sempre razionale,
   e  spesso è  legata  a variabili  economiche
   che  attribuiscono  ai  prodotti  un  valore
   che   non   corrisponde   al   loro   valore
   reale.  Questo  determina  molte  volte  una
   sovrapproduzione  di  alcune merci,  con  un
   impatto   ambientale  non   necessario,  che
   al  tempo  stesso danneggia  molte  economie
   regionali. La bolla  finanziaria di solito è
   anche una  bolla produttiva.  In definitiva,
   ciò che  non si affronta con  decisione è il
   problema dell'economia reale, la quale rende
   possibile che si  diversifichi e si migliori
   la  produzione,  che le  imprese  funzionino
   adeguatamente,  che   le  piccole   e  medie
   imprese si sviluppino  e creino occupazione,
   e così via.

190.

   In questo contesto  bisogna sempre ricordare
   che «la protezione ambientale non può essere
   assicurata  solo  sulla   base  del  calcolo
   finanziario di costi  e benefici. L'ambiente
   è  uno di  quei  beni che  i meccanismi  del
   mercato  non sono  in grado  di difendere  o
   di  promuovere  adeguatamente».  Ancora  una
   volta,   conviene  evitare   una  concezione
   magica  del  mercato,  che tende  a  pensare
   che  i problemi  si  risolvano  solo con  la
   crescita dei profitti  delle imprese o degli
   individui. È  realistico aspettarsi  che chi
   è  ossessionato  dalla  massimizzazione  dei
   profitti  si fermi  a  pensare agli  effetti
   ambientali   che   lascerà   alle   prossime
   generazioni? All'interno  dello schema della
   rendita non  c'è posto per pensare  ai ritmi
   della natura, ai  suoi tempi di degradazione
   e di rigenerazione, e alla complessità degli
   ecosistemi  che  possono  essere  gravemente
   alterati  dall'intervento   umano.  Inoltre,
   quando si parla  di biodiversità, al massimo
   la  si pensa  come  una  riserva di  risorse
   economiche che potrebbe essere sfruttata, ma
   non  si  considerano  seriamente  il  valore
   reale delle cose, il loro significato per le
   persone  e le  culture, gli  interessi e  le
   necessità dei poveri.

191.

   Quando  si  pongono tali  questioni,  alcuni
   reagiscono accusando gli altri di pretendere
   di  fermare irrazionalmente  il progresso  e
   lo sviluppo  umano. Ma  dobbiamo convincerci
   che  rallentare  un   determinato  ritmo  di
   produzione  e  di  consumo  può  dare  luogo
   a  un'altra  modalità   di  progresso  e  di
   sviluppo. Gli sforzi  per un uso sostenibile
   delle  risorse naturali  non sono  una spesa
   inutile,  bensì  un investimento  che  potrà
   offrire  altri  benefici economici  a  medio
   termine.   Se   non   abbiamo   ristrettezze
   di   vedute,   possiamo  scoprire   che   la
   diversificazione   di  una   produzione  più
   innovativa e con  minore impatto ambientale,
   può  essere molto  redditizia. Si  tratta di
   aprire la  strada a  opportunità differenti,
   che non  implicano di fermare  la creatività
   umana  e  il  suo  sogno  di  progresso,  ma
   piuttosto di incanalare tale energia in modo
   nuovo.

192.

   Per   esempio,  un   percorso  di   sviluppo
   produttivo più  creativo e  meglio orientato
   potrebbe   correggere   la   disparità   tra
   l'eccessivo  investimento   tecnologico  per
   il  consumo e  quello  scarso per  risolvere
   i  problemi  urgenti dell'umanità;  potrebbe
   generare forme intelligenti  e redditizie di
   riutilizzo,  di  recupero  funzionale  e  di
   riciclo;  potrebbe  migliorare  l'efficienza
   energetica   delle   città;  e   così   via.
   La    diversificazione   produttiva    offre
   larghissime   possibilità   all'intelligenza
   umana   per   creare  e   innovare,   mentre
   protegge l'ambiente  e crea  più opportunità
   di  lavoro.  Questa sarebbe  una  creatività
   capace   di   far  fiorire   nuovamente   la
   nobiltà  dell'essere  umano,  perché  è  più
   dignitoso usare  l'intelligenza, con audacia
   e  responsabilità,  per   trovare  forme  di
   sviluppo sostenibile ed  equo, nel quadro di
   una concezione più ampia della qualità della
   vita. Viceversa, è meno dignitoso e creativo
   e  più  superficiale  insistere  nel  creare
   forme  di saccheggio  della natura  solo per
   offrire  nuove possibilità  di consumo  e di
   rendita immediata.

193.

   In ogni modo, se  in alcuni casi lo sviluppo
   sostenibile  comporterà  nuove modalità  per
   crescere,  in  altri  casi, di  fronte  alla
   crescita  avida  e   irresponsabile  che  si
   è  prodotta   per  molti   decenni,  occorre
   pensare   pure  a   rallentare  un   po'  il
   passo,  a  porre alcuni  limiti  ragionevoli
   e  anche  a  ritornare  indietro  prima  che
   sia tardi.  Sappiamo che è  insostenibile il
   comportamento  di  coloro  che  consumano  e
   distruggono sempre più,  mentre altri ancora
   non  riescono a  vivere  in conformità  alla
   propria dignità umana. Per questo è arrivata
   l'ora  di  accettare  una  certa  decrescita
   in   alcune  parti   del  mondo   procurando
   risorse  perché si  possa  crescere in  modo
   sano  in   altre  parti.   Diceva  Benedetto
   XVI  che   «è  necessario  che   le  società
   tecnologicamente  avanzate siano  disposte a
   favorire comportamenti  caratterizzati dalla
   sobrietà, diminuendo  il proprio  consumo di
   energia e migliorando  le condizioni del suo
   uso».

194.

   Affinché sorgano nuovi  modelli di progresso
   abbiamo  bisogno  di  «cambiare  il  modello
   di   sviluppo   globale»,   la   qual   cosa
   implica  riflettere   responsabilmente  «sul
   senso  dell'economia e  sulla sua  finalità,
   per   correggere   le  sue   disfunzioni   e
   distorsioni». Non  basta conciliare,  in una
   via  di mezzo,  la  cura per  la natura  con
   la rendita  finanziaria, o  la conservazione
   dell'ambiente  con il  progresso. Su  questo
   tema le  vie di  mezzo sono solo  un piccolo
   ritardo   nel  disastro.   Semplicemente  si
   tratta  di  ridefinire   il  progresso.  Uno
   sviluppo  tecnologico ed  economico che  non
   lascia  un  mondo  migliore  e  una  qualità
   di  vita  integralmente superiore,  non  può
   considerarsi progresso. D'altra parte, molte
   volte  la  qualità  reale della  vita  delle
   persone  diminuisce --  per il  deteriorarsi
   dell'ambiente, la bassa qualità dei prodotti
   alimentari   o   l'esaurimento   di   alcune
   risorse  --  nel  contesto di  una  crescita
   dell'economia. In questo quadro, il discorso
   della crescita sostenibile diventa spesso un
   diversivo  e  un  mezzo  di  giustificazione
   che assorbe  valori del  discorso ecologista
   all'interno  della  logica della  finanza  e
   della   tecnocrazia,  e   la  responsabilità
   sociale e ambientale delle imprese si riduce
   per  lo  più  a   una  serie  di  azioni  di
   marketing e di immagine.

195.

   Il   principio  della   massimizzazione  del
   profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi
   altra  considerazione,   è  una  distorsione
   concettuale  dell'economia:  se  aumenta  la
   produzione, interessa poco  che si produca a
   spese  delle risorse  future o  della salute
   dell'ambiente; se  il taglio di  una foresta
   aumenta  la  produzione, nessuno  misura  in
   questo  calcolo   la  perdita   che  implica
   desertificare un  territorio, distruggere la
   biodiversità  o   aumentare  l'inquinamento.
   Vale  a   dire  che  le   imprese  ottengono
   profitti  calcolando  e  pagando  una  parte
   infima  dei costi.  Si potrebbe  considerare
   etico solo un comportamento  in cui «i costi
   economici e sociali derivanti dall'uso delle
   risorse ambientali comuni siano riconosciuti
   in  maniera trasparente  e siano  pienamente
   supportati da  coloro che ne  usufruiscono e
   non da altre popolazioni o dalle generazioni
   future».  La  razionalità  strumentale,  che
   apporta solo un'analisi statica della realtà
   in funzione  delle necessità del  momento, è
   presente sia quando  ad assegnare le risorse
   è  il mercato,  sia quando  lo fa  uno Stato
   pianificatore.

196.

   Qual è  il posto della  politica? Ricordiamo
   il    principio   di    sussidiarietà,   che
   conferisce  libertà  per lo  sviluppo  delle
   capacità presenti  a tutti i livelli,  ma al
   tempo stesso esige  più responsabilità verso
   il bene  comune da parte di  chi detiene più
   potere.  È  vero  che  oggi  alcuni  settori
   economici   esercitano   più  potere   degli
   Stati  stessi. Ma  non  si può  giustificare
   un'economia  senza   politica,  che  sarebbe
   incapace  di propiziare  un'altra logica  in
   grado  di  governare  i vari  aspetti  della
   crisi  attuale.  La  logica che  non  lascia
   spazio  a  una  sincera  preoccupazione  per
   l'ambiente  è la  stessa  in  cui non  trova
   spazio  la  preoccupazione per  integrare  i
   più  fragili,  perché «nel  vigente  modello
   "di successo"  e "privatistico",  non sembra
   abbia  senso investire  affinché quelli  che
   rimangono indietro, i deboli o i meno dotati
   possano farsi strada nella vita».

197.

   Abbiamo  bisogno di  una politica  che pensi
   con una visione ampia, e che porti avanti un
   nuovo approccio integrale,  includendo in un
   dialogo interdisciplinare  i diversi aspetti
   della crisi. Molte  volte la stessa politica
   è  responsabile  del proprio  discredito,  a
   causa della  corruzione e della  mancanza di
   buone politiche  pubbliche. Se lo  Stato non
   adempie  il proprio  ruolo  in una  regione,
   alcuni  gruppi  economici  possono  apparire
   come benefattori e detenere il potere reale,
   sentendosi autorizzati a non osservare certe
   norme,  fino a  dar  luogo  a diverse  forme
   di  criminalità  organizzata,  tratta  delle
   persone,  narcotraffico   e  violenza  molto
   difficili  da  sradicare.   Se  la  politica
   non   è  capace   di   rompere  una   logica
   perversa,  e  inoltre   resta  inglobata  in
   discorsi  inconsistenti, continueremo  a non
   affrontare  i grandi  problemi dell'umanità.
   Una  strategia  di cambiamento  reale  esige
   di  ripensare  la   totalità  dei  processi,
   poiché  non  basta  inserire  considerazioni
   ecologiche superficiali mentre  non si mette
   in  discussione la  logica soggiacente  alla
   cultura attuale. Una  politica sana dovrebbe
   essere capace di assumere questa sfida.

198.

   La   politica   e   l'economia   tendono   a
   incolparsi    reciprocamente   per    quanto
   riguarda la povertà e il degrado ambientale.
   Ma   quello  che   ci  si   attende  è   che
   riconoscano i propri  errori e trovino forme
   di  interazione  orientate al  bene  comune.
   Mentre gli uni si affannano solo per l'utile
   economico  e  gli  altri  sono  ossessionati
   solo dal conservare  o accrescere il potere,
   quello che  ci resta  sono guerre  o accordi
   ambigui dove ciò che meno interessa alle due
   parti è  preservare l'ambiente e  avere cura
   dei più deboli. Anche  qui vale il principio
   che «l'unità è superiore al conflitto».

   V. LE RELIGIONI NEL DIALOGO CON LE SCIENZE

199.

   Non   si  può   sostenere  che   le  scienze
   empiriche  spieghino completamente  la vita,
   l'intima  essenza  di  tutte le  creature  e
   l'insieme  della   realtà.  Questo  vorrebbe
   dire superare indebitamente  i loro limitati
   confini   metodologici.   Se   si   riflette
   con  questo   quadro  ristretto,  spariscono
   la  sensibilità   estetica,  la   poesia,  e
   persino   la  capacità   della  ragione   di
   cogliere  il  senso   e  la  finalità  delle
   cose.  Desidero   ricordare  che   «i  testi
   religiosi   classici   possono  offrire   un
   significato  destinato  a tutte  le  epoche,
   posseggono  una  forza  motivante  che  apre
   sempre nuovi orizzonti  [...]. È ragionevole
   e   intelligente   relegarli   nell'oscurità
   solo  perché  sono   nati  nel  contesto  di
   una  credenza  religiosa?».   In  realtà,  è
   semplicistico pensare  che i  principi etici
   possano   presentarsi   in  modo   puramente
   astratto,  slegati   da  ogni   contesto,  e
   il  fatto  che  appaiano con  un  linguaggio
   religioso non  toglie loro alcun  valore nel
   dibattito  pubblico.  I principi  etici  che
   la  ragione è  capace  di percepire  possono
   riapparire  sempre  sotto  diverse  vesti  e
   venire  espressi  con linguaggi  differenti,
   anche religiosi.

200.

   D'altra  parte, qualunque  soluzione tecnica
   che le scienze  pretendano di apportare sarà
   impotente a  risolvere i gravi  problemi del
   mondo  se  l'umanità  perde  la  sua  rotta,
   se  si  dimenticano  le  grandi  motivazioni
   che  rendono  possibile il  vivere  insieme,
   il  sacrificio,  la  bontà.  In  ogni  caso,
   occorrerà fare appello  ai credenti affinché
   siano coerenti con la  propria fede e non la
   contraddicano con le  loro azioni, bisognerà
   insistere perché  si aprano  nuovamente alla
   grazia  di  Dio  e attingano  in  profondità
   dalle proprie  convinzioni sull'amore, sulla
   giustizia  e  sulla  pace.  Se  una  cattiva
   comprensione  dei  nostri   principi  ci  ha
   portato  a  volte   a  giustificare  l'abuso
   della   natura   o  il   dominio   dispotico
   dell'essere umano  sul creato, o  le guerre,
   l'ingiustizia e  la violenza,  come credenti
   possiamo riconoscere  che in tal  modo siamo
   stati  infedeli al  tesoro  di sapienza  che
   avremmo  dovuto  custodire.  Molte  volte  i
   limiti  culturali  di diverse  epoche  hanno
   condizionato tale consapevolezza del proprio
   patrimonio   etico   e  spirituale,   ma   è
   precisamente il ritorno alle loro rispettive
   fonti   che  permette   alle  religioni   di
   rispondere meglio alle necessità attuali.

201.

   La   maggior   parte  degli   abitanti   del
   pianeta  si  dichiarano credenti,  e  questo
   dovrebbe  spingere le  religioni ad  entrare
   in  un  dialogo   tra  loro  orientato  alla
   cura   della   natura,   alla   difesa   dei
   poveri,  alla  costruzione  di una  rete  di
   rispetto e  di fraternità.  È indispensabile
   anche  un  dialogo  tra le  stesse  scienze,
   dato   che   ognuna   è   solita   chiudersi
   nei   limiti  del   proprio  linguaggio,   e
   la   specializzazione   tende  a   diventare
   isolamento  e  assolutizzazione del  proprio
   sapere.  Questo impedisce  di affrontare  in
   modo  adeguato   i  problemi  dell'ambiente.
   Ugualmente  si rende  necessario un  dialogo
   aperto e rispettoso  tra i diversi movimenti
   ecologisti,  fra  i  quali  non  mancano  le
   lotte  ideologiche. La  gravità della  crisi
   ecologica esige  da noi tutti di  pensare al
   bene comune e di andare avanti sulla via del
   dialogo  che  richiede  pazienza,  ascesi  e
   generosità, ricordando sempre che «la realtà
   è superiore all'idea».

                  CAPITOLO SESTO

       EDUCAZIONE E SPIRITUALITÀ ECOLOGICA

202.

   Molte  cose  devono riorientare  la  propria
   rotta, ma prima di  tutto è l'umanità che ha
   bisogno di  cambiare. Manca la  coscienza di
   un'origine comune, di una mutua appartenenza
   e   di  un   futuro   condiviso  da   tutti.
   Questa consapevolezza  di base permetterebbe
   lo  sviluppo  di  nuove  convinzioni,  nuovi
   atteggiamenti e  stili di vita.  Emerge così
   una  grande  sfida culturale,  spirituale  e
   educativa che implicherà  lunghi processi di
   rigenerazione.

   I. PUNTARE SU UN ALTRO STILE DI VITA

203.

   Dal momento  che il  mercato tende  a creare
   un  meccanismo  consumistico compulsivo  per
   piazzare   i  suoi   prodotti,  le   persone
   finiscono con l'essere  travolte dal vortice
   degli  acquisti  e  delle  spese  superflue.
   Il  consumismo   ossessivo  è   il  riflesso
   soggettivo  del  paradigma  tecno-economico.
   Accade   ciò   che  già   segnalava   Romano
   Guardini:   l'essere   umano  «accetta   gli
   oggetti ordinari  e le forme  consuete della
   vita così  come gli  sono imposte  dai piani
   razionali e  dalle macchine  normalizzate e,
   nel complesso,  lo fa con  l'impressione che
   tutto  questo  sia  ragionevole  e  giusto».
   Tale paradigma  fa credere a tutti  che sono
   liberi finché conservano una pretesa libertà
   di  consumare, quando  in realtà  coloro che
   possiedono  la   libertà  sono   quelli  che
   fanno parte  della minoranza che  detiene il
   potere  economico e  finanziario. In  questa
   confusione,  l'umanità  postmoderna  non  ha
   trovato una nuova  comprensione di sé stessa
   che  possa  orientarla,  e  questa  mancanza
   di  identità si  vive con  angoscia. Abbiamo
   troppi mezzi per scarsi e rachitici fini.

204.

   La situazione attuale  del mondo «provoca un
   senso  di precarietà  e di  insicurezza, che
   a  sua  volta  favorisce  forme  di  egoismo
   collettivo».  Quando  le  persone  diventano
   autoreferenziali  e  si isolano  nella  loro
   coscienza,  accrescono  la propria  avidità.
   Più il  cuore della persona è  vuoto, più ha
   bisogno  di oggetti  da comprare,  possedere
   e  consumare. In  tale  contesto non  sembra
   possibile  che   qualcuno  accetti   che  la
   realtà  gli  ponga   un  limite.  In  questo
   orizzonte  non esiste  nemmeno un  vero bene
   comune.  Se  tale  è  il  tipo  di  soggetto
   che  tende  a  predominare in  una  società,
   le  norme  saranno   rispettate  solo  nella
   misura in  cui non contraddicano  le proprie
   necessità.  Perciò  non pensiamo  solo  alla
   possibilità di  terribili fenomeni climatici
   o  grandi  disastri  naturali,  ma  anche  a
   catastrofi   derivate   da  crisi   sociali,
   perché  l'ossessione per  uno stile  di vita
   consumistico, soprattutto  quando solo pochi
   possono sostenerlo, potrà provocare soltanto
   violenza e distruzione reciproca.

205.

   Eppure,   non   tutto  è   perduto,   perché
   gli  esseri  umani,   capaci  di  degradarsi
   fino  all'estremo, possono  anche superarsi,
   ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi,
   al  di   là  di   qualsiasi  condizionamento
   psicologico   e  sociale   che  venga   loro
   imposto. Sono capaci di guardare a sé stessi
   con  onestà,  di  far  emergere  il  proprio
   disgusto  e  di intraprendere  nuove  strade
   verso la vera  libertà. Non esistono sistemi
   che  annullino  completamente l'apertura  al
   bene,  alla verità  e alla  bellezza, né  la
   capacità  di reagire,  che  Dio continua  ad
   incoraggiare dal profondo  dei nostri cuori.
   Ad  ogni  persona  di  questo  mondo  chiedo
   di  non dimenticare  questa sua  dignità che
   nessuno ha diritto di toglierle.

206.

   Un cambiamento negli  stili di vita potrebbe
   arrivare ad esercitare una sana pressione su
   coloro  che  detengono il  potere  politico,
   economico  e  sociale.   È  ciò  che  accade
   quando i movimenti  dei consumatori riescono
   a  far  sì  che   si  smetta  di  acquistare
   certi  prodotti  e così  diventano  efficaci
   per   modificare   il  comportamento   delle
   imprese, forzandole  a considerare l'impatto
   ambientale  e  i  modelli di  produzione.  È
   un  fatto che,  quando le  abitudini sociali
   intaccano i  profitti delle  imprese, queste
   si  vedono spinte  a  produrre  in un  altro
   modo.  Questo ci  ricorda la  responsabilità
   sociale   dei  consumatori.   «Acquistare  è
   sempre un atto morale, oltre che economico».
   Per  questo   oggi  «il  tema   del  degrado
   ambientale chiama  in causa  i comportamenti
   di ognuno di noi».

207.

   La  Carta  della  Terra  ci  chiamava  tutti
   a   lasciarci  alle   spalle  una   fase  di
   autodistruzione  e  a cominciare  di  nuovo,
   ma   non  abbiamo   ancora  sviluppato   una
   coscienza universale che lo renda possibile.
   Per  questo oso  proporre nuovamente  quella
   preziosa  sfida:   «Come  mai   prima  d'ora
   nella storia,  il destino comune  ci obbliga
   a  cercare  un  nuovo  inizio  [...].  Possa
   la  nostra  epoca  essere ricordata  per  il
   risveglio  di  una  nuova riverenza  per  la
   vita,  per  la risolutezza  nel  raggiungere
   la sostenibilità,  per l'accelerazione della
   lotta per la  giustizia e la pace,  e per la
   gioiosa celebrazione della vita».

208.

   E'  sempre  possibile sviluppare  una  nuova
   capacità  di  uscire   da  sé  stessi  verso
   l'altro. Senza di essa non si riconoscono le
   altre  creature  nel  loro  valore  proprio,
   non interessa  prendersi cura di  qualcosa a
   vantaggio  degli  altri, manca  la  capacità
   di   porsi  dei   limiti   per  evitare   la
   sofferenza  o  il  degrado  di  ciò  che  ci
   circonda.  L'atteggiamento  fondamentale  di
   auto-trascendersi, infrangendo  la coscienza
   isolata e l'autoreferenzialità,  è la radice
   che  rende  possibile   ogni  cura  per  gli
   altri e  per l'ambiente,  e fa  scaturire la
   reazione  morale  di  considerare  l'impatto
   provocato da ogni azione e da ogni decisione
   personale al  di fuori  di sé.  Quando siamo
   capaci  di   superare  l'individualismo,  si
   può  effettivamente  produrre uno  stile  di
   vita  alternativo  e  diventa  possibile  un
   cambiamento rilevante nella società.

   II.  EDUCARE   ALL'ALLEANZA  TRA  L'UMANITÀE
   L'AMBIENT                                  E

209.

   La  coscienza  della   gravità  della  crisi
   culturale  ed  ecologica  deve  tradursi  in
   nuove   abitudini.   Molti  sanno   che   il
   progresso attuale e  il semplice accumulo di
   oggetti  o  piaceri  non  bastano  per  dare
   senso  e  gioia  al   cuore  umano,  ma  non
   si  sentono capaci  di  rinunciare a  quanto
   il  mercato   offre  loro.  Nei   Paesi  che
   dovrebbero  produrre i  maggiori cambiamenti
   di abitudini di consumo, i giovani hanno una
   nuova  sensibilità ecologica  e uno  spirito
   generoso, e  alcuni di loro lottano  in modo
   ammirevole per  la difesa  dell'ambiente, ma
   sono cresciuti  in un contesto  di altissimo
   consumo e  di benessere che  rende difficile
   la  maturazione  di   altre  abitudini.  Per
   questo  ci  troviamo  davanti ad  una  sfida
   educativa.

210.

   L'educazione ambientale  è andata allargando
   i  suoi obiettivi.  Se all'inizio  era molto
   centrata  sull'informazione   scientifica  e
   sulla  presa  di   coscienza  e  prevenzione
   dei   rischi   ambientali,   ora   tende   a
   includere  una  critica   dei  "miti"  della
   modernità  basati sulla  ragione strumentale
   (individualismo,    progresso    indefinito,
   concorrenza,   consumismo,   mercato   senza
   regole)  e  anche  a  recuperare  i  diversi
   livelli  dell'equilibrio  ecologico:  quello
   interiore con sé stessi, quello solidale con
   gli  altri, quello  naturale  con tutti  gli
   esseri viventi,  quello spirituale  con Dio.
   L'educazione ambientale  dovrebbe disporci a
   fare  quel salto  verso il  Mistero, da  cui
   un'etica  ecologica trae  il  suo senso  più
   profondo.  D'altra parte  ci sono  educatori
   capaci   di    reimpostare   gli   itinerari
   pedagogici  di un'etica  ecologica, in  modo
   che aiutino effettivamente  a crescere nella
   solidarietà,  nella  responsabilità e  nella
   cura basata sulla compassione.

211.

   Tuttavia,  questa   educazione,  chiamata  a
   creare una "cittadinanza ecologica", a volte
   si  limita  a  informare   e  non  riesce  a
   far  maturare  delle abitudini.  L'esistenza
   di  leggi  e  norme   non  è  sufficiente  a
   lungo   termine  per   limitare  i   cattivi
   comportamenti, anche quando esista un valido
   controllo.   Affinché  la   norma  giuridica
   produca  effetti  rilevanti   e  duraturi  è
   necessario che  la maggior parte  dei membri
   della società l'abbia accettata a partire da
   motivazioni  adeguate,  e  reagisca  secondo
   una   trasformazione  personale.   Solamente
   partendo  dal   coltivare  solide   virtù  è
   possibile la  donazione di sé in  un impegno
   ecologico. Se una persona, benché le proprie
   condizioni   economiche  le   permettano  di
   consumare  e spendere  di più,  abitualmente
   si   copre  un   po'  invece   di  accendere
   il  riscaldamento,  ciò  suppone  che  abbia
   acquisito  convinzioni  e  modi  di  sentire
   favorevoli alla cura  dell'ambiente. È molto
   nobile  assumere il  compito  di avere  cura
   del  creato con  piccole azioni  quotidiane,
   ed  è  meraviglioso   che  l'educazione  sia
   capace  di   motivarle  fino  a   dar  forma
   ad  uno  stile  di vita.  L'educazione  alla
   responsabilità  ambientale può  incoraggiare
   vari  comportamenti  che hanno  un'incidenza
   diretta   e   importante  nella   cura   per
   l'ambiente, come evitare  l'uso di materiale
   plastico o  di carta, ridurre il  consumo di
   acqua,  differenziare  i  rifiuti,  cucinare
   solo   quanto   ragionevolmente   si   potrà
   mangiare, trattare con cura gli altri esseri
   viventi, utilizzare il  trasporto pubblico o
   condividere  un medesimo  veicolo tra  varie
   persone, piantare  alberi, spegnere  le luci
   inutili,  e così  via.  Tutto  ciò fa  parte
   di  una  creatività  generosa  e  dignitosa,
   che  mostra  il  meglio  dell'essere  umano.
   Riutilizzare  qualcosa invece  di disfarsene
   rapidamente,    partendo   da    motivazioni
   profonde, può  essere un  atto di  amore che
   esprime la nostra dignità.

212.

   Non  bisogna pensare  che questi  sforzi non
   cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono
   un  bene nella  società  che sempre  produce
   frutti  al   di  là   di  quanto   si  possa
   constatare,  perché  provocano   in  seno  a
   questa  terra  un   bene  che  tende  sempre
   a   diffondersi,  a   volte  invisibilmente.
   Inoltre, l'esercizio di questi comportamenti
   ci   restituisce  il   senso  della   nostra
   dignità,   ci   conduce  ad   una   maggiore
   profondità  esistenziale,   ci  permette  di
   sperimentare  che vale  la pena  passare per
   questo mondo.

213.

   Gli ambiti  educativi sono vari:  la scuola,
   la  famiglia, i  mezzi di  comunicazione, la
   catechesi,  e  altri. Una  buona  educazione
   scolastica nell'infanzia  e nell'adolescenza
   pone semi che possono produrre effetti lungo
   tutta  la  vita.  Ma  desidero  sottolineare
   l'importanza centrale della famiglia, perché
   «è  il  luogo  in   cui  la  vita,  dono  di
   Dio,  può  essere  adeguatamente  accolta  e
   protetta contro i  molteplici attacchi a cui
   è  esposta,  e  può svilupparsi  secondo  le
   esigenze  di  un'autentica  crescita  umana.
   Contro la cosiddetta cultura della morte, la
   famiglia costituisce  la sede  della cultura
   della vita». Nella  famiglia si coltivano le
   prime abitudini di amore e cura per la vita,
   come per esempio  l'uso corretto delle cose,
   l'ordine  e  la  pulizia,  il  rispetto  per
   l'ecosistema locale e la protezione di tutte
   le creature.  La famiglia  è il  luogo della
   formazione integrale,  dove si  dispiegano i
   diversi aspetti, intimamente relazionati tra
   loro,  della  maturazione  personale.  Nella
   famiglia si impara a chiedere permesso senza
   prepotenza, a dire "grazie" come espressione
   di   sentito  apprezzamento   per  le   cose
   che  riceviamo,  a  dominare  l'aggressività
   o  l'avidità,  e  a  chiedere  scusa  quando
   facciamo  qualcosa di  male. Questi  piccoli
   gesti   di   sincera  cortesia   aiutano   a
   costruire una cultura della vita condivisa e
   del rispetto per quanto ci circonda.

214.

   Alla  politica  e  alle  varie  associazioni
   compete  uno  sforzo   di  formazione  delle
   coscienze. Compete anche  alla Chiesa. Tutte
   le   comunità  cristiane   hanno  un   ruolo
   importante da compiere in questa educazione.
   Spero  altresì  che  nei nostri  seminari  e
   nelle  case   religiose  di   formazione  si
   educhi ad  una austerità  responsabile, alla
   contemplazione   riconoscente   del   mondo,
   alla  cura per  la  fragilità  dei poveri  e
   dell'ambiente.  Poiché  grande  è  la  posta
   in  gioco, così  come occorrono  istituzioni
   dotate di potere per sanzionare gli attacchi
   all'ambiente, altrettanto abbiamo bisogno di
   controllarci e di educarci l'un l'altro.

215.

   In  questo  contesto,   «non  va  trascurata
   [...] la  relazione che c'è  tra un'adeguata
   educazione estetica e  il mantenimento di un
   ambiente  sano».  Prestare  attenzione  alla
   bellezza  e amarla  ci aiuta  ad uscire  dal
   pragmatismo  utilitaristico.  Quando non  si
   impara a fermarsi  ad ammirare ed apprezzare
   il  bello,  non  è   strano  che  ogni  cosa
   si  trasformi  in  oggetto di  uso  e  abuso
   senza  scrupoli. Allo  stesso  tempo, se  si
   vuole raggiungere  dei cambiamenti profondi,
   bisogna   tener  presente   che  i   modelli
   di   pensiero   influiscono  realmente   sui
   comportamenti. L'educazione  sarà inefficace
   e  i  suoi  sforzi saranno  sterili  se  non
   si  preoccupa anche  di diffondere  un nuovo
   modello  riguardo   all'essere  umano,  alla
   vita,  alla  società  e alla  relazione  con
   la natura.  Altrimenti continuerà  ad andare
   avanti il modello consumistico trasmesso dai
   mezzi  di  comunicazione  e  attraverso  gli
   efficaci meccanismi del mercato.

   III. LA CONVERSIONE ECOLOGICA

216.

   La   grande  ricchezza   della  spiritualità
   cristiana,   generata    da   venti   secoli
   di   esperienze  personali   e  comunitarie,
   costituisce   un  magnifico   contributo  da
   offrire allo sforzo  di rinnovare l'umanità.
   Desidero proporre ai  cristiani alcune linee
   di spiritualità ecologica  che nascono dalle
   convinzioni  della nostra  fede, perché  ciò
   che il Vangelo ci insegna ha conseguenze sul
   nostro  modo di  pensare,  di  sentire e  di
   vivere. Non  si tratta  tanto di  parlare di
   idee,  quanto soprattutto  delle motivazioni
   che  derivano  dalla  spiritualità  al  fine
   di  alimentare  una  passione  per  la  cura
   del  mondo.   Infatti  non   sarà  possibile
   impegnarsi  in  cose   grandi  soltanto  con
   delle  dottrine, senza  una  mistica che  ci
   animi,  senza   «qualche  movente  interiore
   che  dà  impulso,  motiva, incoraggia  e  dà
   senso  all'azione personale  e comunitaria».
   Dobbiamo  riconoscere  che  non  sempre  noi
   cristiani abbiamo raccolto  e fatto fruttare
   le ricchezze  che Dio  ha dato  alla Chiesa,
   dove  la spiritualità  non  è disgiunta  dal
   proprio  corpo,  né  dalla  natura  o  dalle
   realtà  di questo  mondo, ma  piuttosto vive
   con esse  e in esse, in  comunione con tutto
   ciò che ci circonda.

217.

   Se  «i  deserti  esteriori  si  moltiplicano
   nel  mondo,   perché  i   deserti  interiori
   sono   diventati   così  ampi»,   la   crisi
   ecologica  è  un   appello  a  una  profonda
   conversione  interiore.   Tuttavia  dobbiamo
   anche   riconoscere  che   alcuni  cristiani
   impegnati  e dediti  alla preghiera,  con il
   pretesto del realismo  e della pragmaticità,
   spesso si  fanno beffe  delle preoccupazioni
   per l'ambiente.  Altri sono passivi,  non si
   decidono  a  cambiare le  proprie  abitudini
   e  diventano incoerenti.  Manca loro  dunque
   una  conversione   ecologica,  che  comporta
   il  lasciar  emergere tutte  le  conseguenze
   dell'incontro   con  Gesù   nelle  relazioni
   con  il mondo  che  li  circonda. Vivere  la
   vocazione  di essere  custodi dell'opera  di
   Dio  è  parte   essenziale  di  un'esistenza
   virtuosa,   non   costituisce  qualcosa   di
   opzionale  e nemmeno  un aspetto  secondario
   dell'esperienza cristiana.

218.

   Ricordiamo  il  modello   di  san  Francesco
   d'Assisi,  per proporre  una sana  relazione
   col   creato  come   una  dimensione   della
   conversione integrale  della persona. Questo
   esige anche di  riconoscere i propri errori,
   peccati,  vizi o  negligenze, e  pentirsi di
   cuore,  cambiare dal  di  dentro. I  Vescovi
   dell'Australia  hanno  saputo  esprimere  la
   conversione  in  termini di  riconciliazione
   con  il   creato:  «Per   realizzare  questa
   riconciliazione dobbiamo esaminare le nostre
   vite e riconoscere in che modo offendiamo la
   creazione di Dio con  le nostre azioni e con
   la nostra incapacità di agire. Dobbiamo fare
   l'esperienza  di  una  conversione,  di  una
   trasformazione del cuore».

219.

   Tuttavia,   non   basta   che   ognuno   sia
   migliore   per   risolvere  una   situazione
   tanto  complessa  come quella  che  affronta
   il  mondo   attuale.  I   singoli  individui
   possono  perdere la  capacità  e la  libertà
   di   vincere   la   logica   della   ragione
   strumentale  e  finiscono per  soccombere  a
   un  consumismo  senza  etica e  senza  senso
   sociale  e ambientale.  Ai problemi  sociali
   si  risponde   con  reti   comunitarie,  non
   con  la  mera  somma  di  beni  individuali:
   «Le  esigenze  di quest'opera  saranno  così
   immense che le  possibilità delle iniziative
   individuali e  la cooperazione  dei singoli,
   individualisticamente  formati, non  saranno
   in  grado  di rispondervi.  Sarà  necessaria
   una  unione   di  forze   e  una   unità  di
   contribuzioni». La conversione ecologica che
   si  richiede  per  creare  un  dinamismo  di
   cambiamento duraturo è anche una conversione
   comunitaria.

220.

   Tale conversione comporta vari atteggiamenti
   che  si  coniugano  per  attivare  una  cura
   generosa  e  piena  di tenerezza.  In  primo
   luogo implica gratitudine e gratuità, vale a
   dire un  riconoscimento del mondo  come dono
   ricevuto dall'amore  del Padre,  che provoca
   come  conseguenza  disposizioni gratuite  di
   rinuncia e  gesti generosi anche  se nessuno
   li vede  o li riconosce: «Non  sappia la tua
   sinistra  ciò che  fa  la  tua destra  [...]
   e  il  Padre  tuo,  che  vede  nel  segreto,
   ti  ricompenserà» (Mt  6,3-4). Implica  pure
   l'amorevole  consapevolezza  di  non  essere
   separati   dalle  altre   creature,  ma   di
   formare con  gli altri  esseri dell'universo
   una  stupenda comunione  universale. Per  il
   credente, il  mondo non si contempla  dal di
   fuori  ma  dal  di  dentro,  riconoscendo  i
   legami con  i quali il  Padre ci ha  unito a
   tutti gli esseri.  Inoltre, facendo crescere
   le  capacità peculiari  che  Dio  ha dato  a
   ciascun  credente, la  conversione ecologica
   lo conduce a sviluppare  la sua creatività e
   il suo  entusiasmo, al  fine di  risolvere i
   drammi  del mondo,  offrendosi  a Dio  «come
   sacrificio  vivente,  santo e  gradito»  (Rm
   12,1). Non interpreta la propria superiorità
   come motivo di gloria personale o di dominio
   irresponsabile, ma come una diversa capacità
   che  a  sua  volta   gli  impone  una  grave
   responsabilità che deriva dalla sua fede.

221.

   Diverse   convinzioni  della   nostra  fede,
   sviluppate  all'inizio di  questa Enciclica,
   aiutano  ad  arricchire  il  senso  di  tale
   conversione, come la consapevolezza che ogni
   creatura riflette  qualcosa di  Dio e  ha un
   messaggio  da  trasmetterci, o  la  certezza
   che  Cristo ha  assunto in  sé questo  mondo
   materiale e ora, risorto, dimora nell'intimo
   di  ogni essere,  circondandolo  con il  suo
   affetto e penetrandolo con la sua luce. Come
   pure  il riconoscere  che Dio  ha creato  il
   mondo  inscrivendo in  esso un  ordine e  un
   dinamismo  che  l'essere  umano  non  ha  il
   diritto  di  ignorare. Quando  leggiamo  nel
   Vangelo che Gesù parla  degli uccelli e dice
   che  «nemmeno  uno  di  essi  è  dimenticato
   davanti  a  Dio»  (Lc 12,6),  saremo  capaci
   di  maltrattarli   e  far  loro   del  male?
   Invito  tutti  i   cristiani  a  esplicitare
   questa dimensione della propria conversione,
   permettendo  che la  forza e  la luce  della
   grazia  ricevuta  si  estendano  anche  alla
   relazione  con le  altre creature  e con  il
   mondo  che  li  circonda, e  susciti  quella
   sublime fratellanza con  tutto il creato che
   san Francesco d'Assisi visse in maniera così
   luminosa.

   IV. GIOIA E PACE

222.

   La  spiritualità cristiana  propone un  modo
   alternativo  di intendere  la qualità  della
   vita,  e   incoraggia  uno  stile   di  vita
   profetico e contemplativo,  capace di gioire
   profondamente   senza  essere   ossessionati
   dal  consumo.  È  importante  accogliere  un
   antico  insegnamento,  presente  in  diverse
   tradizioni religiose, e  anche nella Bibbia.
   Si  tratta  della  convinzione che  "meno  è
   di  più".  Infatti  il  costante  cumulo  di
   possibilità di consumare  distrae il cuore e
   impedisce  di apprezzare  ogni  cosa e  ogni
   momento.  Al  contrario,  rendersi  presenti
   serenamente  davanti  ad  ogni  realtà,  per
   quanto   piccola  possa   essere,  ci   apre
   molte  più  possibilità  di  comprensione  e
   di realizzazione  personale. La spiritualità
   cristiana   propone   una   crescita   nella
   sobrietà e una capacità  di godere con poco.
   È un ritorno alla semplicità che ci permette
   di fermarci  a gustare  le piccole  cose, di
   ringraziare delle  possibilità che  offre la
   vita senza  attaccarci a ciò che  abbiamo né
   rattristarci  per  ciò che  non  possediamo.
   Questo  richiede  di   evitare  la  dinamica
   del  dominio e  della mera  accumulazione di
   piaceri.

223.

   La   sobrietà,   vissuta   con   libertà   e
   consapevolezza,  è  liberante.  Non  è  meno
   vita,  non è  bassa intensità,  ma tutto  il
   contrario. Infatti quelli che gustano di più
   e vivono meglio ogni momento sono coloro che
   smettono  di  beccare  qua  e  là,  cercando
   sempre quello che  non hanno, e sperimentano
   ciò che significa  apprezzare ogni persona e
   ad ogni cosa,  imparano a familiarizzare con
   le realtà più semplici e ne sanno godere. In
   questo  modo riescono  a  ridurre i  bisogni
   insoddisfatti e diminuiscono la stanchezza e
   l'ansia.  Si  può  aver bisogno  di  poco  e
   vivere molto, soprattutto quando si è capaci
   di dare  spazio ad altri piaceri  e si trova
   soddisfazione  negli incontri  fraterni, nel
   servizio,  nel  mettere  a frutto  i  propri
   carismi,  nella  musica   e  nell'arte,  nel
   contatto con la  natura, nella preghiera. La
   felicità richiede  di saper  limitare alcune
   necessità che ci  stordiscono, restando così
   disponibili  per  le molteplici  possibilità
   che offre la vita.

224.

   La  sobrietà  e  l'umiltà non  hanno  goduto
   nell'ultimo    secolo   di    una   positiva
   considerazione.  Quando però  si indebolisce
   in modo generalizzato l'esercizio di qualche
   virtù  nella vita  personale e  sociale, ciò
   finisce col  provocare molteplici squilibri,
   anche  ambientali.  Per   questo  non  basta
   più   parlare   solo  dell'integrità   degli
   ecosistemi.   Bisogna   avere  il   coraggio
   di   parlare   dell'integrità   della   vita
   umana,  della  necessità   di  promuovere  e
   di   coniugare   tutti  i   grandi   valori.
   La  scomparsa  dell'umiltà,   in  un  essere
   umano   eccessivamente  entusiasmato   dalla
   possibilità  di dominare  tutto senza  alcun
   limite,  può solo  finire  col nuocere  alla
   società   e  all'ambiente.   Non  è   facile
   maturare  questa sana  umiltà  e una  felice
   sobrietà   se    diventiamo   autonomi,   se
   escludiamo dalla nostra vita Dio e il nostro
   io ne  occupa il posto, se  crediamo che sia
   la nostra soggettività a determinare ciò che
   è bene e ciò che è male.

225.

   D'altra parte, nessuna  persona può maturare
   in  una felice  sobrietà  se non  è in  pace
   con  sé  stessa.   E  parte  di  un'adeguata
   comprensione  della   spiritualità  consiste
   nell'allargare la  nostra comprensione della
   pace,  che  è   molto  più  dell'assenza  di
   guerra.  La pace  interiore delle  persone è
   molto  legata alla  cura dell'ecologia  e al
   bene comune, perché, autenticamente vissuta,
   si riflette in uno stile di vita equilibrato
   unito a una capacità  di stupore che conduce
   alla  profondità  della  vita. La  natura  è
   piena  di parole  d'amore,  ma come  potremo
   ascoltarle in mezzo al rumore costante, alla
   distrazione permanente e ansiosa, o al culto
   dell'apparire? Molte persone sperimentano un
   profondo squilibrio che le  spinge a fare le
   cose a tutta velocità per sentirsi occupate,
   in una  fretta costante  che a sua  volta le
   porta  a  travolgere  tutto  ciò  che  hanno
   intorno a sé. Questo  incide sul modo in cui
   si tratta  l'ambiente. Un'ecologia integrale
   richiede  di dedicare  un po'  di tempo  per
   recuperare la serena  armonia con il creato,
   per riflettere sul nostro  stile di vita e i
   nostri ideali, per  contemplare il Creatore,
   che  vive  tra  di  noi  e  in  ciò  che  ci
   circonda, e la cui presenza «non deve essere
   costruita, ma scoperta e svelata».

226.

   Stiamo  parlando  di  un  atteggiamento  del
   cuore, che vive tutto con serena attenzione,
   che sa rimanere  pienamente presente davanti
   a qualcuno  senza stare a pensare  a ciò che
   viene dopo, che si  consegna ad ogni momento
   come dono divino da vivere in pienezza. Gesù
   ci insegnava questo  atteggiamento quando ci
   invitava a guardare i  gigli del campo e gli
   uccelli del  cielo, o quando,  alla presenza
   di  un uomo  in ricerca,  «fissò lo  sguardo
   su  di  lui»  e  «lo amò»  (Mc  10,21).  Lui
   sì  che  sapeva  stare  pienamente  presente
   davanti ad  ogni essere  umano e  davanti ad
   ogni  creatura, e  così ci  ha mostrato  una
   via  per superare  l'ansietà  malata che  ci
   rende superficiali,  aggressivi e consumisti
   sfrenati.

227.

   Un'espressione  di  questo  atteggiamento  è
   fermarsi a  ringraziare Dio  prima e  dopo i
   pasti. Propongo  ai credenti  che riprendano
   questa  preziosa abitudine  e la  vivano con
   profondità. Tale  momento della benedizione,
   anche se  molto breve, ci ricorda  il nostro
   dipendere da  Dio per la vita,  fortifica il
   nostro senso di gratitudine per i doni della
   creazione, è  riconoscente verso  quelli che
   con il loro lavoro forniscono questi beni, e
   rafforza la solidarietà con i più bisognosi.

   V. AMORE CIVILE E POLITICO

228.

   La cura per  la natura è parte  di uno stile
   di  vita  che  implica  capacità  di  vivere
   insieme e di comunione. Gesù ci ha ricordato
   che  abbiamo Dio  come  nostro Padre  comune
   e  che  questo  ci rende  fratelli.  L'amore
   fraterno può  solo essere gratuito,  non può
   mai essere un compenso  per ciò che un altro
   realizza, né un anticipo per quanto speriamo
   che faccia.  Per questo è possibile  amare i
   nemici. Questa  stessa gratuità ci  porta ad
   amare  e accettare  il vento,  il sole  o le
   nubi, benché  non si sottomettano  al nostro
   controllo.  Per questo  possiamo parlare  di
   una fraternità universale.

229.

   Occorre   sentire  nuovamente   che  abbiamo
   bisogno  gli uni  degli  altri, che  abbiamo
   una   responsabilità  verso   gli  altri   e
   verso  il   mondo,  che  vale  la   pena  di
   essere   buoni  e   onesti.  Già   troppo  a
   lungo  siamo   stati  nel   degrado  morale,
   prendendoci  gioco dell'etica,  della bontà,
   della  fede, dell'onestà,  ed è  arrivato il
   momento  di riconoscere  che questa  allegra
   superficialità  ci è  servita  a poco.  Tale
   distruzione  di ogni  fondamento della  vita
   sociale  finisce col  metterci l'uno  contro
   l'altro  per difendere  i propri  interessi,
   provoca  il   sorgere  di  nuove   forme  di
   violenza   e   crudeltà   e   impedisce   lo
   sviluppo  di  una  vera cultura  della  cura
   dell'ambiente.

230.

   L'esempio  di  santa  Teresa di  Lisieux  ci
   invita  alla   pratica  della   piccola  via
   dell'amore, a  non perdere  l'opportunità di
   una  parola  gentile,   di  un  sorriso,  di
   qualsiasi  piccolo  gesto  che  semini  pace
   e  amicizia. Un'ecologia  integrale è  fatta
   anche di semplici gesti quotidiani nei quali
   spezziamo  la logica  della violenza,  dello
   sfruttamento,  dell'egoismo.  Viceversa,  il
   mondo  del  consumo  esasperato è  al  tempo
   stesso  il  mondo del  maltrattamento  della
   vita in ogni sua forma.

231.

   L'amore,  pieno  di  piccoli gesti  di  cura
   reciproca, è  anche civile e politico,  e si
   manifesta in tutte le  azioni che cercano di
   costruire un mondo  migliore. L'amore per la
   società e l'impegno per  il bene comune sono
   una forma  eminente di carità,  che riguarda
   non solo le relazioni  tra gli individui, ma
   anche  «macro-relazioni,  rapporti  sociali,
   economici, politici».  Per questo  la Chiesa
   ha  proposto   al  mondo  l'ideale   di  una
   «civiltà  dell'amore».   L'amore  sociale  è
   la  chiave di  un  autentico sviluppo:  «Per
   rendere  la  società  più umana,  più  degna
   della  persona,  occorre rivalutare  l'amore
   nella vita  sociale -- a  livello, politico,
   economico,  culturale -  facendone la  norma
   costante  e suprema  dell'agire». In  questo
   quadro,  insieme all'importanza  dei piccoli
   gesti quotidiani, l'amore  sociale ci spinge
   a pensare  a grandi strategie  che arrestino
   efficacemente   il   degrado  ambientale   e
   incoraggino  una  cultura   della  cura  che
   impregni tutta  la società.  Quando qualcuno
   riconosce la vocazione  di Dio a intervenire
   insieme  con gli  altri in  queste dinamiche
   sociali,  deve ricordare  che  ciò fa  parte
   della  sua  spiritualità,  che  è  esercizio
   della carità, e che in  tal modo matura e si
   santifica.

232.

   Non  tutti  sono   chiamati  a  lavorare  in
   maniera diretta  nella politica, ma  in seno
   alla   società  fiorisce   una  innumerevole
   varietà  di  associazioni  che  intervengono
   a   favore  del   bene  comune,   difendendo
   l'ambiente naturale  e urbano.  Per esempio,
   si   preoccupano   di  un   luogo   pubblico
   (un  edificio,  una  fontana,  un  monumento
   abbandonato, un paesaggio,  una piazza), per
   proteggere, risanare, migliorare o abbellire
   qualcosa  che è  di  tutti.  Intorno a  loro
   si  sviluppano  o  si  recuperano  legami  e
   sorge un nuovo  tessuto sociale locale. Così
   una  comunità  si  libera  dall'indifferenza
   consumistica.   Questo   vuol   dire   anche
   coltivare  un'identità  comune,  una  storia
   che  si  conserva  e si  trasmette.  In  tal
   modo  ci si  prende cura  del mondo  e della
   qualità della  vita dei  più poveri,  con un
   senso  di  solidarietà  che  è  allo  stesso
   tempo  consapevolezza  di abitare  una  casa
   comune che Dio ci ha affidato. Queste azioni
   comunitarie, quando  esprimono un  amore che
   si  dona,  possono trasformarsi  in  intense
   esperienze spirituali.

   VI.  I   SEGNI  SACRAMENTALI  E   IL  RIPOSO
   CELEBRATIV                                 O

233.

   L'universo  si  sviluppa   in  Dio,  che  lo
   riempie  tutto.  Quindi  c'è un  mistero  da
   contemplare in  una foglia, in  un sentiero,
   nella  rugiada,  nel  volto  di  un  povero.
   L'ideale non è solo passare dall'esteriorità
   all'interiorità per scoprire l'azione di Dio
   nell'anima, ma anche  arrivare a incontrarlo
   in  tutte   le  cose,  come   insegnava  san
   Bonaventura: «La contemplazione  è tanto più
   elevata  quanto  più   l'uomo  sente  in  sé
   l'effetto della  grazia divina o  quanto più
   sa riconoscere Dio nelle altre creature».

234.

   San Giovanni della Croce insegnava che tutto
   quanto  c'è  di  buono nelle  cose  e  nelle
   esperienze del mondo «si trova eminentemente
   in  Dio  in  maniera infinita  o,  per  dire
   meglio,  Egli è  ognuna di  queste grandezze
   che  si predicano».  Non  è  perché le  cose
   limitate del  mondo siano  realmente divine,
   ma  perché  il mistico  sperimenta  l'intimo
   legame che  c'è tra Dio e  tutti gli esseri,
   e  così  «sente  che  Dio è  per  lui  tutte
   le  cose». Se  ammira  la  grandezza di  una
   montagna, non può separare  questo da Dio, e
   percepisce  che  tale ammirazione  interiore
   che egli vive  deve depositarsi nel Signore:
   «Le  montagne hanno  delle cime,  sono alte,
   imponenti,   belle,   graziose,  fiorite   e
   odorose. Come quelle  montagne è l'Amato per
   me. Le  valli solitarie sono  quiete, amene,
   fresche, ombrose, ricche di dolci acque. Per
   la varietà  dei loro  alberi e per  il soave
   canto  degli  uccelli ricreano  e  dilettano
   grandemente il senso e nella loro solitudine
   e  nel loro  silenzio  offrono refrigerio  e
   riposo: queste valli è il mio Amato per me».

235.

   I  Sacramenti  sono   un  modo  privilegiato
   in  cui  la  natura  viene  assunta  da  Dio
   e  trasformata  in   mediazione  della  vita
   soprannaturale.  Attraverso  il culto  siamo
   invitati ad abbracciare il mondo su un piano
   diverso.  L'acqua,  l'olio,  il  fuoco  e  i
   colori sono assunti con  tutta la loro forza
   simbolica  e si  incorporano nella  lode. La
   mano che benedice  è strumento dell'amore di
   Dio e riflesso della vicinanza di Cristo che
   è venuto ad  accompagnarci nel cammino della
   vita.  L'acqua che  si versa  sul corpo  del
   bambino che viene battezzato è segno di vita
   nuova. Non fuggiamo dal mondo né neghiamo la
   natura quando vogliamo  incontrarci con Dio.
   Questo si  può percepire  specialmente nella
   spiritualità  dell'Oriente   cristiano:  «La
   bellezza, che in Oriente  è uno dei nomi con
   cui più frequentemente si suole esprimere la
   divina  armonia  e il  modello  dell'umanità
   trasfigurata,  si   mostra  dovunque:  nelle
   forme  del tempio,  nei  suoni, nei  colori,
   nelle luci e  nei profumi». Per l'esperienza
   cristiana,  tutte le  creature dell'universo
   materiale  trovano il  loro  vero senso  nel
   Verbo  incarnato, perché  il  Figlio di  Dio
   ha  incorporato  nella   sua  persona  parte
   dell'universo materiale,  dove ha introdotto
   un germe  di trasformazione  definitiva: «Il
   Cristianesimo  non  rifiuta la  materia,  la
   corporeità;   al  contrario,   la  valorizza
   pienamente nell'atto liturgico, nel quale il
   corpo umano mostra  la propria natura intima
   di tempio dello Spirito e arriva a unirsi al
   Signore Gesù,  anche Lui fatto corpo  per la
   salvezza del mondo».

236.

   Nell'Eucaristia  il  creato   trova  la  sua
   maggiore elevazione. La  grazia, che tende a
   manifestarsi  in  modo sensibile,  raggiunge
   un'espressione   meravigliosa   quando   Dio
   stesso, fatto uomo,  arriva a farsi mangiare
   dalla   sua   creatura.   Il   Signore,   al
   culmine del mistero dell'Incarnazione, volle
   raggiungere la nostra intimità attraverso un
   frammento di  materia. Non dall'alto,  ma da
   dentro,  affinché  nel nostro  stesso  mondo
   potessimo incontrare  Lui. Nell'Eucaristia è
   già realizzata  la pienezza, ed è  il centro
   vitale dell'universo,  il centro traboccante
   di amore  e di  vita inesauribile.  Unito al
   Figlio incarnato,  presente nell'Eucaristia,
   tutto  il  cosmo  rende  grazie  a  Dio.  In
   effetti l'Eucaristia è di  per sé un atto di
   amore  cosmico: «Sì,  cosmico! Perché  anche
   quando  viene celebrata  sul piccolo  altare
   di  una  chiesa  di  campagna,  l'Eucaristia
   è   sempre   celebrata,  in   certo   senso,
   sull'altare del  mondo». L'Eucaristia unisce
   il  cielo e  la terra,  abbraccia e  penetra
   tutto  il creato.  Il  mondo,  che è  uscito
   dalle mani di Dio,  ritorna a Lui in gioiosa
   e piena adorazione: nel Pane eucaristico «la
   creazione è protesa verso la divinizzazione,
   verso le  sante nozze,  verso l'unificazione
   con il Creatore stesso». Perciò l'Eucaristia
   è anche  fonte di luce e  di motivazione per
   le nostre  preoccupazioni per  l'ambiente, e
   ci  orienta ad  essere custodi  di tutto  il
   creato.

237.

   La      domenica,     la      partecipazione
   all'Eucaristia ha un'importanza particolare.
   Questo giorno, così  come il sabato ebraico,
   si offre quale  giorno del risanamento delle
   relazioni dell'essere umano  con Dio, con sé
   stessi,  con gli  altri e  con il  mondo. La
   domenica è il  giorno della Risurrezione, il
   "primo giorno" della nuova creazione, la cui
   primizia  è l'umanità  risorta del  Signore,
   garanzia  della  trasfigurazione  finale  di
   tutta  la  realtà  creata.  Inoltre,  questo
   giorno annuncia «il  riposo eterno dell'uomo
   in  Dio».  In   tal  modo,  la  spiritualità
   cristiana  integra il  valore  del riposo  e
   della festa. L'essere  umano tende a ridurre
   il  riposo  contemplativo  all'ambito  dello
   sterile  e  dell'inutile,  dimenticando  che
   così si  toglie all'opera  che si  compie la
   cosa  più  importante: il  suo  significato.
   Siamo  chiamati   a  includere   nel  nostro
   operare una dimensione ricettiva e gratuita,
   che è diversa da una semplice inattività. Si
   tratta  di  un'altra  maniera di  agire  che
   fa  parte della  nostra  essenza. In  questo
   modo  l'azione umana  è preservata  non solo
   da  un  vuoto   attivismo,  ma  anche  dalla
   sfrenata  voracità  e dall'isolamento  della
   coscienza che porta  a inseguire l'esclusivo
   beneficio  personale.  La legge  del  riposo
   settimanale imponeva di astenersi dal lavoro
   nel settimo  giorno, «perché  possano godere
   quiete il tuo  bue e il tuo  asino e possano
   respirare  i  figli   della  tua  schiava  e
   il  forestiero»  (Es  23,12).  Il  riposo  è
   un  ampliamento dello  sguardo che  permette
   di  tornare a  riconoscere  i diritti  degli
   altri.  Così, il  giorno di  riposo, il  cui
   centro è l'Eucaristia,  diffonde la sua luce
   sull'intera settimana e ci incoraggia a fare
   nostra la cura della natura e dei poveri.

   VII.  LA  TRINITÀ  E  LA  RELAZIONE  TRA  LE
   CREATUR                                    E

238.

   Il  Padre  è  la   fonte  ultima  di  tutto,
   fondamento amoroso e  comunicativo di quanto
   esiste. Il  Figlio, che  lo riflette,  e per
   mezzo  del quale  tutto è  stato creato,  si
   unì a  questa terra  quando prese  forma nel
   seno di Maria.  Lo Spirito, vincolo infinito
   d'amore,  è intimamente  presente nel  cuore
   dell'universo  animando  e suscitando  nuovi
   cammini. Il  mondo è stato creato  dalle tre
   Persone  come  unico  principio  divino,  ma
   ognuna di loro  realizza questa opera comune
   secondo la  propria identità  personale. Per
   questo, «quando contempliamo con ammirazione
   l'universo nella  sua grandezza  e bellezza,
   dobbiamo lodare tutta la Trinità».

239.

   Per i cristiani, credere in un Dio unico che
   è comunione  trinitaria porta a  pensare che
   tutta la  realtà contiene in  sé un'impronta
   propriamente  trinitaria.   San  Bonaventura
   arrivò  ad  affermare  che  l'essere  umano,
   prima del peccato, poteva scoprire come ogni
   creatura  «testimonia che  Dio è  trino». Il
   riflesso della Trinità si poteva riconoscere
   nella  natura  «quando  né  quel  libro  era
   oscuro  per  l'uomo, né  l'occhio  dell'uomo
   si  era intorbidato».  Il santo  francescano
   ci  insegna che  ogni creatura  porta in  sé
   una struttura  propriamente trinitaria, così
   reale  che  potrebbe  essere  spontaneamente
   contemplata se lo  sguardo dell'essere umano
   non  fosse limitato,  oscuro  e fragile.  In
   questo modo ci indica  la sfida di provare a
   leggere la realtà in chiave trinitaria.

240.

   Le    Persone    divine    sono    relazioni
   sussistenti, e  il mondo, creato  secondo il
   modello  divino, è  una trama  di relazioni.
   Le  creature  tendono  verso Dio,  e  a  sua
   volta  è  proprio  di  ogni  essere  vivente
   tendere  verso un'altra  cosa, in  modo tale
   che in seno all'universo possiamo incontrare
   innumerevoli   relazioni  costanti   che  si
   intrecciano segretamente. Questo non solo ci
   invita ad  ammirare i molteplici  legami che
   esistono tra le creature,  ma ci porta anche
   a scoprire  una chiave della  nostra propria
   realizzazione.  Infatti   la  persona  umana
   tanto  più  cresce,  matura e  si  santifica
   quanto più  entra in relazione,  quando esce
   da  sé stessa  per vivere  in comunione  con
   Dio, con gli altri  e con tutte le creature.
   Così  assume  nella propria  esistenza  quel
   dinamismo  trinitario  che Dio  ha  impresso
   in  lei fin  dalla  sua  creazione. Tutto  è
   collegato, e questo ci invita a maturare una
   spiritualità  della solidarietà  globale che
   sgorga dal mistero della Trinità.

   VIII. LA REGINA DI TUTTO IL CREATO

241.

   Maria, la  madre che ebbe cura  di Gesù, ora
   si prende cura con  affetto e dolore materno
   di questo mondo ferito. Così come pianse con
   il  cuore trafitto  la  morte  di Gesù,  ora
   ha compassione  della sofferenza  dei poveri
   crocifissi e delle  creature di questo mondo
   sterminate dal  potere umano. Ella  vive con
   Gesù completamente trasfigurata,  e tutte le
   creature cantano la sua bellezza. È la Donna
   «vestita  di  sole,  con  la  luna  sotto  i
   piedi  e una  corona  di  dodici stelle  sul
   suo  capo» (Ap  12,1). Elevata  al cielo,  è
   Madre e  Regina di tutto il  creato. Nel suo
   corpo glorificato, insieme a Cristo risorto,
   parte della creazione  ha raggiunto tutta la
   pienezza  della sua  bellezza. Lei  non solo
   conserva  nel suo  cuore  tutta  la vita  di
   Gesù,  che  «custodiva»  con  cura  (cfr  Lc
   2,19.51), ma ora anche comprende il senso di
   tutte le cose. Perciò possiamo chiederle che
   ci aiuti  a guardare questo mondo  con occhi
   più sapienti.

242.

   Insieme  a  lei,  nella  santa  famiglia  di
   Nazaret, risalta la  figura di san Giuseppe.
   Egli ebbe cura e difese  Maria e Gesù con il
   suo  lavoro e  la sua  presenza generosa,  e
   li  liberò  dalla  violenza  degli  ingiusti
   portandoli  in  Egitto. Nel  Vangelo  appare
   come un  uomo giusto, lavoratore,  forte. Ma
   dalla  sua figura  emerge  anche una  grande
   tenerezza, che non è propria di chi è debole
   ma di  chi è  veramente forte,  attento alla
   realtà  per amare  e servire  umilmente. Per
   questo  è  stato  dichiarato  custode  della
   Chiesa universale. Anche  lui può insegnarci
   ad aver  cura, può motivarci a  lavorare con
   generosità e tenerezza per proteggere questo
   mondo che Dio ci ha affidato.

   IX. AL DI LÀ DEL SOLE

243.

   Alla  fine ci  incontreremo faccia  a faccia
   con  l'infinita  bellezza   di  Dio  (cfr  1
   Cor  13,12) e  potremo  leggere con  gioiosa
   ammirazione  il  mistero dell'universo,  che
   parteciperà  insieme  a noi  della  pienezza
   senza  fine.  Sì,  stiamo  viaggiando  verso
   il  sabato  dell'eternità,  verso  la  nuova
   Gerusalemme, verso la casa comune del cielo.
   Gesù ci  dice: «Ecco, io faccio  nuove tutte
   le cose» (Ap 21,5).  La vita eterna sarà una
   meraviglia  condivisa,  dove ogni  creatura,
   luminosamente  trasformata, occuperà  il suo
   posto e  avrà qualcosa da offrire  ai poveri
   definitivamente liberati.

244.

   Nell'attesa, ci  uniamo per farci  carico di
   questa casa che ci è stata affidata, sapendo
   che  ciò che  di buono  vi è  in essa  verrà
   assunto  nella festa  del  cielo. Insieme  a
   tutte  le  creature,  camminiamo  su  questa
   terra cercando  Dio, perché «se il  mondo ha
   un principio ed è stato creato, cerca chi lo
   ha  creato, cerca  chi gli  ha dato  inizio,
   colui  che è  il  suo Creatore».  Camminiamo
   cantando! Che  le nostre  lotte e  la nostra
   preoccupazione  per  questo pianeta  non  ci
   tolgano la gioia della speranza.

245.

   Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e
   a dare tutto, ci offre le forze e la luce di
   cui abbiamo  bisogno per andare  avanti. Nel
   cuore di questo mondo rimane sempre presente
   il Signore della vita che ci ama tanto. Egli
   non ci abbandona, non ci lascia soli, perché
   si  è unito  definitivamente  con la  nostra
   terra, e  il suo  amore ci conduce  sempre a
   trovare nuove strade. A Lui sia lode!

                      *****

246.

   Dopo questa  prolungata riflessione, gioiosa
   e    drammatica   insieme,    propongo   due
   preghiere,  una   che  possiamo  condividere
   tutti  quanti crediamo  in  un Dio  creatore
   onnipotente,   e   un'altra   affinché   noi
   cristiani  sappiamo   assumere  gli  impegni
   verso il  creato che  il Vangelo di  Gesù ci
   propone.

   Preghiera per la nostra terra

   Dio Onnipotente,  che sei presente  in tutto
   l'universo  e nella  più  piccola delle  tue
   creature,  Tu   che  circondi  con   la  tua
   tenerezza  tutto quanto  esiste, riversa  in
   noi  la  forza  del tuo  amore  affinché  ci
   prendiamo cura della  vita e della bellezza.
   Inondaci  di   pace,  perché   viviamo  come
   fratelli e sorelle  senza nuocere a nessuno.
   O Dio  dei poveri, aiutaci a  riscattare gli
   abbandonati e i  dimenticati di questa terra
   che tanto  valgono ai tuoi occhi.  Risana la
   nostra vita,  affinché proteggiamo  il mondo
   e  non  lo  deprediamo,  affinché  seminiamo
   bellezza e  non inquinamento  e distruzione.
   Tocca  i   cuori  di  quanti   cercano  solo
   vantaggi a  spese dei poveri e  della terra.
   Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,
   a  contemplare  con stupore,  a  riconoscere
   che siamo  profondamente uniti con  tutte le
   creature  nel nostro  cammino  verso la  tua
   luce  infinita. Grazie  perché  sei con  noi
   tutti  i  giorni.  Sostienici,  per  favore,
   nella nostra lotta per la giustizia, l'amore
   e la pace.

   Preghiera cristiana con il creato

   Ti   lodiamo,  Padre,   con  tutte   le  tue
   creature,  che sono  uscite  dalla tua  mano
   potente. Sono  tue, e  sono colme  della tua
   presenza e della tua tenerezza. Laudato si'!

   Figlio di Dio, Gesù, da te sono state create
   tutte  le cose.  Hai  preso  forma nel  seno
   materno  di Maria,  ti  sei  fatto parte  di
   questa  terra, e  hai guardato  questo mondo
   con  occhi  umani.  Oggi sei  vivo  in  ogni
   creatura  con  la  tua  gloria  di  risorto.
   Laudato si'!

   Spirito Santo,  che con la tua  luce orienti
   questo  mondo  verso  l'amore  del  Padre  e
   accompagni  il  gemito della  creazione,  tu
   pure vivi nei nostri  cuori per spingerci al
   bene. Laudato si'!

   Signore Dio, Uno  e Trino, comunità stupenda
   di amore infinito,  insegnaci a contemplarti
   nella bellezza dell'universo,  dove tutto ci
   parla  di te.  Risveglia  la  nostra lode  e
   la  nostra gratitudine  per ogni  essere che
   hai  creato. Donaci  la  grazia di  sentirci
   intimamente uniti con  tutto ciò che esiste.
   Dio  d'amore, mostraci  il  nostro posto  in
   questo mondo come  strumenti del tuo affetto
   per  tutti  gli   esseri  di  questa  terra,
   perché  nemmeno uno  di  essi è  dimenticato
   da  te.  Illumina  i padroni  del  potere  e
   del  denaro perché  non  cadano nel  peccato
   dell'indifferenza,  amino  il  bene  comune,
   promuovano  i  deboli,  e  abbiano  cura  di
   questo  mondo che  abitiamo. I  poveri e  la
   terra stanno  gridando: Signore,  prendi noi
   col tuo potere e la tua luce, per proteggere
   ogni vita, per preparare un futuro migliore,
   affinché venga il tuo Regno di giustizia, di
   pace, di  amore e di bellezza.  Laudato si'!
   Amen.

   Dato  a  Roma,  presso  San  Pietro,  il  24
   maggio,  Solennità di  Pentecoste, dell'anno
   2015, terzo del mio Pontificato.

                    Franciscus